di Luisa Trojanis

Pochi giorni fa, in un seminario organizzato dalla “The Finnish Nature League“ a Rovaniemi, in Finlandia, si è discusso se il “predator tourism” (una forma di turismo che offre capanni mimetizzati nella tundra per l’osservazione e la ripresa fotografica degli animali  predatori) possa giovare al popolo dei Sami in termini di business. Gli orsi, i lupi, le aquile reali, le linci e i Gulo gulo, chiamati comunemente volverine o meglio ancora i ghiottoni (sufficientemente robusti da abbattere animali di notevole mole come la renna), non soltanto popolano i sogni dei turisti in cerca di brividi, ma sono l’incubo degli allevatori di renne, i Sami, in continua lotta con questi “inquilini poco socievoli”.

Secondo le notizie diffuse dalla “Reindeer Herders’ Association”, l’Associazione degli allevatori di renne, nel 2011 i predatori hanno razziato tremila renne che sono costate al governo finlandese cinque milioni di euro, perché a tanto sono ammontati i risarcimenti agli allevatori danneggiati. Un esborso considerevole, davvero inevitabile?

Il richiamo della foresta che trova il suo assolo più coinvolgente nell’osservare e fotografare, celati nei capanni, gli animali predatori che addentano carcasse di suini o altre carni opportunamente disseminate sui “punti giusti” dagli organizzatori del safari fotografico, attira un sempre maggior numero di turisti alla ricerca dello scatto migliore o del brivido intenso. Quasi in sintonia, anche i predatori che “pascolano” nell’area sono aumentati di numero, sebbene il lupo, massacrato dai cacciatori abusivi di pelli, stia rischiando l’ estinzione.

E così quasi ogni giorno, stormi di turisti - in prevalenza olandesi, tedeschi, francesi e inglesi - si sistemano diligentemente nei capanni, preparati ad attese estenuanti pur di  fotografare un orso, una lince, un Gulo gulo o altro carnivoro mentre scarnifica i bocconi che gli accorti organizzatori hanno disseminato qui e là, non molto vicini ai capanni, ma nemmeno troppo lontani.

Se per secoli la natura ha funzionato come dovrebbe funzionare, da qualche tempo a questa parte nel tentativo di salvarla e con essa noi, ci si adopera in soluzioni che stravolgono il corso “naturale” delle cose. E’ innegabile che dietro questa voglia di salvare il salvabile con progetti eco-sostenibili, eco-compatibili e via dicendo, ci sia il desiderio di unire l’utile col dilettevole.

Lassi Rautiainen, il fotografo naturalista che aderì al  “predator tourism” nel 1990 quando il safari fotografico si faceva soltanto con gli orsi, sostiene che per incentivare questa singolare forma turismo, bisognerebbe attirare con le esche un maggior numero di  animali predatori non soltanto per gli obiettivi dei viaggiatori in cerca di emozioni.

Perché, spiega Rautiainen, se i predatori si satollano grazie ai turisti, i pastori Sami avranno meno da temere per le loro renne. Non sembra però convinto Lauri Ukkola, un allevatore che vive nella Lapponia finlandese, perché quando gliene accenno comincia a scuotere la testa.

Da una parte “predator tourism” gli piace perché al di là del business è anche un’opportunità per fornire cibo alle aquile reali che durante l’inverno hanno una vita grama più di altri predatori. Dall’altra parte far avvicinare i carnivori troppo vicino ai pascoli  Ukkola non la ritiene una  buona idea. Perché i pastori hanno  osservato come sovente, la lince , il lupo, il Gulo gulo caccino anche a stomaco pieno. Probabilmente è l’ irrefrenabile istinto ad azzannare che li tiene in tensione, più che la voglia di carne. Chissà cosa frulla nel capo del Ghiottone, meglio non approfondire.

Certo è che gli animali predatori, almeno da queste parti, non sembrano attratti da prede macilente, in difficoltà motoria, o troppo avanti negli anni. Piuttosto sono attratti dalle loro carni sode, dai muscoli scattanti, che assicurano l’emozione della corsa sfiancante, il “piacere” di una sfida che vede predatori e prede insieme nella lotta per la sopravvivenza.

Naturalmente siamo noi che carichiamo questi scenari di significati per costruirvi una “storia” a nostro uso e consumo. Ma si possono davvero frenare gli istinti, si può davvero pensare di poter contrastare la natura anziché dominarla?

