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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

MOSCA. Sull’onda lunga della guerra del gas - che coinvolge e sconvolge Mosca, Kiev ed ora Minsk - arriva al Cremlino la protesta dei bojari. Perchè i deputati della Duma alzano il tiro contro il governo guidato dal primo ministro Michail Fradkov. Ma in realtà l’attacco è a Putin. E l’accusa rivolta all’intero vertice del Paese è di aver tirato troppo la fune delle pressioni e delle contese con le nazioni confinanti utilizzando, come strumento di pressione geopolitica, le enormi risorse energetiche di cui la Russia dispone. I deputati, inoltre, manifestanto sempre più scetticismo nei confronti di quel vecchio progetto di unificazione economico-amministrativa tra Russia e Bielorussia, di cui si parla da anni e che ora langue mostrando sempre più di essere considerato come un mezzo per estendere il controllo di Mosca su una importante area della Csi.
Sul tavolo degli imputati vengono chiamati i ministri delle Finanze (Aleksei Leonidovic Kudrin) e dell’Economia e Commercio (Gherman Oskarovic Gref) che insieme al presidente del potentissimo complesso energetico del “Gasprom” (Aleksei Borisovic Miller) sono considerati come i massimi responsabili di quanto sta accadendo nell’arena europea quanto a forniture di gas. E a Mosca le accuse che vengono dall’occidente (“La Russia è un problema per l’Europa”) sono così destinate a sconvolgere la vita politica e a mettere in crisi quelle strutture del Cremlino che hanno creduto di sfruttare gas e petrolio come un “potenziale-politico” per raggiungere i propri obiettivi di stampo economico. E di costituire, in pratica, una piovra di livello planetario. Non è un caso - si ricorda a Mosca - che proprio alcune settimane fa il ministro del Commercio si era lasciato sfuggire una simile affermazione: “Quando non sarò più ministro mi darò al commercio”...
C’è quindi aria di smobilitazione e di conseguente ricerca di nuovi posti in vista i mutamenti che si avranno dopo le presidenziali del 2008. Tutto avviene mentre le azioni di Putin (nonostante il battage pubblicitario in suo favore scatenato dai media locali e l’analogo impegno delle ambasciate russe all’estero) mostrano già alcune falle.

PUTIN E’ POPOLARE? I giudizi in Russia sono di vario genere. Una prima risposta viene dal centro analitico "Yurij Levada" che rende noto - sulla base di un sondaggio popolare effettuato il mese scorso - che Putin sarebbe stato, per il 35% degli interpellati, il "Personaggio dell'anno 2006". E subito dopo nella classifica dei Vip hanno trovato posto il vice primo ministro Dmitrij Medvedev con l'8% delle preferenze totali, seguito a sua volta dal ministro della Difesa Serghej Ivanov (7%), dal leader del partito liberale Vladimir Zhirinovsjij (5%) ed infine dal ministro dell'Emergenza Serghej Schoigu' con il 4%. Tra le donne, la palma di politico più popolare è andata, come succede ormai regolarmente dal 2000, al sindaco di San Pietroburgo, Valentina Matveenko. Ma alle positive valutazioni del centro “Levada” si aggiungono i giudizi negativi che vengono dall’Istituto Internazionale di studi di opinioni sociali "Harris". Questo centro di ricerche si è infatti rivolto a cittadini americani e dell'Unione Europea. E dalle risposte risulta che Putin è uno degli uomini politici meno amati del 2006, preceduto in questa graduatoria solamente da George Bush e da Mahmoud Ahmadinejad.
Putin, ovviamente, comprende - a parte i sondaggi più o meno interessati - che non può continuare ad essere il leader indiscusso della Russia. Cerca, comunque, di fare il possibile con un presenzialismo ossessionante. La tv è al suo servizio e lo presenta in tutte le salse: tra i bambini, nelle cerimonie della Chiesa ortodossa con candelina in mano e segno della croce, tra gli intellettuali ai quali elargisce premi, a braccetto con il pittore Glazunov esponente delle correnti nazionaliste e russofile, in visita alle caserme e alle strutture missilistiche, babbo gelo nella Piazza Rosssa intento a distribuire caramelline ai bambini... E poi: incontri quotidiani nella sua stanza di lavoro con la cerimonia dell’incontro con i ministri. Si apre il portone, lui entra, tutti in piedi, un accenno di saluto e poi seduti. Parla e le telecamere si accendono su di lui.

