di Vincenzo Maddaloni
MOSCA. Chissà cosa direbbe Víctor Ivanovich Gorodash! La prima e ultima volta che l’incontrai (febbraio 1986) me ne disse tante e di così interessanti che l’intervista, considerata l’autorevolezza del personaggio fu ripresa non soltanto dai giornali italiani. Perché venticinque anni fa Víctor Ivanovich Gorodash era ancora il direttore dell’Istituto sovietico dell’ateismo scientifico dell’Accademia delle Scienze e in quell’intervista, per la prima volta, la massima autorità per “la dottrina dell’ateismo”, denunciava l’esistenza di un problema religioso nelle Russie dei soviet.
Certamente, a voler misurare le sue dimensioni esclusivamente politiche per il Cremlino si trattava, a quel tempo, di un problema minore. Sia perché la dirigenza sovietica lo considerava tale; sia perché l’altro possibile protagonista, il patriarcato di Mosca, faceva di tutto per non farlo crescere, a scanso di nuove recrudescenze della persecuzione; sia perché Michail Gorbaciov (da meno di un anno al potere) era impegnato a risolvere questioni di ben più consistente gravità immediata: il ritardo nello sviluppo ecnologico dell’apparato industriale, la persistenza di un focolaio di guerra pericoloso come l’Afghanistan, la complessa trattativa internazionale sul disarmo nucleare, la resistenza opposta da strati di popolazione e di burocrazia statale alla riforma del sistema economico e produttivo, il difficile equilibrio fra l’esigenza di una maggiore libertà di critica e di espressione da parte dell’opinione pubblica, della stampa, dell’intelligentsja in generale e il permanere di un rigido controllo del partito su ogni manifestazione della vita sovietica.
Venticinque anni dopo non é che lo scenario sia cambiato molto in fatto di libertà di opinione e di stampa, ma certamente non esistono più i presupposti che avevano costretto Gorodash ad ammettere che c’era «in Unione Sovietica un crescente interesse per la religione in quanto storia, cultura, politica. E c’è un interesse devozionale che si manifesta con la partecipazione alle funzioni, sicché oggi si può concludere che tra la popolazione c’è una crescita di religiosità. Perché? La rivoluzione tecnico-scientifica ha formulato delle promesse obbligando a scegliere tra materialismo e spiritualità. Ma se le promesse non si concretizzano, si creano degli stati di avvilimento che si traducono in pentimento per la scelta compiuta, e c’è come reazione immediata il ritorno alla sfera spirituale».
Tutto questo accadeva sebbene fosse cresciuto il livello d’istruzione del popolo sovietico e quindi ammetteva Gorodash, «é assurdo sostenere che le chiese le frequentino soltanto gli ignoranti e i rimbambiti. Al contrario è aumentato il numero dei credenti con il titolo di studio. Negarlo vorrebbe dire negare l’emancipazione, il naturale ricambio generazionale. Non si può fare dell’ironia sul fatto che le chiese sono frequentate dai giovani.
«Semmai - spiegava ancora Gorodash - sarebbe opportuno fare delle riflessioni. Marx sosteneva che l’abolizione della religione come felicità illusoria del popolo è necessaria per la sua felicità reale. Aveva fatto coincidere la fine della religione con lo sviluppo della società socialista; cioè la religione sarebbe andata scomparendo, man mano che si fosse affermata la concezione materialista legata al progresso scientifico. Quando questo avverrà, noi dell’Istituto non siamo in grado di stabilirlo: si tratta di un periodo storico di lunga durata. Nemmeno i positivisti dell’Ottocento seppero garantire previsioni al riguardo. Forse ci vorranno dieci anni, cinquant’anni, forse un secolo. Noi abbiamo fede».
Naturalmente, il Direttore dell’Istituto sovietico dell’ateismo scientifico non poteva prevedere che in poco più di un lustro (1992) il disfacimento della struttura di un potere creato dall’ideologia marxista, verificatosi pacificamente e quasi senza spargimento di sangue, avrebbe realizzato in tempi brevissimi quella laicizzazione della società dei credenti che Gorodash non era riuscito a realizzare nello Stato più ufficialmente e graniticamente e possentemente ateo di tutta la Terra.
Egli con grande onestà riconosceva che l’uomo nuovo sovietico non era ancora nato, come invece si aspettavano i rivoluzionari bolscevichi. Infatti, nel 1985 il nuovo segretario del Pcus Michail Gorbaciov aveva tra l’altro ereditato dal suo predecessore e maestro Jurij Andropov l’impegno della salvaguardia della moralità del popolo russo che, appunto, l’applicazione della dottrina marxista doveva garantire.
Nessun segretario del Pcus prima di lui si era soffermato tanto sugli aspetti morali e addirittura “spirituali“ della società socialista, lamentando che essa era rimasta troppo lontana dal livello desiderato. Ricordo, nelle città russe, le code che si formano dopo l’imbrunire davanti a negozi senza insegne: erano le rivendite di alcolici, che per ordine del nuovo segretario Gorbaciov non dovevano attirare più nessun passante con scritte invitanti al consumo di vodka, e dovevano essere aperte soltanto a una certa ora, quando la giornata lavorativa era finita.
