di Alessandro Iacuelli

Nell'estate 2004, il dottor Alfredo Mazza, ricercatore in Fisiologia Clinica del CNR a Pisa, ha pubblicato sulla prestigiosa rivista medica "The Lancet Oncology" un suo agghiacciante studio sull'incidenza tumorale in Campania. I risultati degli studi e delle analisi effettuate dal ricercatore furono anche pubblicate su quasi tutti i quotidiani italiani. Nello studio, ci si riferisce ad un'area di 12 comuni, compresi tra Acerra, Pomigliano d'Arco, Nola e le falde settentrionali del Monte Somma, facente parte del Parco Nazionale del Vesuvio. In quest'area vivono oggi circa un milione di persone. Statistiche alla mano, Mazza mostra come l'indice di mortalità per tumore al fegato ogni 100.000 abitanti sfiora il 35.9 per gli uomini e il 20.5 per le donne rispetto a una media nazionale che è del 14. Questo in un quadro generale che assegna alla zona un indice di mortalità mediamente più elevato anche per altre forme di cancro. Le cause sono certamente molteplici. Per cercare di farsi un'idea occorre guardare indietro nel tempo e tornare agli anni dello sviluppo industriale della zona, che fino ai primi anni '70 ha visto un'economia completamente basata su agricoltura ed artigianato. Solo nel 1972 entra in produzione il grande stabilimento AlfaSud di Pomigliano d'Arco, oggi Fiat Auto, senza che dal punto di vista sanitario si osservasse un aumento di certi tipi di malattie. Solo con l'apertura dello stabilimento Montefibre ad Acerra si rileva (e tra l'altro nel giro di pochi anni) una prima impennata dei casi di tumore e dei morti di cancro nella zona. Nel giro di pochi anni, si è cercato di correre ai dovuti ripari, impegnando la direzione di Montefibre (leader nel settore dell'Acrilico), ad usare solo resine non inquinanti. Poi, tra il 1990 e il 2000, i morti di cancro sono improvvisamente raddoppiati, ma dietro questa seconda impennata stavolta c'è l'ombra lunga della camorra: un numero imprecisato di discariche illegali, senza alcun controllo, dove viene scaricato nottetempo di tutto, dal chimico al radioattivo. Non è certo lo stoccaggio abusivo l'unica attività illegale inquinante, visto che si sta anche verificando qualche caso di "riciclaggio abusivo". Di recente è scoppiato lo scandalo con il cosiddetto "caso Pellini": una storia che ha dell'incredibile portata alla luce dalla Procura della Repubblica di Napoli dopo due anni di indagini, con l'arresto di 13 persone tra cui diversi sottufficiali dei Carabinieri ed i gestori della ditta Pellini di Acerra. Dal Veneto, in particolar modo da Porto Marghera, arrivavano ad Acerra fanghi tossici e rifiuti di ogni tipo, soprattutto chimici, che la ditta Pellini stoccava e rivendeva come fertilizzanti che finivano per fertilizzare i terreni agricoli. Il tutto, secondo le accuse della Procura, con la complicità dei Carabinieri di Acerra..

Oltre questo caso-limite, il problema quotidiano rimane oggi quello delle discariche abusive. Il più grave dei pericoli derivanti da tali discariche è sicuramente quello dell'inquinamento del suolo e quello delle acque. L'inquinamento del suolo è determinato dal fatto che per la legge italiana non si può costruire su zone adibite a discarica legale. Molto spesso, i materiali di risulta degli scavi di fondamenta di edifici o quelli di smaltimento dei rifiuti vengono invece utilizzati come compattamento per le strutture fondiarie, o comunque per le fondamenta di altre strutture edilizie abusive. Il che significa che molte delle strutture abusive vengono costruite su ex discariche abusive. Perché? Perché con questo materiale si cementa tutto e ciò non consente di verificare in un secondo momento la presenza della discarica e questo, a distanza di tempo, si concretizza in danni per la salute dei cittadini. Per non parlare dell'inquinamento sia delle falde acquifere che delle acque superficiali. Il più celebre caso di questo tipo è nel casertano: 80.000 metri quadrati di discarica abusiva a cielo aperto che riversava grossi fusti tossici nel fiume Volturno, inquinato ed ormai ecologicamente quasi irrecuperabile.

Le modalità tipiche dello scarico sono le seguenti: 1) I camion carichi di rifiuti giungono, nelle ore notturne, in corrispondenza di buche, spesso ex cave a loro volta abusive di sabbia e materiali per l'edilizia; Le buche vengono riempite di rifiuti e poi vengono immediatamente coperte. Inutile precisare che questo tipo di scarico comporta gravi infiltrazioni indirette di sostanze tossiche sia nelle falde acquifere sia nel terreno. 2) I fanghi di depurazione e i rifiuti industriali liquidi, formalmente destinati a impianti di depurazione e riciclaggio, sono versati direttamente nel terreno, con conseguenze gravissime.