Che gli equilibri siano alterati lo vediamo tutti i giorni, sicché non  si può fare a meno di chiedersi  come gli animali in futuro reagiranno a tutto questo. Infatti, se l’animale predatore cessa di essere tale, se  si procede ad una sorta di selezione per surrogare quello che per secoli ha caratterizzato un territorio, uno stile di vita, una convivenza così peculiare, quale sarà la sostanza del “wildlife” nel nome del quale si promettono emozioni inimmaginabili?

Per motivi di lavoro e ragioni di vita il Grande Nord mi appassiona, e con esso tutte le problematiche legate a quelle nazioni nelle quali la percentuale di foreste e di laghi supera di gran lunga quella degli umani. Fin dai primordi l’uomo ha dovuto confrontarsi con una natura difficile, a volte impietosa - si tenga a mente le temperature polari - dove l’unico mezzo per procacciarsi il cibo era condurre una vita nomade con gli animali, in  cerca di nuovi pascoli e nuove fonti di cibo sfruttando anche la pesca. I Sami, popolo indigeno, presente in Finlandia, in Svezia, in Norvegia e nella penisola di Kola russa, sono tutto questo (http://www.altrenotizie.org/ambiente/4819-una-vita-in-lapponia.html).

Da generazioni questo popolo di tradizione orale ha trasmesso ai loro figli il rispetto per una natura da “usare” ma anche da “restituire” muovendosi in un ambiente senza oltraggiarlo, anzi rispettando e onorando ciò che la natura ogni giorno dava loro. Naturalmente molte cose sono cambiate. I Sami non sono più nomadi di professione, o per essere nel giusto lo sono soltanto in certi mesi dell’anno, nei periodi della transumanza. Il progresso ha mutato gli usi e i costumi anche ai Sami. Tuttavia la natura, non sempre segue il progresso.

Da dieci anni mi occupo di “Artico” e mi fa compagnia il mio husky siberiano, Ginger. Un animale meraviglioso che possiede tutte le caratteristiche di chi abita e vive il Grande Nord: fierezza, caparbietà e istinto irrefrenabile per la libertà. Gli spazi aperti sono il suo habitat ma anche il suo limite.

Qualche settimana fa, l’istinto gli ha preso di nuovo il sopravvento e, sebbene sia un cane fortunato rispetto ai suoi coetanei costretti a vivere in un appartamento, non gli è bastato. In seguito a questa “fuga” repentina e inaspettata di Ginger nella tundra artica, per la prima volta ho temuto che il mio “cagnolino” riappropriandosi del suo istinto ancestrale, si potesse trasformare in un predatore e potesse combinare qualche guaio. Siccome vivo in una zona circondata da mille chilometri quadrati di foreste incontaminate, patria indiscussa delle renne e dei pastori Sami, ero pervasa dai timori.

Possibile che il mio husky siberiano, il mio Ginger, in pochi giorni si fosse trasformato in una sorta di zanna bianca? In molti l’ avevano visto, ma nessuno osava avvicinarlo per paura appunto che si trattasse di un lupo. Infatti la sua colorazione, in estate quasi bianca, lo rendeva simile al temibile predatore sempre pronto ad assalire uomini e animali.

Per fortuna il tam tam mediatico intorno a questa fuga inusuale ha acquietato le anime più impaurite da un possibile incontro col  lupo cattivo delle fiabe. Così Ginger non solo si è salvato dalle fucilate, ma addirittura è riuscito a tornare a casa con una scorta di renne.

Naturalmente gli amici Sami che in quei giorni con gli elicotteri sorvolavano le aree semidesertiche per monitorare i cuccioli di renna, mi hanno dato una mano nella ricerca. Compito per loro non facile e  persino scomodo poiché erano costretti ad aguzzare la vista per non confondere Ginger con i molti predatori che in estate prediligono i cuccioli appena nati adagiati sull’erba ai limiti dei boschi. Stando così le cose potremo mai frenare o peggio ancora trasformare gli istinti degli animali predatori che popolano le foreste?  Poiché - l’abbiamo visto - sebbene sazi non demordono dal cacciare. Per scrollarci la paura dovremmo decimarli tutti o almeno la gran parte di loro?

Meglio ritornare a convivere con la natura accettandone i pregi e i difetti come era in uso un tempo. Per prima cosa dovremmo però imparare a tenere a debita distanza tutti  coloro che avviluppati nella patina appiccicosa del perbenismo si mostrano dalla parte degli animali, mentre nel segreto stimano il portafogli come il bene più prezioso da tutelare. Il compito non è facile, ma ci si può almeno provare.

 

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