La moralità esteriore che la vita sovietica tentava di assumere nei primi tempi del governo Gorbaciov, a cominciare dai programmi televisivi, era degna di una società puritana. Sicché la tradizione religiosa del popolo diventava per molti versi una preziosa alleata della “riforma“ gorbacioviana.
Dopo tutto la Chiesa ortodossa russa è, insieme a quella cattolica, la più rigida conservatrice della morale famigliare cristiana, essendo essa contraria sia al divorzio sia all’aborto, per citare i primi due esempi. Così operando il socialismo scientifico che prometteva la società ideale, difendeva l’immagine della famiglia pur dilatandola nel collettivo poiché temeva che, con lo stemperarsi della tradizione sarebbe venuto meno il principio di autorità e quindi dello Stato sovietico medesimo.
Il timore, infatti, era che trasformando la famiglia in mero contratto civile, nella semplice conclusione di una storia sentimentale, essa avrebbe perso l’autorevole centralità di “chiesa domestica” che la tradizione culturale della storia delle Russie da sempre le assegnava. Sicché la dirigenza sovietica aveva da tempo compreso che il frantumarsi di una realtà come la famiglia, indispensabile allo sviluppo della società, al di là della sua connotazione fideistica, avrebbe seriamente compromesso il futuro del Paese.
Un pericolo che il direttore Gorodash aveva evidenziato senza esitazioni, quando mi spiegava che, «nella gente è cresciuta la coscienza storica perché mentre cerca di immaginarsi il futuro cerca di ricordarsi il passato. Se noi pensiamo al passato, alla nostra storia passata, non possiamo non pensare alla Chiesa e alla funzione svolta dalla Chiesa nel corso dei secoli.
Essa è stata l’espressione della grande patria russa. E difficile immaginare che avvenimenti si sono conclusi come si sono conclusi senza la presenza della Chiesa. Così è difficile immaginarsi il futuro senza la presenza della Chiesa. Tutto questo è rinascita religiosa o è presa di coscienza del ruolo della religione? La si chiami come si vuole, ma non si può negare il fenomeno».
Naturalmente Gorodash esternava in tutta tranquillità. Nelle fondamenta della cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca http://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_Cristo_Salvatore fatta saltare in aria da Stalin c’era ancora la più grande piscina aperta del mondo fatta costruire da Nikita Krusciov. L’Istituto dell’Ateismo scientifico dell’Accademia delle Scienze che Gorodash, appena quarantottenne, dirigeva poteva ancora contare su tre “filiali” dislocate a Kiev, capitale dell’Ucraina; a Vilnius, capoluogo della cattolicissima Lituania; a Tashkent, sede del direttorato spirituale delle comunità islamiche dell’Unione Sovietica.
Sede centrale e filiali erano suddivise ciascuna in quattro sezioni: studio dell’ateismo scientifico e del fenomeno religioso nel mondo, la prima; studio dell’attività della Chiesa nella società socialista, la seconda;la terza sezione analizzava i problemi sociologici, mentre la quarta si occupava delle attività religiose fuori dell’Urss. L’Istituto curava inoltre la preparazione dei quadri con corsi a vari livelli diretti dai ventidue “collaboratori” i quali rappresentavano il collegio accademico.
Direttore, vicedirettore, docenti, collaboratori, formavano insomma “l’ordine” dei missionari dell’ateismo. A suggello dell’intensa attività c’erano i volumi della collana: “I problemi dell’ateismo scientifico” che, con scadenza annuale, l’Istituto proponeva come “summa” degli studi che si andavano via via elaborando. Mi soffermo su questi dettagli perché meglio di ogni altra cosa danno l’idea dell’assillo della difesa dei principi etici della società, che tormentava i custodi dell’ortodossia ateistica sicuramente molto di più dei monaci della Chiesa russa, se non altro perché il Partito chiedeva loro ogni anno il rendiconto sui risultati raggiunti.
Quando nell’agosto del Duemila - otto anni dopo l’implosione dell’Urss - è stata consacrata a Mosca la cattedrale di Cristo Salvatore, in Russia era già in uso da un pezzo quello che si usa definire lo spontaneismo ultraliberista che, facendo leva sull’immaginario, incoraggia la corsa al materiale con uno slogan di facile presa: più tecnica, più benessere. E’ un invito al quale è difficile sfuggire, sebbene esso non riesca a dare un senso alla vita e alla morte, poiché il valore della persona non può misurarsi soltanto sui riferimenti quantitativi come possono essere il denaro e il potere.
