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Categoria: Esteri
di Bianca Cerri

Va bene lavorare come schiave per una paga da fame, senza assicurazione e senza assistenza. Passi pure che le ore di straordinario non vengono retribuite e che la pensione resta un’utopia. Ma essere discriminate e molestate sessualmente proprio non va giù al milione e duecentomila lavoratrici di Wal Mart, gigante della vendita al dettaglio, che hanno deciso di intraprendere una “class action”, ovvero un’azione legale collettiva per presunti danneggiamenti. Sono stanche di essere derise e sfruttate dalla famiglia più ricca d’America e per questo hanno deciso di passare ai fatti nella speranza di recuperare la dignità e i mancati diritti economici. Ma già che ci siamo, come fece Sam Walton, padre dell’attuale catena di grandi magazzini, ad arricchirsi? Facile: sposò Helen Robson, figlia di un uomo danaroso che gli prestò i soldi per realizzare il primo mega-emporio dell’Arkansas, un’idea di cui Walton si era appropriato rubandola di sana pianta ad un amico. Era il 1962 e la paga dei commessi non superava i 60 centesimi l’ora, molto al di sotto dei minimi salariali previsti. Per non avere noie, Walton assunse John Tate, suo buon amico nonché avvocato conosciuto come una vera bestia nera dei sindacati. Iniziò così il culto di Mr. Sam, la cui filosofia imprenditoriale consisteva nell’applicare prezzi più bassi della concorrenza al fine di accaparrarsi i clienti farà della Wal Mart una delle prime imprese mondiali oltre che immagine stessa dell’America. Nove anni dopo il debutto nel mondo degli affari, Walton era ormai divenuto un uomo di successo ma continuava a fare il possibile per impedire ad altri di raggiungere il benessere economico. I salari del personale restavano bassi e ogni rivendicazione veniva punita con il licenziamento. Al primo segnale di scontento intervenivano i quadri dirigenti della casa madre di Betonville. Nel frattempo, Walton era riuscito ad accumulare un capitale impressionante che gli conferiva il potere di dire la sua sulle trasformazioni sociali del paese e di avere libero accesso alla Casa Bianca. Nel 1985, Walton appoggiò la creazione di un “piano per sconfiggere il comunismo nell’America Centrale”, una vera e propria ossessione dell’allora presidente Reagan, che ricambiò generosamente l’appoggio. Nel 1992, un altro presidente, Bush senior, gli conferì la medaglia della Libertà, il massimo riconoscimento riservato agli imprenditori americani che privilegiano i prodotti nazionali, il che non mancò di suscitare una certa ilarità dal momento che almeno l’80% delle merci in vendita da Wal Mart venivano già allora prodotti nei paesi che offrono manodopera è a basso costo. Tre mesi dopo Walton morì e l’impero passò nelle mani della vedova e dei cinque figli.
.Come baroni feudali , i giovani Walton continuarono con le stesse politiche care al capostipite: : stipendi da miseria alle dipendenti, quasi tutte donne, e turni massacranti. Unica innovazione: il monitoraggio dei lavoratori attraverso gli strumenti di sorveglianza elettronica che prima non esistevano. Mentre l’occhio elettronico veglia, commessi e inservienti scaricano tonnellate di merci, le depongono sugli scaffali, corrono negli altri reparti alla ricerca di articoli richiesti dai clienti, spolverano, passano la lucidatrice, ecc. per pochi dollari.

Nel linguaggio degli americani i salari Wal Mart sono divenuti proverbiali, tanto che per descrivere un particolare momento di disagio economico molti usano l’espressione “sopravvivere con una paga da Wal Mart” certi di suscitare la pietà dell’ascoltatore. Com’è nel loro stile, i Walton non si sono mai fatti troppi scrupoli al momento di spezzare le catene morali, tanto che il 50% circa dei loro dipendenti non gode di assistenza medica né di assicurazione. Ai sindacati che insistono con il rispetto delle leggi federali sul lavoro, rispondono violandole apertamente. Nei 5000 empori Wal Mart sparsi nel paese lavorano un milione e trecentomila dipendenti e ognuno di loro deve dare il massimo, pena il licenziamento in tronco.

Qualche anno fa, WM ha fatto realizzare alla Alpha Associates, agenzia specializzata in problemi del lavoro, un piano per impedire ai sindacati di venire a ficcanasare nei suoi uffici. Ma un’altra agenzia di Washington, la Good Job First, rivela che la compagnia ha usufruito di un miliardo di dollari di fondi governativi destinati all’imprenditoria. I benefici ricevuti furono ricambiati con generosi contributi alla campagna elettorale di George Bush e altre regalie mai inferiori ai duecentomila dollari che vanno a membri del partito repubblicano come Tom DeLay, Roy Blunt, ecc. tutti legati alla destra religiosa.

La nuova generazione dei Walton non dimostra nessuna particolare timidezza nell’esibire il proprio benessere. Nel 2005, Alice Walton, unica femmina della famiglia, ha comprato un quadro di Asher Durant per 35 milioni di dollari, una cifra sufficiente a pagare l’assistenza sanitaria ad almeno 8.500 lavoratori della Wal Mart. Al momento di versare il 6% di tasse previsto dalla legge, madame Walton è riuscita a farla franca intestando il prezioso dipinto al “Centro d’Arte” della Fondazione Walton, mai esistito se non nella sua spudorata fantasia. Bene ha fatto il dizionario Webster, equavalente del nostro Zingarelli, a definire i Walton “capitalisti americani del ventunesimo secolo la cui fortuna si basa su varie forme di sfruttamento e su una discutibile etica”. Neppure il più grande dei poeti sarebbe riuscito a dirlo meglio...