di Alessandro Iacuelli
"Aprire una discarica in un parco nazionale era una scelta da evitare". Lo dice il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, in una trasmissione di Radio Svizzera Italiana. E non sbaglia, visto che si tratta di una scelta ottusa e in contrasto con leggi e regolamenti dello Stato, oltre che con le direttive dell'UE, che vietano tassativamente la costruzione d’impianti in riserve naturali. Anzi, a dirla tutta, le direttive europee dicono anche che di discariche non se ne devono proprio più fare. Allora? Perché all'improvviso scoppia una nuova emergenza rifiuti in Campania e tutta la politica dice che occorre destinare a discarica la cava Vitiello, tra Terzigno e Boscoreale, che c'è una legge dello Stato che lo prevede?
E’ un clamoroso inganno, basato sulla scarsa memoria storica sia della maggior parte delle persone (che continua a fregarsene dei propri rifiuti) sia della falsamente scarsa memoria storica di chi dovrebbe fare opposizione. Tanto per cominciare non può esserci una legge dello Stato che dice che a Terzigno va aperta una seconda discarica. Non può esserci, perché sarebbe in violazione di altre leggi, di regolamenti del ministero dell'Ambiente e di precise norme UE. C'è qualcosa di scritto, è vero, ma non è una legge.
E' un decreto d'urgenza, risalente al maggio 2008, voluto dal commissariato straordinario per i rifiuti che, nel nome del "fare presto" a ripulire la parte salotto della città (sull'emergenza rifiuti si era giocata la campagna elettorale alle politiche di quello stesso anno e Berlusconi aveva detto a gran voce che avrebbe "risolto lui" il problema nei primi 100 giorni) preferì - tanto per cambiare - sacrificare il "fare bene", con il “fare presto”. Risultato, una discarica che andava fatta più lontana dalle abitazioni e non dove la natura è protetta. E di studi che indicavano dove mettere le discariche ce n'erano stati, anche più di uno. Ma si andava di fretta e a chi protestava Bertolaso, con la solita arroganza, accusava di mettere i bastoni tra le ruote.
Il fatto che esista una legge, lo sentiamo ogni giorno urlare dagli schermi televisivi da parte del governatore Caldoro come dal presidente della Provincia Cesaro; ma é è un "mito" di Stato che va assolutamente sfatato. Prima che, a furia di ripeterlo in televisione, diventi nella mente dei cittadini un’inoppugnabile verità. Quella che chiamano "legge" si chiama "decreto-legge", ha un numero (decreto 90/2008) e un testo qui reperibile: http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/decreto_rifiuti/20080523_dl_90.pdf
Se qualcuno ha la pazienza di leggerlo, si accorge di due cose. La prima è che si parla sia della cava Sari sia della cava Vitiello a Terzigno, eppure fino ad ora è bastata la cava Sari. La seconda cosa è un pugno in un occhio: quel decreto è scaduto.
E' scaduto il 31/12/2009, pertanto non ha alcuna validità legale, tornando ad essere quel che è: carta straccia. Anzi, a dire il vero, tutto il commissariato straordinario all'emergenza rifiuti è diventato carta straccia, visto che non c'è più. E' vero, esiste la legge 123/2008, che pomposamente si chiama "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90", ma le modificazioni sono così tante (l'elenco è più lungo del decreto 90 stesso), da modificare e stravolgere completamente quel decreto, ma l'abile mossa psicologica di Berlusconi fu di chiamarlo "conversione in legge del decreto 90/2008", forzando l'idea che quel decreto fosse diventato legge. E forzando contro ogni logica la proroga dell'apertura delle discariche campane. Altro che "camorra dietro le proteste", che come mostreremo stavolta non c'entra nulla: siamo di fronte ad un illecito commesso dallo Stato stesso. E non è l'unica cosa che va "storta". Va storto anche che il comma 2 dell'articolo 14 di quel decreto, che elenca i codici CER, cioè in definitiva le categorie merceologiche di rifiuto, che possono essere tombati a Terzigno e negli altri siti campani. E si tratta dei codici CER dei rifiuti residui a valle della raccolta differenziata. Vengono vietati i rifiuti tal quale, quelli non trattati, cioè quelli uguali a come sono stati presi dai cassonetti: cioè quelli che vengono tombati alla Sari e presto anche a Cava Vitiello.
