di Rosa Ana De Santis

Piace l’analisi coraggiosa di Todorov sulla paura della diversità e le dinamiche che governano la relazione con l’altro nell’Occidente. Lo sguardo attento del filosofo sa andare oltre i fatti della storia, gli avvenimenti comunque cosi chiari che governano la cronaca della nostra epoca. In Francia sta per uscire La peur des barbares, che ritrae con cura il profilo culturale dell’uomo occidentale, dominato dalla paura e affogato nella fuga permanente dall’incontro con l’altro. L’analisi parte dalla differenza tra cultura e civiltà. Cade il confine da sempre ostentato tra civiltà e barbarie, dove per civiltà s’intende - per vizio storico e abuso di potere - il codice della nostra cultura. Il lavoro del filosofo sta proprio nel ricondurre il concetto di cultura a un grado di neutralità sul piano morale, che impedisca di costruire un’architettura di eccellenze culturali rispetto alle quali gli altri siano collocati in un grado di subordinazione. Gli altri sono gli stranieri. All’altro sono associate le categorie concettuali che fuori dal recinto di casa nostra hanno sembianze poco note, odori e sapori che non sappiamo leggere e tradurre, che non sappiamo ricondurre con disinvoltura sotto l’egida dei nostri sistemi di pensiero. La lontananza, i linguaggi carichi di suoni irriconoscibili, il viaggio lungo strade lunghissime, carovane di umanità tartassata che arrivano a bussare alle nostre case in piena notte. Questo è oggi l’altro.

A seguito della perdita di vigore e sostanza nella diatriba interna tra destra e sinistra, tra comunismo e capitalismo, la dialettica ha spostato fuori il centro della propria anima. Oggi la filosofia è definitivamente uscita fuori dal sé, dal soggetto solitario che in modo autoreferenziale e monologico costruiva il mondo fuori attraverso le proprie categorie anche culturali. Oggi la filosofia vive nel concetto di relazione, grazie anche al contributo prezioso del pensiero femminista. E la relazione per eccellenza è quella che ci porta al cospetto degli altri. Quelli chiamati stranieri, ma trattati come barbari perché cosi percepiti, quelli che scatenano l’urgenza di analizzare e comprendere cosa sia l’integrazione, cosa la differenza, cosa il dialogo tra culture.

In evidenza sta la paura dell’Islam, uno dei temi più caldi e più strategicamente abusati per giustificare le politiche imperialiste e belliche dei nostri giorni. Non c’è dubbio che Endurity freedom con il nuovo Vietnam che ha generato ha potuto contare sul sostegno acritico dei cittadini statunitensi mossi dalla sola paura. Questo il parere di Tudorov. Un vento politico trasversale di oscurantismo e chiusura che ha sempre bisogno di un nemico semplice e ben identificabile da attaccare, aggredire, e dominare, ha coperto le teorie del dialogo e del multiculturalismo. Cosi le notizie che giungono dai nuovi fronti di guerra raccontano di prigionieri torturati, pratiche ingiustificabili in nome della lotta al terrorismo. Cosi le pratiche, anche quelle che addebitavamo ai barbari, sono – a quanto pare - roba di casa nostra. Cosi il terrorismo è caduto come un macigno su tutti i musulmani occultando le importanti differenze che stanno oltre questa definizione.

Todorov torna alla lezione degli illuministi, che è poi il sostrato teorico fondazionale di tutte la politica europea e la storia giurisprudenziale dei moderni stati nazionali. Niente più dell’Europa è un insieme di differenze, niente più della ricerca di uno strumento legislativo neutro ha potuto interrompere le guerre di religione e garantire la concordia di stati e statarelli diversi. Quello stesso senso della legge oggi può colpire pratiche barbare come la mutilazione dei genitali femminili, solo per fare un esempio, senza lanciare un’ombra di condanna a culture e a paesi, senza tracciare una geografia di culture giuste e culture sbagliate. Perché proprio la storia, e non solo la storia, ci dice quanta barbarie c’è al di qua del confine.

Ora, se la lezione di Todorov si nutre di un metodo di indagine filosofica che è poi quello classico della cultura post-kantiana, dove la relazione “io-tu” viene gestita da una rimozione della parte teoretico metafisica per una gestione solo pragmatica e dialogica del confronto, viene da chiedersi se questa sia al fondo la strada più completa; se la storia attuale non ci insegni piuttosto sia quanto questo stesso metodo speculativo sia figlio di una specifica cultura - e per questo scarso sulla soddisfazione procedurale - sia quindi se non debba integrarsi con altro.

Viene in mente il volto dell’altro nel linguaggio evocativo di Levinas. Viene in mente quel rialzo all’infinito, quell’assenza totale di paragone e confronto che sorge imprevisto e mai negoziabile nel confronto con l’altro. Come se quella relazione unica e univoca fosse ineffabile, sfuggisse all’analisi e alla regolazione pragmatica. Come se l’umanità dell’altro, prima ancora che poggiare le sue basi nel confronto tra culture e differenze, le poggiasse in una spinta verso l’alto, fuori dal piano orizzontale del mondo della vita, della sola fenomenologia.

Come a dire che molti dei nodi irrisolti del pensiero filosofico che governa lo studio del dialogo tra culture possano risiedere proprio nella rimozione della teoretica e della metafisica. Non della religione ovviamente. Eppure tutta la tradizione liberale e neo liberale sembrava potesse vincere proprio sull’assunto sperimentabile che ciò di cui non si potesse avere prova non andasse coinvolto nel piano della relazione intersoggettiva.

E se questo punto profondo di contraddizione non potrà essere risolto una volta per tutte e in modo univoco, sarà solo un’ulteriore conferma che sul concetto di umanità dovremo ancora ragionare a lungo, sempre più liberi dai dogmi della presunzione culturale, partendo da quel minimo assunto ontologico ed etico insieme che deve metterci nelle condizioni di riconoscere l’altro oltre il velo di diversi costumi, mentre vive in una diversa comunità e pensa un mondo diverso dal nostro. Sembra un passo semplice ed elementare eppure - Todorov dimostra - con puntuale precisione che la mistica dell’altro nell’idiozia di un corto circuito culturale è ancora ridotta a barbarie. E’ solo il tarlo della paura.

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