Recenti analisi chimiche dei terreni hanno evidenziato alte concentrazioni di diossina, mercurio, arsenico, amianto. Migliaia di persone sono esposte a sostanze tossiche per decenni. Tutto è contaminato: gli agenti inquinanti nell'aria, nell'acqua e nei prodotti della terra sono ben al di sopra dei livelli consentiti.

Rifiuti tossici quindi, (alla base della diffusione non solo dei tumori, ma anche di allergie ed asma fin dall'infanzia), gestiti dalla criminalità organizzata. Le Amministrazioni locali lo sanno. Di conseguenza, presumibilmente, lo sa anche lo Stato. Ma sono dieci anni che non si interviene e non si capisce come mai. Questa mancanza di intervento, ha continuato a dare alla popolazione locale l'idea che "lo Stato non c'è", ad alimentare la sfiducia nelle istituzioni e nelle Amministrazioni. Le uniche campagne di sensibilizzazione sono state fino ad oggi quelle delle A.S.L. locali, pertanto campagne di tipo sanitario, con cartelli e manifesti che recitano "Tra i 20 e i 40 anni il rischio leucemie e linfomi è più elevato", ed inviti a svolgere controlli preventivi. Il problema viene quindi trattato come emergenza sanitaria, mentre a livello politico viene negato ogni problema a monte di quello sanitario. Come se questa incidenza di morti fosse una casualità statistica.

Lo smaltimento dei rifiuti, in particolare di quelli tossico-nocivi, come quelli chimici, ospedalieri, industriali, è diventato oggi una delle maggiori fonti di lucro per la criminalità organizzata. La Campania detiene il triste primato del fenomeno dell'ecomafia (spesso legato all'abusivismo edilizio, dove cave abusive diventavano facilmente discariche abusive e poi palazzine abusive), seguita poi da Sicilia, Puglia, Calabria, Basilicata; ma il fenomeno si sta rapidamente estendendo a tutta Italia. Emergenze rifiuti vengono orchestrate periodicamente e questo è assolutamente inspiegabile, visto che si è di fronte ad una situazione cronica, non certo ad emergenze temporanee, con il chiaro scopo di esasperare e mantenere sotto ricatto la popolazione. Anche l'inceneritore di Acerra nasceva nel modo peggiore: un impianto di concezione obsoleta, con inadeguati piani di smaltimento delle ceneri, CDR (combustibile derivato da rifiuti, le cosiddette "ecoballe") inadatto e potenzialmente pericoloso, perché non differenziato. Dietro tutto questo, il drammatico, consueto, micidiale mix di collusioni, disinformazione e paura. E' importante notare come negli anni ci sia stato uno spostamento degli interessi dell'ecomafia dall'attività di smaltimento dei rifiuti - intesa come gestione delle discariche abusive - al controllo degli appalti di smaltimento ed all'associazione con le strutture amministrative che governano questo tipo di appalti. In questo senso, siamo quindi, in presenza di un'evoluzione dell'ecomafia. Evoluzione che non viene fronteggiata. Anzi, è un'evoluzione che ha trovato "impreparati" i legislatori.

I rifiuti non interessavano a nessuno fino a quando non ci si è accorti che, con il miglioramento anno dopo anno della legislazione, soprattutto comunitaria, in materia ambientale, smaltirli costa molto. C'è oggi un notevole interesse economico nel cosiddetto "affare dei rifiuti": lo smaltimento dei rifiuti inerti costa circa 7 centesimi di Euro al Kg: se si sommano tutti i rifiuti illegalmente depositati, scoperti e messi sotto sequestro nel 2004 dai vari corpi delle forze dell'ordine, si arriva ad una quantità di rifiuti stoccati abusivamente di ben 8 milioni di tonnellate! Pertanto ci si aggira su cifre dell'ordine dei seicento milioni di Euro e, ovviamente, si parla solo delle discariche scoperte e sequestrate, senza quindi inserire nel conteggio i proventi del fitto "sottobosco" illecito e mai scoperto. I dati del 2004 sui rifiuti nocivi danno un quadro per certi versi peggiore: quelli sequestrati ammontano a 1,8 milioni di tonnellate, ma il loro costo di smaltimento è quasi dieci volte quello degli inerti: 60 centesimi di Euro al Kg. In ogni caso, si tratta di un giro d'affari che ha attirato l'attenzione di tutti i clan camorristici del napoletano. La criminalità organizzata è dunque intervenuta dapprima nello smaltimento abusivo, poi si è allargata al coinvolgimento della pubblica amministrazione, al condizionamento degli appalti per poter ricevere e gestire le strutture di discarica legali, infine al controllo delle società di smaltimento dei rifiuti stessi. Successivamente tali attività sono state utilizzate come strumento di copertura di traffici illeciti e per effettuare riciclaggio di denaro sporco. Che aumenta, come tutti i tumori.

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