di Alessandro Iacuelli

Il presidente dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), Bernardo De Bernardinis, ha finalmente presentato (con quasi un anno di ritardo) il rapporto 2010 sui rifiuti speciali. Il rapporto sui rifiuti in Italia 2010, infatti, era comparso senza il capitolo più importante: quello dedicato ai rifiuti speciali, lasciando l'Italia nello sconcerto di non avere neanche dati ufficiali a disposizione. In pieno 2011, arriva il rapporto 2010, basato sui dati del 2007 e 2008.

Nel dossier messo a punto dall'Ispra, ricco di dati, si parla della produzione di rifiuti speciali, della loro gestione anche a livello regionale, delle criticità, del trasporto transfrontaliero, delle apparecchiature elettroniche, oltre che dei rifiuti contenenti amianto e di impianti, discariche e inceneritori operanti a livello nazionale.

Il primo dato che salta all'occhio, un po' ingannevolmente, è il calo della produzione di rifiuti speciali pericolosi, molto evidenziata dalla stampa come un grande successo nazionale, probabilmente per bilanciare il notevole aumento della quantità totale di rifiuti speciali prodotti. E' bene quindi evidenziare fin da subito come questo calo, di quasi 70.000 tonnellate, corrisponde appena allo 0.6% in meno rispetto ai rifiuti speciali prodotti nel 2006.

Ben poca cosa, quindi. Ne produciamo milioni di tonnellate, pertanto 70.000 in meno non sono un grosso risultato e corrispondono a meno di una delle navi che settimanalmente mandiamo, cariche di sostanze nocive, vero i Paesi del terzo mondo, meno della quantità di rifiuti tossici extraregionali che ogni mese vengono smaltiti abusivamente sul territorio nazionale.

A fronte di questa scarsa diminuzione, c'è un aumento dei rifiuti speciali dell 1,2% del totale, corrispondenti a ben 1,6 milioni di tonnellate. In più. Pertanto, il risultato positivo a dire il vero non si vede. Tirando le somme, l'Italia nel 2008 ha prodotto un totale di 138,7 milioni di tonnellate di rifiuti specali, di cui 72.4 non pericolosi, 11,3 pericolosi e 55 milioni dal settore costruzioni e demolizioni. Successivamente, probabilmente tra anni, sapremo quanti di questi sono spariti, per mano delle ecomafie.

Il maggior contributo alla produzione di rifiuti pericolosi arriva dalle attività manifatturiere, con quasi 6,1 milioni di tonnellate, il 53,8% circa del totale dei rifiuti speciali pericolosi prodotti nel 2008. Ancora una volta rifiuti industriali, quindi. Dove la maggioranza relativa resta detenuta dall'industria chimica e metallurgica.

Sono questi i principali macroindicatori del Rapporto Rifiuti Speciali dell'ISPRA. Per quanto riguarda il recupero e lo smaltimento, la forma di recupero di materia più diffusa, comunque riservata a meno di un milione di tonnellate, è il cosiddetto "recupero di metalli", seguito dal "recupero di sostanze organiche". Cresce del 22% rispetto al 2007, la quantità totale di rifiuti urbani e speciali esportata all'estero, raggiungendo un totale pari a oltre 2,4 milioni di tonnellate, di cui oltre 1 milione pericolosi e circa 1,4 milioni non pericolosi.

Per quanto riguarda i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, l'ammontare gestito nel 2008 è di circa 409 mila tonnellate: di questi, oltre 177 mila tonnellate rientrano nella categoria RAEE domestici e oltre 231 mila a quella del RAEE professionale. I RAEE esportati sono pari a circa 96 mila tonnellate, in gran parte ancora una volta fuori dell'Unione Europea. Grande mole di numeri e dati ma, come si vede, ben poche le sorprese. Tra queste, il fatto che il nostro Paese ha invece importato, sempre nel 2008, oltre 2,2 milioni di tonnellate, di cui circa 28mila di rifiuti pericolosi.

Ben poco di consolante, in definitiva. I rifiuti solidi urbani nel 2008 non hanno superato i 32 milioni di tonnellate, a fronte dei quasi 140 di speciali, pertanto la gestione dei rifiuti speciali sta diventando, nella disattenzione generale, l'emergenza nazionale di domani. Ci troviamo dinanzi ad una gestione arretrata dei rifiuti del mondo produttivo, dotato di processi industriali già di per se arretrati, basati sul massimo profitto immediato e sui minori costi da sostenere, senza alcuna valutazione dei costi ambientali e sanitari.

In assenza di impianti di smaltimento che bastino per tutti, e considerando che si tratta di forme di smaltimento particolarmente costose, che hanno alla base la messa in sicurezza delle sostanze pericolose, da sempre ogni Paese adotta forme proprie e particolari per disfarsi degli scarti delle attività  produttive. Il nostro Paese ha scelto la strada della vendita a Paesi asiatici, quando si tratta di materiali recuperabili, e dello smaltimento illecito di ciò che non è recuperabile.

Verso la Nigeria ed il golfo di Guinea, quando si tratta di grandi quantità , sul nostro stesso territorio quando si tratta di moli che non rendono conveniente l'imbarco via mare. Così, se fino a qualche anno fa i fenomeni di smaltimento illecito erano propri solo delle regioni a tradizionale presenza mafiosa, tra le quali la Campania è sempre stata in testa, oggi leggiamo simili casi riferiti a tutta l’Italia.

Le prospettive per il futuro? Come ha dichiarato De Bernardinis alla presentazione del rapporto Ispra "questi dati sono particolarmente importanti perché numeri ufficiali e validati sui quali si può costruire una pianificazione nel Paese”. Pianificazione che arriva in ritardo, se nel 2011 abbiamo appena i dati del 2007 e 2008. De Bernardinis ha però assicurato che "avremo la possibilità di accedere a dati in tempo reale grazie al sistema di tracciabilità Sistri che ci consentirà di superare questi tempi lunghi di studio e monitoraggio". Staremo a vedere.

 

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