di Emanuela Pessina

BERLINO. Anche la Germania si trova ad affrontare il problema dei rifiuti, un’emergenza di natura diversa da quello che sta sconvolgendo l’Italia in questi mesi, ma di entità non inferiore. Si tratta del treno delle scorie radioattive proveniente da La Hague che, dopo interminabili chilometri di proteste, è arrivato nel circondario rurale di Luechow- Dannenberg, nella Bassa Sassonia, per l’interramento definitivo presso Gorleben. Ad attendere il carico tossico lungo il tragitto c’erano oltre 40mila manifestanti: il Governo tedesco non offre le garanzie di sicurezza necessarie e i cittadini tedeschi si sono sentiti, una volta di più, alla mercé degli interessi economici delle lobby dell’energia nucleare.

Il convoglio ha trasportato 123 tonnellate di materiale tossico, un carico da molti considerato “il più radioattivo della storia”. Non è la prima spedizione di questo tipo verso l’area di Gorleben, ma mai in passato si è parlato di quantità così elevate: e anche la manifestazione anti-nucleare di quest’anno è stata la più violenta degli ultimi decenni. Presso Hitzacker, a qualche decina di chilometri dalla meta, i manifestanti hanno incendiato dei mezzi da lavoro per impedire il passaggio del convoglio e la polizia ha fatto fatica a riportare la situazione sotto controllo. Diverse centinaia di persone si sono incatenate ai binari: azione di grande temerarietà, poiché nel 2004 un ragazzo francese di 21 anni ha perso la vita proprio in questo modo, travolto dal treno delle scorie.

La maggior parte dei manifestanti, tuttavia, ha tentato di bloccare il treno togliendo le pietre dai binari: la polizia ha reagito all’iniziativa con manganelli e spray immobilizzanti. Gli scontri sono continuati fino a tarda notte, ritardando ulteriormente l’arrivo del convoglio a destinazione. Tra l’altro, le forze dell’ordine impiegate per proteggere il carico sono state cospicue, si parla di 17mila unità. Il trasporto del materiale tossico è costato ai cittadini oltre 50 milioni di euro: l’industria del nucleare incassa i miliardi di guadagno, ma per la sicurezza sono i cittadini a pagare. Una situazione, a detta di molti, inconcepibile.

Le scorie provengono dal deposito Areva, ex-gruppo Cogema, di La Hague, sulle coste nord occidentali della Francia. Areva è un impianto per il trattamento del combustibile nucleare, che scompone i rifiuti radioattivi e ne isola le parti eventualmente riutilizzabili per un successivo ciclo di produzione. Secondo gli ambientalisti, l’operazione presuppone lo scarico quotidiano di milioni di litri di liquidi tossici nell’oceano della Normandia. L’impianto tratta i rifiuti nucleari prodotti da Europa, Giappone e Svizzera.

Ma fusione e fissione producono anche uno spreco non rinnovabile per cui non esiste nessuno smaltimento definitivo. Areva scioglie questa “spazzatura” tossica in vetro liquido e la inserisce in conchiglioni di acciaio inossidabile, per poi rispedirla alla nazione originaria come stabilito dal diritto internazionale. Sono i cosiddetti Ca.s.t.o.r. (“cask for storage and transport of radioactive material”), i barattoli giganti di più di cento tonnellate di peso che diventano la tomba finale delle scorie radioattive: sostanze, non dimentichiamolo, che raggiungono una temperatura di 200 gradi centigradi.

Una volta a Gorleben, quindi, i Castor vengono sotterrati tali quali nella fossa predisposta. Si tratta di una vecchia miniera di sale, un elemento che dovrebbe teoricamente garantire l’isolamento del materiale tossico dall’ambiente circostante nel tempo. Ma la sicurezza è, appunto, solo teorica. Una commissione governativa sta ancora valutando con certezza le condizioni geologiche di Gorleben e non è chiaro quanto le cave di sale in questione siano adatte al deposito definitivo dei rifiuti tossici.

 Diversi geologi hanno rilevato il pericolo d’infiltrazioni d’acqua, ruggine e formazione di bolle di gas nel pietrame attorno ai contenitori: a quanto pare, a Gorleben il materiale radioattivo non è isolato a dovere. Alcuni esperimenti risalenti alla fine degli anni ’80 avrebbero addirittura dimostrato l’esistenza di rischi concreti. Inoltre, sembra che le radiazioni tossiche facciano un baffo ai contenitori Castor: la radioattività si riduce con la distanza, ma gli imponenti imballaggi non proteggono chi ci vive attorno e quello che vi cresce vicino. In poche parole, ancora mancano certezze.

Il Governo di Angela Merkel (CDU), tuttavia, non sembra assolutamente intenzionato a risolvere i dubbi nell’immediato: la prossima perizia a Gorleben è prevista per il 2050 ed è destinata a rinnovare l’autorizzazione per il “parcheggio” radioattivo. Una farsa delle formalità, in sostanza, poiché le scorie rimangono nocive per diverse centinaia di migliaia di anni.

Senza dimenticare che il Governo di Berlino ha recentemente deciso di prolungare l’attività delle centrali atomiche tedesche di 14 anni. Protestando contro Gorleben, i tedeschi hanno espresso dissenso nei confronti di un Governo che ha ri-scelto il nucleare senza essere disposto a far le cose per bene in nome della sicurezza. Perché il deposito di Gorleben, più che una scelta dettata dalla ragione, sembra il frutto della convenienza politica ed economica dei gruppi energetici: la sicurezza dei cittadini, quindi, ancora una volta è stata sacrificata agli interessi delle lobby nucleari. Un pasticcio, insomma, che difficilmente il Governo Merkel sarà in grado di recuperare, e che dovrebbe far preoccupare tutti quei Paesi che hanno intenzione di intraprendere la strada dell’energia nucleare senza sapere cosa significhi nella quotidianità.

 

 

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