Che cosa sta succedendo? E come spiegare il grande "colpo di fortuna" avuto dalle istituzioni alcuni giorni dopo, quando si è interrotta la raccolta dei rifiuti urbani nella città di Napoli? Già, perché di grande colpo di fortuna si tratta, il trovarsi davanti al fermo della raccolta in una città di un milione di abitanti, ed avere la scusa "pronta": gli abitanti di Terzigno e di Boscoreale bloccano le discariche, per cui la raccolta è ferma. Ma è così? La risposta è no. E' solo l'inganno successivo. E se non è per questo, allora Terzigno cosa c'entra? Nulla. Terzigno e Boscoreale, ancora una volta, sono vittime dell'inganno di Stato. Usate come "scusa", per far sembrare che sia colpa loro se il sistema si è inceppato.
Partiamo allora da quello che è stato il reale inceppamento del sistema di raccolta. Appunto, del sistema di raccolta, non di smaltimento. Si è interrotto il passaggio dei camion autocompattatori che raccoglievano dai cassonetti stradali, pochi giorni dopo l'inizio della fase di scontro e di rivolta popolare a Terzigno e si è addossata la colpa alle proteste popolari. Invece c'è dietro un problema amministrativo, con dei risvolti degni di un romanzo thriller. E forse la soluzione non è a Terzigno, dove d'altronde lo Stato, la Regione, la Provincia, lo stesso Bertolaso, sapevano già in anticipo che avrebbero trovato resistenza. Hanno trovato resistenza per la Sari, due anni fa, e oggi gli animi sono anche più esacerbati di allora. Pertanto era più che prevedibile che ci sarebbero stati problemi, un riaprirsi di quella frattura democratica, di cui spesso si è parlato qui su Altrenotizie, già aperta in Campania dal commissariato straordinario. Ma allora, se lo sapevano, perché l'hanno fatto?
A Napoli si sono fermati gli autocompattatori. Punto. Questo è successo. Ma allora, dando una lettura superficiale alla cosa, viene in mente di lasciare Terzigno per qualche ora e andare a porre la domanda presso l'Asia, la municipalizzata di Napoli. C’è però da fare attenzione, perché anche qui c'è un inganno, l'ennesimo. Infatti, l'Asia non ha sufficienti mezzi. Pertanto ha suddiviso il territorio della città in diversi "lotti" ed ha assegnato ciascun lotto con una regolare gara d'appalto ad un privato. Ma c'è un privato che è un po' più importante di altri. Perché ha più del 66% dei lotti tutti per sè!
Quindi, se si fermano i suoi veicoli, si ferma la raccolta su oltre due terzi di Napoli. Questo soggetto è un colosso nazionale: Enerambiente, azienda privata di proprietà dell'imprenditore veneziano Stefano Gavioli. Che non campa solo di Enerambiente, visto che è appena una delle 35 società del suo impero societario, peraltro difficile da inquadrare, visto che i pacchetti azionari si perdono in giro per le sue stesse scatole cinesi. Intanto, quel che é certo, è che per capire cosa sta succedendo, bisogna lasciare anche Napoli, e andare di corsa direttamente a Venezia.
La Enerambiente, che ha fermato i suoi camion a Napoli pochi giorni dopo l'inizio degli scontri di Terzigno, ha provocato la mancata raccolta dai cassonetti e, quindi, l'emergenza rifiuti. L'Asia smentisce, dice un'altra cosa. Se invece questa fosse la ragione, non sarebbe certo colpa della gente vesuviana. Ed è allora un altro inganno da smascherare assolutamente, prima che si perda memoria di un'azienda con questo nome, perché prima o poi lo cambierà, cambierà anche sede e rappresentante legale. Fatto sta che non è stato certo Gavioli a fondarla.
L'ha "ereditata" per scorporo dalla Slia, una delle tante aziende di Manlio Cerroni. Proprio lui, il re dei rifiuti di Roma, il proprietario di Malagrotta. Un bel giorno, la Slia incappa in una interdittiva antimafia del Prefetto di Roma. Gavioli, da Venezia, ne approfitta: la compra "in liquidazione", cambia consiglio di amministrazione e la "ripulisce" dai collegamenti sporchi.
