di Mario Braconi

Se ci si collega all’indirizzo www.wolframalpha.com, ci si trova davanti ad una schermata semplice ed elegante, simile a quella di Google. Tuttavia, la somiglianza tra le due pagine è solo apparente: mentre Google è un motore di ricerca, Wolfram | Alpha (in breve W|A) viene definito “un motore di conoscenza computazionale”: mentre il software messo a punto dalla “Grande G” scandaglia la Rete alla ricerca di tutti i documenti nei quali è contenuta la parola chiave proposta, restituendoci una lista di collegamenti, W|A interpreta la domanda digitata, e calcola una risposta usando un algoritmo e (principalmente) dati presenti nei suoi database. Ideatore del nuovo sistema è Stephen Wolfram. Nato a Londra nel 1959: figlio di uno scrittore e di una professoressa universitaria tedeschi, riparati in Gran Bretagna nel 1933 a causa delle persecuzioni naziste, Wolfram è stato un bambino prodigio, dato che si guadagnato il Ph.D. in fisica presso il California Institute of Techonology (Caltech) a soli 20 anni. Oltre ad aver conseguito ragguardevoli risultati accademici, Wolfram è celebre per aver sviluppato nel 1988 Mathematica, un software commerciale per il calcolo avanzato molto diffuso presso scienziati, ingegneri e matematici, che è anche il cuore (o, per meglio dire, il cervello) di W|A.

Sin dalla sua prima giovinezza, Wolfram ha avuto la fissazione degli “automi cellulari”: si tratta di reti infinite di piccoli ed identici automi finiti, celle appunto, connessi uniformemente e sincronizzati. Ad ogni cella viene associata una variabile di stato in grado di assumere valori tratti da un insieme finito; il sistema si evolve per passi discreti, sulla base di un’unica funzione (funzione di transizione), la quale disciplina lo stato di ogni cella sulla base di quello corrente e di quelli delle celle che si trovano nel suo “vicinato”. Ad esempio, se la cella ad essa vicina è nera, la nostra cella dovrà diventare anch’essa nera al prossimo giro, altrimenti resterà bianca. Gli automi cellulari sono strumenti molto utili perché consentono di studiare fenomeni complessi in diverse aree della conoscenza (fisica, chimica, geologia, pianificazione territoriale, economia, ecologia…) senza dover ricorrere ad equazioni differenziali.

Con questa metodologia, si può tentare di spiegare il processo di diffusione di una malattia infettiva, i danni che un incendio può provocare ad una foresta, l’intensità del traffico automobilistico… Tra gli automi cellulari, il più noto è il cosiddetto “Gioco della Vita”, ideato nell’ottobre del 1970 dal matematico britannico John Horton Conway come tentativo di semplificazione delle teorie di Von Neumann.

Nel maggio del 2002, Stephen Wolfram ha pubblicato “A New Kind of Science” (NKS, per gli adepti), un tomo di ben 1.263 pagine (di cui oltre 348 di note) con il quale lo scienziato inglese getta le basi per la sua personale “rifondazione” della scienza, basata su due tesi: primo, la natura della scienza computazionale deve essere studiata sperimentalmente e, secondo, il risultato di questi esperimenti può essere applicato con profitto a diverse branche del sapere. Per quanto possa apparire scioccante, l’idea alla base della “nuova scienza” di Wolfram è che un programmino di poche righe di codice, lasciato a girare liberamente, alla lunga è in grado di riprodurre un comportamento estremamente complesso. Se fosse provato il fatto che un semplice automa cellulare può essere programmato per effettuare qualsiasi tipo di calcolo concepibile, come sostiene Wolfram, il fisico inglese avrebbe trovato quello che Alan Turing definì il “computer universale”.

Tesi suggestiva, specie se condotta alle sue conseguenze estreme: se si applicano le conclusioni di NKS alla complessità biologica, infatti, si potrebbe forse concludere che un semplice automa cellulare può spiegare più cose della teoria evoluzionistica. E se è vero che il modo migliore per capire il mondo è semplicemente “accendere il sistema e farlo lavorare”, le equazioni matematiche (anche quelle formulate nel corso dei secoli da Newton, Maxwell ed Einstein!) forse sono semplicemente superate.

Date queste premesse, non sono particolarmente sorprendenti le reazioni fredde quando non apertamente ostili con le quali il mondo accademico ha accolto il torrenziale libro di Wolfram. Ad esempio, quando a Sir Michael Berry, fisico-matematico e scopritore della omonima “fase Berry” in ottica e meccanica quantistica, è stato chiesto di esprimersi su NKS, ha scritto: “La teoria secondo cui la complessità e la casualità della vita, dell’universo e di tutte le cose è il risultato di programmi semplici non mi convince. Ai miei occhi questi automi cellulari sono solo un pallido riflesso dell’abbondanza e della varietà delle forme presenti in natura”. Secondo John Ellis, fisico teoretico britannico, Medaglia Maxwell e professore al CERN di Ginevra, “l’approccio di Wolfram non è in grado di competere con quello tradizionale, cioè con quello che ruota attorno alla meccanica quantistica e la teoria delle relatività, figuriamoci se può essere d’aiuto ad orientarsi nel puzzle delle particelle elementari”. David Deutsch, professore di fisica presso l’Università di Oxford e brillante divulgatore, è ancora più tranchant: “La mia prima impressione è che la tesi centrale del libro sia falsa: certo, Wolfram fornisce una prospettiva interessante che può rivelarsi utile, ma non mi pare abbia il potenziale di realizzare cambiamenti radicali nelle teorie e nelle metodologie scientifiche”.

