di Alessandro Iacuelli

Ancora una volta, il porto di Napoli si dimostra essere uno degli snodi principali dei traffici illeciti di rifiuti a livello mondiale. Nonostante il livello di guardia sia ormai alto, da molto tempo, ci sono enormi quantità di materiali di scarto che passano per Napoli, in partenza o in arrivo o in semplice transito. Niente affatto trascurabile la quantità di rifiuti scoperta dai finanzieri del Comando provinciale di Napoli e dai funzionari dell'Agenzia delle dogane, che hanno sequestrato undici container, di proprietà di una società casertana, destinati illecitamente ad un cementificio in Malesia.

In tutto, i container sequestrati contengono circa 300.000 kg di rifiuti speciali che, per legge, avrebbero dovuto essere trattati per il recupero. La normativa sulla gestione, la raccolta e lo smaltimento di rifiuti speciali o pericolosi, impone obblighi molto severi agli operatori del settore, prescrivendo limiti precisi al trattamento, al commercio degli stessi e vincolando l'esercizio di tali attività al rilascio di specifiche autorizzazioni degli organi competenti. In questo caso la società, priva delle necessarie autorizzazioni, aveva tentato di sottrarsi ai controlli doganali, con l’intenzione di esportare illegalmente pneumatici usati, in gran parte tagliuzzati o triturati, al fine di aumentare illecitamente il volume delle vendite, eludendo la legge e agguantando notevoli profitti illeciti.

Il rappresentante legale è stato denunciato a piede libero all'Autorità Giudiziaria per attività di gestione rifiuti non autorizzata e per traffico illecito di rifiuti in violazione delle norme previste dal decreto legislativo 152/06. Il cementificio malese al quale erano destinati li avrebbe usati come combustibile, proprio come da noi si usano quantità difficilmente calcolabili di pneumatici come combustibile per i forni, rilasciando in atmosfera quantità di diossine da far impallidire.

Questo ennesimo caso di malaffare apre obbligatoriamente un ventaglio di considerazioni. I container erano di proprietà di un'azienda casertana, ora sotto inchiesta; ma ciò che urge chiarire è il luogo di provenienza dei materiali di scarto. Già in luglio, nello stesso porto di Napoli, erano stati sequestrati altri container contenenti rottami ferrosi contaminati da PCB. Da dove arrivano? Chi li produce? Chi, per disfarsene, li cede - pagando prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato - ai trafficanti?

E poiché le quantità in gioco, sia di rottami ferrosi sia di pneumatici, fanno presupporre una provenienza extra-regionale (in Campania non ci sono industrie che hanno rottami ferrosi come scarti, né tantomeno che li trattano con PCB), risulterebbe oltre modo interessante sapere da dove sono arrivati e perché. E ancora: quanti di questi materiali, che comunque legalmente andrebbero avviati al recupero, sono stati invece avviati all'imbarco per l'estero, e quanti invece sono stati illecitamente "riciclati" in Campania?

Se 300 tonnellate di pneumatici triturati, d’ignota provenienza, sono stati imbarcati per la Malesia, quante tonnellate invece sono rimaste in loco, per alimentare e fare da letto di combustione alle centinaia di roghi che ogni giorno infiammano le campagne tra Napoli e Caserta? E quanti invece sono finiti ad alimentare i forni di cementifici, spesso abusivi, in odore di camorra?

Analogamente, se sette container di rottami metallici intrisi di PCB erano nel porto, quanti invece sono stati rivenduti ad acciaierie e affini, quasi tutte del nord Italia, per fare tondini di ferro per il cemento armato destinato all'edilizia residenziale?

Perché un Paese come la Malesia, con un'urbanizzazione disordinata ed esplosiva, un traffico bestiale, non solo nella sua capitale di 2.000.000 di abitanti ma in tutte le sue metropoli densamente abitate e piene di automobili (che prima o poi cambiano pneumatici), importa pneumatici triturati da un'azienda casertana? E allora i milioni di pneumatici usati malesi che fine fanno? O hanno solo cementifici con forni che vanno "a copertoni", oppure qualcosa non quadra... Ma anche se avessero tutti e soli forni che bruciano vecchi pneumatici, certamente avrebbero costi di viaggio più convenienti importandone da un altro qualsiasi Paese del sud est asiatico, rispetto ai costi di trasporto necessari per farli arrivare da Caserta.

Non basta dunque sequestrare i carichi illeciti e individuare chi li stava spedendo e chi è il proprietario dei container. C'è da ricostruire l'intera filiera illegale, dall'industria che in tempo di crisi trova comodo disfarsi dei propri rifiuti tossici a costi bassissimi, fino all'utilizzatore finale, che può essere un cementificio come un altoforno, che poi immetterà i materiali inquinati nel ciclo normale delle merci e del mercato. Stroncando la concorrenza, ma solo quella che sostiene i costi dell'agire legalmente. C'è da ricostruire la filiera, e la rete d’interessi economici che la sostengono. Tutto lavoro per gli inquirenti napoletani, nelle prossime settimane.




Sequestro di containers nel porto di Napoli

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