Se si prova a chiedere perché Enerambiente ha fermato i propri compattatori a Napoli, si ottiene come risposta che l'azienza veneta ha fermato i veicoli perché l'Asia di Napoli sarebbe insolvente nei loro confronti. In Asia negano, conti alla mano: ma se si prova a cercare quello che risultava essere l'amministratore delegato di Enerambiente, un tal dottor Faggiano, non lo si trova. Come mai?
Semplice: è latitante. Dopo una condanna in primo grado a 1 anno e quattro mesi per un caso di tangenti a Brindisi, anziché aspettare il processo d'appello ha preferito alzare i tacchi. Sarà all'estero. Magari con una parte di soldi della Enerambiente. Magari giusto con la cifra che a Venezia citano per dichiarare insolvente l'Asia. Ma queste chiaramente sono solo ipotesi, solo un ragionamento assolutamente non suffragato da fatti che, come si evince in tutta evidenza, vanno ricercati e chiariti da una Procura della Repubblica: solo la magistratura inquirente potrà appurare se Faggiano è scappato con la cassa o senza.
Il posto di Faggiano l'ha preso lui in persona, il Presidente e proprietario, Stefano Gavioli. Che a Napoli ha consolidato le sue alleanze. Nella sua squadra c'é Corrado Cigliano, uomo chiave dell'azienda a Napoli, figlio dell'ex assessore socialista alla Nettezza urbana di Napoli Antonio Cigliano, fratello di Giuseppe, anche lui dipendente di Enerambiente, e Dario, il terzo fratello, consigliere comunale e provinciale a Napoli. Una bella potenza familiare.
L'Enerambiente a Napoli ha subito diversi attentati ai propri mezzi, dopo lo scoppio dei disordini a Terzigno. Pertanto, è stato facile per le agenzie di stampa scrivere: "Camion dei rifiuti incendiati e danneggiati nel Napoletano. La spazzatura è stata riversata in strada. A Boscoreale, alcune persone con il volto coperto da caschi hanno incendiato un autocompattatore".
E' un altro inganno mediatico: i mezzi di Enerambiente sono stati distrutti davvero, ma a Napoli. E Boscoreale non c'entra niente, anche perché qualche notte fa, nella zona industriale di Napoli, qualcuno ha assaltato l'intera sede napoletana di Enerambiente. Azione organizzata, con molti partecipanti, vista l'entità dei danni. Un raid in grande stile: uffici devastati, 46 mezzi danneggiati. Cinquanta partecipanti, secondo la Digos. Problemi di camorra? La cosa è stata subito chiusa così, troppo frettolosamente. Ancora una volta la camorra è usata come alibi e non si punta alla camorra quando si dovrebbe davvero, cioè a proposito del mondo oscuro delle ecomafie.
Intanto tra tutti gli inganni tirati in ballo finora, ci sono ancora almeno due punti oscuri. Per cominciare: per quale motivo Enerambiente ha fermato i suoi mezzi a Napoli? Secondo: chi ha organizzato un raid contro la sua sede partenopea? Poi ovviamente qualche lettore si starà chiedendo cosa c'entra cava Vitiello in tutto questo. Cerchiamo di far quadrare il cerchio nel modo più ordinato possibile.
La Enerambiente se ne deve andare da Napoli, è già stato deciso dietro le quinte. Ecco perché si è fermata: sta smantellando la sua ala napoletana. Già al primo di novembre cesserà ogni sua collaborazione con le municipalizzate campane. E perché? La risposta ovviamente è altrove, non a Napoli, non a Venezia, ma da tutta un'altra parte. La risposta si trova in Abruzzo, dove Enerambiente è corsa ad acquistare partecipazioni nelle società ambientali, come quella di Teramo. E la risposta dice che ancora adesso Enerambiente è oggetto di un esame dell'antimafia, recapitato all'Asia dalla Prefettura di Venezia: secondo indiscrezioni si tratterebbe di un’informativa antimafia atipica.
E' un atto giuridico un po' ostico per i non addetti ai lavori; solitamente viene rilasciata quando gli indizi non assumono caratteri di gravità, precisione e concordanza tali da giustificare un effetto interdittivo automatico, ma contemporaneamente esistono elementi specifici non tanto di "appartenenza mafiosa", quanto di "infiltrazione mafiosa". Infatti, per essere legittimamente emessa è sufficiente il "tentativo d’infiltrazione" avente lo scopo di condizionare le scelte dell'impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato, o se è in corso.