Al di là delle questioni di merito, Stephen Wolfram ha sempre fatto di tutto per rendersi antipatico agli occhi dei colleghi. Secondo David Naiditch, Senior Scientist della rivista The Skeptic, Wolfram, pur avendo credenziali accademiche inattaccabili, si è spesso comportato alla stregua di uno “pseudoscienziato”, ad esempio uscendosene con quel tipo di affermazioni iperboliche che spesso trovano spazio sulla bocca dei ciarlatani, lavorando in solitudine, non sottoponendosi ad alcun processo di peer-review, stampando in proprio il suo libro e non riconoscendo i meriti dei predecessori (e talora dei suoi collaboratori). Solo la storia dirà se le puntute critiche piovute sul capo di Wolfram siano dettate da semplice invidia professionale o se invece risultino - anche in parte – fondate, come ritiene, per quel che vale, anche chi scrive.

Nonostante l’accoglienza controversa del suo libro, a marzo di quest’anno Stephen Wolfram scrive un post sul suo blog, dove annuncia al mondo il lancio di Wolfram|Alpha, sostenendo che il nuovo software si basa sulle conclusioni che hanno dato vita a Mathematica e a NKS, cioè, rispettivamente, al suo trionfo e alla sua croce. “Molta della conoscenza accumulata finora dall’umanità è disponibile in Rete, e, grazie a motori di ricerca, siamo in grado di recuperare termini e frasi simili a quelli ricercati. Ma con questi dati non siamo in grado di fare calcoli, al massimo possiamo rispondere ad una domanda posta in precedenza nello stesso modo. Alcuni pensano che si debba tentare di creare un software capace di capire il linguaggio naturale esistente nel Web, magari indicizzando semanticamente la Rete per rendere il processo più semplice (questo è il metodo di Google ndr.). Dopo Mathematica e NKS, ho pensato che vi fosse un’altra soluzione: implementare esplicitamente metodi e modelli, come algoritmi, e trattare tutti i dati in modo da renderli immediatamente disponibili per il calcolo”.

Per avere un’idea di come funziona Wolfram|Alpha, lo abbiamo messo alla prova, ponendogli qualche domanda: dopo aver inserito nel form il nome proprio “Emma”, il software lo interpreta correttamente come un nome proprio e ci informa che è il terzo nome più diffuso tra le bambine nate negli Stati Uniti nel 2007, (18.127 persone, frequenza pari a 1/115); il software calcola inoltre qual è la diffusione del nome sull’interno universo della popolazione attuale degli Stati Uniti. Wolfram|Alpha è molto in gamba anche quando si tratta confrontare dati, per cui, digitando “Emma vs. Mario”, il sito restituisce i dati statistici relativi ai due nomi in modo sinottico.

Se nella magica casellina inseriamo il nostro reddito netto annuo, Wolfram|Alpha ci farà sapere quanto guadagniamo per ora, per giorno e per mese (lavorativi o non): un esercizio che consiglio a tutti e che a me è servito per capire fino a dove mi posso spingere quando ho voglia di sprecare qualche soldo in acquisti superflui. Wolfram|Alpha mi è stato anche utile, ad esempio, per confermare lo stato di generale sottosviluppo in cui si dibatte l’Italia: digitando “Rome Milan”, si scopre che tra le due città c’è una distanza di 480 chilometri: se i treni Freccia Rossa, lanciati con gran pompa dalle Ferrovie dello Stato a fine 2008, impiegano tra le 3 ore e mezza alle quattro ore per collegare le due città, significa che essi viaggiano ad una velocità compresa tra i 120 e i 140 chilometri orari. A titolo di confronto, la linea Madrid - Zaragoza - Barcellona impiega 2 ore e 38 minuti per coprire una distanza di circa 600 chilometri!

Nel complesso, l’impressione è che il nuovo progetto di Stephen Wolfram potrà rivelarsi utile, anche se per il momento la sua reale portata è più ridotta di quanto le dichiarazioni esaltate del matematico inglese inducano a pensare. Fortunatamente, i centocinquanta ingegneri del suo team stanno lavorando sodo per integrare e migliorare il sistema, che in questi giorni ha registrato la centomilionesima query; è sperabile che presto a W|A siano in grado di rispondere in modo esaustivo alla domanda che gli ho posto oggi: “Che cosa è una macchina di Turing?” E’ un argomento che Wolfram e compagni dovrebbero conoscere a menadito. Attualmente, purtroppo, il sistema risponde con un frustrante: “Stiamo sviluppando nuove funzionalità per questo argomento”.

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