Ma è la corsa al benessere che marca il passaggio dal mondo diviso in due blocchi al mondo dominato da una sola potenza, che da allora lotterà con ogni mezzo per imporre la sua legge all’intero pianeta. L’obiettivo è la realizzazione del villaggio globale, il quale reggendosi sul progresso economico, crea il consenso indispensabile all’evoluzione di un modello politico e sociale del quale gli Stati Uniti rimangono l’unico punto di riferimento.
Stando così le cose, gli abitanti del mondo diventano dei semplici consumatori, sottomessi di volta in volta ai sobbalzi dei mercati, i quali si reggono sulle contrattazioni e quindi sul denaro, a sua volta regolato da quella legge suprema che è la logica del profitto. Pertanto, nel villaggio globale c’è spazio soltanto per una società dove ogni individuo, dovendo inseguire il suo migliore interesse pecuniario, contribuisce in maniera determinante a destrutturare il legame sociale.
Culturalmente è, come si è detto, la prevaricazione dell’ “io” su qualsiasi proposta comunitaria di condivisione, di dialogo, tipica del cristianesimo, dello sciismo, della dottrina marxista inclusa. Se vogliamo dire le cose come stanno veramente e non ricorrere a retoriche ipocrisie, va tenuto a mente che il nuovo modello di capitalismo rilanciato sull’onda dello “scontro di civiltà” di Samuel Huntington, (http://www.vincenzomaddaloni.it/?p=670) che, facendo leva appunto sull’affermazione dell’“io”, propende per la negazione totale delle convinzioni religiose nonché delle dottrine politiche e delle correlate impostazioni etiche.
Esso si diffonde attraverso un uso esasperato degli strumenti mediatici impegnati a uniformare a livello globale i desideri e le pulsioni riducendoli a meri scambi d’interesse. In questo scenario dove uno dei messaggi più diffusi è quello che sottolinea l’inutilità di fare affidamento sull’esperienza del passato e l’incapacità di poter prevedere le linee guida del futuro, il principio stesso di autorità (intesa come stima, autorevolezza derivante da superiorità morale, intellettuale, da competenza, dalla tradizione) si deteriora.
Invece si rafforza il principio della “contrattualità”, poiché la logica del profitto genera una società puramente commerciale dove, come ha già affermato Pierre Leroux, «gli uomini non associati non sono soltanto estranei tra loro, ma necessariamente rivali e nemici».
Sicché quella società laicista sognata per quasi un secolo dal Cremlino, è stata realizzata in pochi lustri dal modello americano del “villaggio globale”. La formula è semplice: si creano di continuo nuovi bisogni; si moltiplicano gli stimoli di distrazione e di divertimento; si propaganda l’idea che non esista felicità se non nel consumo; s’inventano proposte commerciali sempre più coinvolgenti.
E’ il trionfo di una cultura impostata sulla dittatura dell’economia, sul feticismo del mercato e sul primato dei valori mercantili. Che tiene in scarso conto l’etica, che ha abolito le distanze e il tempo, ma dove la logica del profitto destrutturando il legame sociale, crea stress mentali che si preferisce non analizzare. Sicuramente in Russia è una delle ragioni del perdurare di una crisi demografica drammatica che ha visto la popolazione del Paese scendere dai 149 milioni del 1991 ai 142 odierni, con previsioni per il 2025 di soli 125 milioni.
I comunisti atei non l’avevano mai potuto immaginare che si sarebbe giunti a tanto. Perché a ben vedere “l’ordine” dei missionari dell’ateismo diretto da Víctor Ivanovic Gorodash e del quale facevano parte oltre al direttore, il vicedirettore, i docenti, i collaboratori e gli aspiranti collaboratori, si muoveva entro i parametri dei valori etici della cultura millenaria del Paese. Il suo compito era di individuare in ogni manifestazione di fede la “ragione” scientifica che poteva averla provocata, e di trovare poi le argomentazioni da trasformare in convinzioni laiche.
Ma quel materialismo non rinnegava i valori culturali russi, semmai li mediava decorticandoli di ogni forma di trascendenza http://it.wikipedia.org/wiki/Trascendenza, ma sempre tutelandoli, con la stessa caparbietà che era propria dei monaci ortodossi, quasi con il medesimo misticismo che Gobetti colse e poi analizzò nel Paradosso dello spirito russo http://www.leninismo.it/gobetti.html. Del resto, di misticismo erano pervasi ancor prima dei bolscevichi gli anarchici Dostoevskiani che sognavano di far saltare gli zar. http://www.liberospirito.org/Testi/Anarchismo%20religioso/anarchici%20mistici.pdf.
Insomma, da sempre di misticismo è connotata la nazione. Naturalmente su quest’aspetto non si soffermò il santo pontefice quando stilò (19 marzo 1937; XVI dell’éra fascista ) l’enciclica sul comunismo ateo http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19370319_divini-redemptoris_it.html invitando a premunirsi contro le sue insidie e consolidando così l’immagine dei comunisti-mangia-bambini. Che ancora qualcuno di tanto in tanto s’affanna a rinfrescare.