Quindi diviene plausibile che i soggetti pubblici, compresa l'Asia, che hanno rapporti con Enerambiente, abbiano voluto rescindere i contratti, una volta ricevuta l'informativa dal Prefetto di Venezia. Ad avvalorare questa tesi, è successo che qualche giorno prima, nel corso di un'interrogazione parlamentare, il deputato del Pdl abruzzese Daniele Toto ha chiesto al Ministro dell'Ambiente "se risponde al vero che in Enerambiente lavori un personaggio che agisca da anello di congiunzione tra i clan di Castellammare di Stabia e la Sacra Corona Unita". Un’analoga interrogazione parlamentare è stata presentata anche dall'On. Angela Napoli. Enerambiente lavora anche a Teramo, e anche a Teramo è arrivata l'informativa ed ha smesso di lavorare. Nel capoluogo abbruzzese hanno detto che Enerambiente è in sciopero.
Dove sarebbe la camorra, quindi? Dietro la rivolta popolare di Terzigno? Diviene poco credibile. Viene il sospetto - che ci auguriamo che le procure dissipino - che la camorra tanto per cambiare si sia infiltrata nei trasporti e nelle forniture di automezzi. Come ha sempre fatto. Un altro inganno che salta. La camorra, nel ciclo rifiuti urbani, lucra sui trasporti. O il trasporto lo si fa a Terzigno, o lo si fa altrove, l'appalto è lo stesso e le cose non cambiano. Ci sarebbe semmai da riflettere sul perché, ora che i meccanismi d’infiltrazione sono noti, il tutto avvenga ancora.
Dove la camorra lucra sul serio è sullo smaltimento dei rifiuti speciali, molto più costoso, molto più pericoloso, molto più velenoso. Eppure, da un po' di tempo anche delle fonti autorevoli raccontano che si tratta di un traffico "in declino" o addirittura "finito", adducendo motivazioni molto fantasiose. Certamente il traffico ha cambiato faccia, si è fatto più furbo e se fino a ieri era quasi completamente sovrapposto al ciclo del cemento, ora si sta andando a infiltrare nel ciclo agricolo, con manovre pericolosissime che, in definitiva, ci fanno arrivare i rifiuti tossici direttamente nel piatto.
E con un filo conduttore neanche troppo invisibile che lega indissolubilmente, da ora in avanti, la Campania all'Abruzzo, Napoli e Caserta a Teramo e L'Aquila. Un filo conduttore che fa ragionevolmente supporre che sarà l'area sul lato del Gran Sasso rivolta verso l'Adriatico che potrebbe essere la terra di sversamento dei rifiuti tossici dell'industria italiana di domani. Questa però è un'altra storia, diversa, che potrà essere raccontata in un'altra occasione.
Per quanto riguarda il raid alla sede della Enerambiente a Napoli, ne sono state pensate tante. L'estorsione, qualcosa andato male in un giro di lavaggio non di rifiuti ma di denaro altrettanto sporco. Sembra confermarlo un recente rapporto della Procura Nazionale Antimafia, che racconta come la gestione delle discariche e la mala gestione delle compartecipate pubbliche siano spesso un modo per ripulire del denaro illecito. Forse le cose stavolta sono più semplici, probabilmente delle tensioni sindacali, o dei problemi con degli interinali.
Non si capisce però una cosa: perché il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, abbia raccontato, alla fine di un vertice con il prefetto Andrea De Martino e con il generale Mario Morelli, capo della struttura che sta gestendo il rientro alla normalità, che "Enerambiente questa notte ha avuto all'improvviso 68 malati: il problema è ora di vedere con l'Inps e l'Asl, nel pieno rispetto del diritto di chi è malato sul serio, quelli che non sono malati e visto che sono pagati devono andare a lavorare". Storia un po' strana. I lavoratori di Enerambiente a Napoli sono circa 400 e sono rimasti tutti fermi, non 68 ammalati. A Napoli ammalati, a Teramo in sciopero. Viene voglia di chiedere a grande voce: "Si può sapere perché non si può dire la verità, e cioè che c'è in ballo una informativa antimafia?"
