di Vincenzo Maddaloni 

Il grande romanzo della vita di Fëdor Dostoevskij si concluse cento e trenta anni fa, alle otto e trentotto del 28 gennaio 1881, in un modesto appartamento a San Pietroburgo. Tre giorni dopo, l0 scrittore fu sepolto nel cimitero del convento di Aleksandr Nevskij. Le esequie furono solenni. La gente era tanto rispettosa e commossa che in chiesa, durante la cerimonia funebre, nessuno fumò. Ricordava la moglie, Anna Grigorevna: «La mattina, quando la servitù fece la pulizia della chiesa, non trovò neanche una punta di sigaretta: cosa che meravigliò i monaci, perché di s0lit0, durante i servizi piuttosto lunghi, la gente negli angoli fumava».

Morì a sessant’anni lasciando una produzione vastissima: «Egli rappresenta», scrisse nel 1920 Nikolai Berdjajev, «una manifestazione mirabile della culture russa: ne é il culmine». Non è un giudizio definitivo, non si è ancora finito di discutere. Mai scrittore fu cosi attentamente scrutato, analizzato, interpretato. La popolarità di Dostoevskij fu sempre grande tra ogni strato di lettori in Russia e, a partire dai primi del Novecento, diventò non meno grande in ogni parte del mondo.

Infatti, particolarmente viva fu la presenza di Dostoevskij nella cultura russa ed europea del primo Novecento, quando le ricerche filosofiche e religiose, le nuove tendenze nel campo letterario e la stessa crisi di valori vissuta dalla intera società, rendevano l’opera di questo scrittore unica per la sorprendente energia con cui il mondo del Ventesimo secolo era stato da esso profeticamente analizzato.

Dopo la rivoluzione russa del Diciassette, la presenza di Dostoevskij si accentua nella vita letteraria e in genere intellettuale dell’Occidente, come si vede dai saggi che all’autore de ”I fratelli Karamazov” dedicarono scrittori come André Gide, Thomas Mann e David Herbert Lawrence, per non parlare dell’influss0 esercitato su infiniti altri.

E adesso? Adesso, dopo cento e trenta anni rimane attuale la domanda di sempre. Dostoevskij da che parte sta? E’ buono o cattivo, saggio o folle, ateo o cristiano? L’ex ergastolano, l‘ex giocatore, l’ex ufficiale dello Zar, l’ex rivoluzionario ha ancora qualcosa da dire alle generazioni del Ventunesimo secolo? Secondo alcuni critici rimangano di grande attualità le opere come “I dèmoni” o certi passi de “I fratelli Karamazov” che sembrano prefigurare spaventosi fenomeni sociali e contemporanei, come sono il terrorismo di regime o quello dell’anarchia rivoluzionaria. Secondo altri, l’attualità di Dostoevskij consiste soprattutto nel fatto che l’uomo di oggi vede nelle sue opere riflesso il proprio dramma personale, che è poi quello della scelta tra la realtà e il sogno, tra il bene e il male, tra Satana e il Credo; una scelta resa straziante dalla debolezza dell’uomo, dalle malattie delle spirito, dalle polivalenze della verità.

Infatti, Dostoevskij é stato un narratore del tutto particolare, un narratore-filosofo, si potrebbe dire, e i suoi romanzi, che costituiscono un’avvincente lettura per un pubblico di ogni livello, hanno una ricchezza intellettuale che li pone tra le opere più intense e originali del pensiero moderno e come tali sono state studiate. Nei romanzi di Dostoevskij vive in tutta la sua drammatica forza quella crisi dell’umanità europea che è stata testimoniata, ad esempio, nel pensiero di Nietzsche.

Dostoevskij raffigura le forme molteplici del nichilismo del nostro tempo, ne indaga le ragioni storiche e colloca le sue vicende in un ampio orizzonte metafisico, senza togliere per questo concretezza ai destini dei suoi personaggi. Il problema del cristianesimo e del socialismo, della tradizione e della rivoluzione, della Russia e dell’Europa trovano nell’opera dostoevskiana una illuminazione problematica e drammatica senza pari. Per questo Dostoevskij é forse il più attuale degli scrittori russi ed europei dell’Ottocento e anche del Novecento, ed é destinato a restare tale anche in questo secolo.

Dostoevskij è stato definito il cronista critico, analitico del tumulto spirituale della Russia prerivoluzionaria, quasi il profeta della rivoluzione russa di cui aveva preannunciato tanti aspetti. E tuttavia per quasi mezzo secolo è stato messo in disparte. Molti dei suoi libri, non più dati in ristampa, erano divenuti inaccessibili per il lettore sovietico. Negli Anni Trenta, nell’Urss non soltanto non vengono più pubblicati studi di rilievo su questo scrittore, ma le sue stesse opere vengono stampate raramente, e alcune, come “I dèmoni”, sono apertamente proibite dalla censura politica.

Tuttavia non si può dire che Dostoevskij abbia avuto allora la sua sorte peggiore: a una vera e propria campagna di falsificazione l’opera dostoevkiana sarà, infatti, sottoposta nell’ultimo periodo dello stalinismo, dopo la Seconda guerra mondiale, quando la vita culturale sovietica sarà dominata dallo zhdanovismo. Dopo la morte di Stalin si assistette a una crescita d’interesse per Dostoevskij da parte delle case editrici sovietiche e dei critici e storici letterari, segno della grande attualità di questo scrittore.

Ma, nonostante questo indubbio miglioramento della situazione, (persino ai tempi di Gorbacev quand’ero corrispondente a Mosca), Dostoevskij nell’Urss non poté espandersi in tutta la sua forza problematica, poiché l’intera vita culturale di quel Paese era limitata e svigorita dal controllo della censura politica e ideologica.

Questo accadde sebbene Dostoevskij  sia uno slavofilo del tutto particolare e la sua filosofia del suolo, come si chiamava la sua particolare concezione dello spirito nazionale russo, costituisca un’originale diramazione dello slavofilismo. Si aggiunga che Dostoevskij, nei vent’anni di attività intellettuale che stanno tra il suo ritorno dalla deportazione e la sua morte, non si mantenne su rigide e statiche posizioni dogmatiche, ma, pur nella fedeltà a certe tendenze di fondo, sviluppò le sue idee al contatto con la realtà. Si tenga presente, infine, che in quel periodo lo slavofilismo vero e proprio aveva compiuto il suo ciclo e l’ambiente politico e intellettuale russo, caratterizzato dalle riforme governative e dalla sovversione rivoluzionaria, era mutato profondamente rispetto a quello in cui, qualche decennio prima, si era formato ed era fiorito lo slavofilismo, e mutato era anche il mondo europeo.

Ricordo tutto questo perché non si deve chiudere il pensiero di Dostoevskij in rigidi schemi ideologici, ma si deve vederlo piuttosto come impegnato in una incessante ricerca. Solo così si possono capire gli aspetti deboli e caduchi del suo pensiero politico, come certe manifestazioni del suo nazionalismo, ad esempio, ma soprattutto si può cogliere anche il nucleo vivo e valido del suo pensiero, liberandolo dalle scorie in cui è avvolto. In questo modo non solo il Dostoevskij romanziere potenzia la sua già indubbia forza poetica e intellettiva, ma anche la sua riflessione contenuta nelle opere pubblicistiche presenta vari aspetti di validità e di modernità. Tant’è che ancor oggi rimane a pieno titolo, e non è un’esagerazione, il profeta delle nostre paure.

 

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