di Liliana Adamo

Il Sahara si apre agli occhi attraverso le montagne dell’Acacus e dei wadi Mathendush, ma valicando le dune, di sorpresa ecco i laghi Mandara, Gabra’Un, Umm El ma e le maestose dune rosse dell’Erg di Marzuk. Un territorio policromo, differente nelle sue forme e strutture: si levano archi, torrioni, pinnacoli, come in una grande architettura naturale, vere cattedrali di roccia. In Fezzan, regione sahariana della Libia, la natura si è divertita a creare scenari unici e irripetibili. I laghi azzurri sono incastonati fra dune color zafferano; le oasi, come quella di Giarabub, conservano conchiglie fossili intarsiate in rocce bianche come alabastro; i crateri, come la spettacolare bocca del Wan En Namus, nei pressi della grande oasi di Cufra, hanno perfetti coni vulcanici circondati da sabbie corvine, laghi e palmeti, luoghi assolutamente magici che sembrano partoriti da un asteroide alieno.

Ai bordi di Guellemin e Ouarzazate, in Marocco, o come altri sostengono, più a sud, da Tan-Tan e Zagora, il Sahara segna a nord la sua linea estrema. Anche qui l’effetto serra è causa di un esito antagonista: aumentano le piogge, ma in egual misura, anche la vaporizzazione che diventa più forte dell’acqua fruibile dal suolo. Scompare molta fauna sahariana: le grandi antilopi, come l’Oryx e l’Addax, la gazzella Dama e lo struzzo, ghepardi e iene sono minacciati d’estinzione. La gazzella Dorca, tanto diffusa negli anni ’50 é diventata rara: troppo facile cacciare in 4x4! Soltanto la piccola fauna riesce a sopravvivere nei grandi Ergs, come il Fennec, che spunta dal suo covo durante le ore notturne per cercare cibo.

E poi ci sono le popolazioni nomadi; vivono nel Sahara occidentale, parte integrante di svariate etnie. Sono autoctoni della regione di Zagora, insieme agli “Aarib” (arabi sahraoui della regione di Mhamid). Altri gruppi etnici originari sono i Tekna (da Guelmim a Laayoune), i Reguibate (regione di Laayoune, Smara) e quelli degli Oulad Delim (presenti a sud di Dakla), parlano un dialetto arabo, lo “Hassanya“, l’equivalente dei popoli mauritani. Storicamente sono indicati come uomini blu per gli abiti color indaco, come quelli dei Tuareg, ma non confondeteli con il mitico popolo nomade del Sahara, perché, di sicuro, nessun Tuareg affermerebbe d’essere originario del Marocco e difatti, non lo sono.

L’Erg Chebbi è percorso da dune e altipiani rocciosi scolpiti dal vento, oasi dimenticate tra rocce e fossili che riportano in vita gli oceani rimossi dalla sabbia di quattrocento milioni d’anni fa. Luogo sacro per i nomadi che lo attraversano, grandioso e impenetrabile, l’Erg Chebbi, non è soltanto un dedalo arenoso, un “grande vuoto sahariano”, ma uno scrigno mnemonico e antropologico ricco di pitture rupestri del Neolitico, gallerie di sale che un tempo attrassero i colonizzatori francesi, resti di dinosauri preistorici, pinnacoli di un insolito color grigio-azzurro, superstiti finali d’antiche barriere coralline, laghi salmastri dove, in condizioni favorevoli, trovano riparo i fenicotteri rosa, dal lungo viaggio migratorio.

Questo è il Deserto Occidentale, il Sahara del Marocco, prossimo all’Atlantico: un universo minerale che ha fecondato un intero continente, serbando ricchezze insperate, straordinarie. Ed è questo Sahara (più di nove milioni di chilometri quadrati “di terra poco costosa” come riporta - tout court - l’esplicitazione), oggetto d’attenzione per alcune grandi multinazionali.

Libia, Marocco, forse Algeria confluiranno nel polo attuativo per fucinare il più grande cartello energetico europeo. Venti aziende tedesche, tra cui Muenchner Rueck, colosso assicurativo, Siemens, Deutsche Bank e Rwe, secondo produttore tedesco per l’energia elettrica, stanzieranno 400 miliardi di euro per la costruzione di centrali elettriche solari in pieno Sahara, dove l’irradiamento per metro quadrato è 2,7 volte più elevato rispetto a quello europeo. Buone probabilità che alla mega iniziativa si aggreghino anche Italia e Spagna, mentre la Francia ne sarebbe esclusa perché fermamente favorevole alle sue centrali nucleari.

L’irradiamento sarà diretto a grandi superfici riflettenti che surriscalderanno un particolare lubrificante, il cui calore si trasformerà in vapore per attivare le turbine delle centrali; riproducendo a grandi linee, la medesima tecnologia solare installata vent’anni fa nel deserto californiano del Mojave (dove, secondo Sven Moormann, della Solar Millenium, gli specchi funzionano ancora come nel giorno della loro istallazione). Qualora il progetto teutonico, chiamato “Desertec”, andasse in porto, un’enorme distesa di pannelli insedierà gran parte del Sahara per fornire all’Europa energia elettrica in percentuale del 15% del suo fabbisogno complessivo. Per contribuire efficacemente alla lotta contro i cambiamenti climatici e per le nostre economie che hanno bisogno di nuovi impulsi, secondo Thorsten Jeworrek, presidente della Muenchner Rueck, auspicando la prima fornitura in Germania, entro dieci anni.

L’Europa necessita d’energia e ha impellenza d’averne, approntando alle nuove fonti energetiche in un continente dove gran parte della popolazione non sa neanche cosa sia l’elettricità. Andree Bohling di Greenpeace e Regine Gunther, esperta di cambiamenti climatici, esponente di spicco del WWF in Germania, approvano la mozione “Desertec”: “Si va nella giusta direzione”, importante che l’Africa ne tragga il suo tornaconto.

Riflettiamo: per la realizzazione e la manutenzione di un progetto di tali dimensioni quale sarà il prezzo pagato dall’impatto ambientale? Secondo Hermann Scheer, socialdemocratico, sostenitore dell’energia verde, questa mega operazione a cavallo tra business schietto e green economy, è totalmente superflua. Perché occupare (letteralmente), milioni di chilometri quadrati, circa nove, mentre sono sufficienti trecentomila chilometri quadrati per soddisfare l’intero fabbisogno energetico mondiale? Basterà dotare di pannelli fotovoltaici l’intero sistema edilizio tedesco e di altri paesi d’Europa.

Il vecchio Occidente per trainare il suo obsoleto e zoppo apparato sociale ha spremuto comunità e distrutto interi ecosistemi terrestri e marini. Le trivellazioni petrolifere hanno dato l’assalto alle ultime aree incontaminate del pianeta, come in Alaska, per esempio o per l’intera Penisola Arabica, o, ancora, per lo sfruttamento intensivo alle risorse (petrolio e gas) in Siberia. Possibile che non si riesca a intravedere l’approssimarsi dei medesimi, grossolani errori anche per sostenere nuovi investimenti e acquisire energie pulite?

 

 

 

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