All'Asia smentiscono e dicono, cosa peraltro giusta, che i flussi dei rifiuti li decide la Regione e che dalla Regione è arrivato "l'ordine" di dirottare i camion, che andavano a scaricare a Chiaiano, verso Terzigno. Ed ecco costruito il coro istituzionale, dalla Provincia al Governo, passando per la Regione: "Siamo in emergenza perché a Terzigno la gente blocca la discarica". Viene voglia di dire a tutti gli italiani di non cascare in questa bufala, in questo ennesimo inganno.
Intanto a Terzigno non c'è stata mai una discussione, una conferenza dei servizi, un confronto. La discarica è stata imposta. Anche all'Ente Parco Nazionale del Vesuvio. Non si poteva fare altrimenti, dal punto di vista berlusconiano: aveva promesso contemporaneamente di ripulire Napoli, abolire le Provincie, e provincializzare la gestione dei rifiuti. Per cavarsela, il cavaliere ha dovuto spingere anche all'interno del PDL per avere eletto presidente della Provincia quel Luigi Cesaro, suo uomo di fiducia, accusato a più riprese da decine di pentiti che l’hanno sempre indicato come intimo di Raffaele Cutolo; lo stesso Cesaro non ha mai negato una forte amicizia con il capo della Nuova Camorra Organizzata.
Anche nel 2006 è stato detto che un pentito, che in realtà si era già cantato tutto nel '93, ma evidentemente all'epoca non si poteva dire, lo ha indicato come braccio destro dell'ala dei casalesi impegnata nel traffico illecito di rifiuti speciali. Ora è Cesaro che ha il cerino acceso in mano e se Enerambiente si ferma, non c'è nulla di meglio che indicare i cittadini di Boscoreale e Terzigno come i "colpevoli", come al solito "pilotati dalla camorra", e in definitiva come causa prima dell'emergenza.
Restando invece a Terzigno, si é detto che sembrava tutto già scritto. Probabilmente è vero, ma non si tratta certo del copione che abbiamo visto in TV. Quello era il copione basato sugli inganni svelati fino ad ora. Ai lettori sarà rimasto un dubbio: cosa c'entra Terzigno, con la questione Enerambiente? Per questo motivo è stato scritto che aver deciso di forzare su cava Vitiello qualche giorno prima dei guai con l'azienda veneziana è stato un grande colpo di fortuna.
Grazie a questo colpo di autentica fortuna è stato possibile alle istituzioni non dover ammettere qualcosa del tipo: "Abbiamo preso l'impegno di non far infiltrare le mafie nel ciclo dei rifiuti, abbiamo fatto raccogliere i rifiuti a Napoli, per anni, ad un'azienda in cui opera qualcuno che ha contatti sia con i clan campani che con quelli pugliesi."
Sarebbe stato uno smacco troppo grande, che avrebbe ulteriormente minato la fiducia dei cittadini nelle attuali figure alla guida delle istituzioni, per giunta in un momento in cui si parla a giorni alterni di possibili elezioni politiche anticipate. E' stato un bel colpo di fortuna poter dare la colpa a quegli stessi cittadini che non si fidano più.
Certo, c'è anche chi alla fortuna non crede tanto. Decidere di aprire cava Vitiello giusto qualche giorno prima del fermo dei mezzi di Enerambiente e così affossare il caso dell'azienda veneta, senza fargli trovare alcuna risonanza mediatica, è un po' come fare un sei al superenalotto. Se poi si riflette, allora salta in mente che certamente il caso Enerambiente, tra gli addetti ai lavori e all'interno delle istituzioni non è stato un fulmine a ciel sereno, soprattutto se già c'era stata un'interrogazione parlamentare. Ma questo significa che quando è stato deciso di procedere con la forza su Terzigno e Boscoreale, creando un clamore mediatico che avrebbe ricorperto tutto il resto, era già noto che stava per succedere qualcosa in Enerambiente.
Contemporaneamente, era noto che procedere con Terzigno avrebbe creato clamore mediatico: come già detto più sopra era noto e arcinoto che sarebbe stata causata una rivolta popolare. Viene quasi il dubbio che forse c'é anche altro da coprire; viene il dubbio che la decisione di aprire una nuova discarica a Terzigno sia servita ai soliti noti e ai soliti interessi. Ma a pensar male, come disse qualcuno, si commette peccato.