LE SCONFITTE DELLA CSI. Il discorso su Putin porta necessariamente ad esaminare il compito generale dello Stato russo che - come sostengono molti esponenti della Duma - dovrebbe essere quello di favorire la creazione di un clima di coesistenza e di comprensione nel campo della politica estera. Rapporti, quindi, paritari. Soprattutto quando si ha a che fare con i paesi dell’ex Urss dove vivono ancora moltissimi russi (una diaspora di 25 milioni). Ma Putin in questo campo non è riuscito ad ottenere successi. La Csi, che doveva essere lo strumento portante di una politica di collaborazione, mostra sempre più i suoi difetti e problemi. Sono ancora vive le dure polemiche con l’Ucraina di Juscenko e la Georgia di Saakasvili. Ed ora la guerra contro il presidente Lukascenko è un nuovo anello di questa catena. Tra l’altro Mosca non tiene conto che Minsk è la capitale della Csi e che, quindi, con la Bielorussia bisognerebbe pur sempre trattare. Ma l’uomo del “Gasprom”, il putiniano Miller, si è divertito nei giorni scorsi ad umiliare la delegazione bielorussa giunta a trattare nella sede dell’impero energetico i problemi relativi all’ esportazione di petrolio col sistema “duty-free” verso Minsk. Tutto provocato da Mosca che ha aumentato i dazi sull’import da zero a 180 dollari per tonnellata di greggio, rendendo l’operazione completamente svantaggiosa per Minsk, che finora traeva profitti anche dalla raffinazione del petrolio rivenduto a ovest.

CSI O GASPROM? Alcuni analisti russi, comunque, sostengono che Putin ha compiuto una scelta in favore della politica che viene svolta, a livello planetario, dal “Gasprom”. Ha messo da parte, di conseguenza, il valore di quel rapporto che la Russia delle istituzioni doveva avere con l’area della Csi. Di conseguenza si registra una conduzione “familiare” della questione del gas e del petrolio. E’ in questo contesto che nella capitale russa si rileva che la crisi attuale del gas ha un precedente sul quale il Cremlino cerca di stendere una cortina fumogena. Riguarda l’Ucraina dove gli oligarchi russi fedeli a Putin hanno cercato di stendere la loro influenza utilizzando alcuni personaggi del mondo economico locale. In particolare il loro referente è stato (ed è) il banchiere Rinat Akhmetov (un posto d’onore nella lista dei primi 50 miliardari dell’Europa postcomunista con un patrimonio personale di oltre 2,5 miliardi di dollari) che controlla la maggiore impresa produttrice di tubi destinati ai gasdotti: la KhTz, ovvero “Fabbrica di tubi di Khartsyz”. Una holding che, grazie alla mediazione del primo ministro di Kiev Janukovich, si è assicurata - guarda caso - una valanga di commesse da parte del “Gasprom” della Russia.

GOERLO E GASPROM. E infine una reminiscenza storica. Ai tempi dell’Urss, a Mosca, per propagandare l’ industrializzazione del paese e le nuove strutture energetiche (il noto piano “Goerlo”) era stato sistemato su una centrale termica nei pressi del Cremlino un enorme cartello che riportava questo slogan di Lenin: “Il comunismo è il potere dei Soviet più l’elettrificazione di tutto il Paese”. La scritta è stata ora cancellata. Ma se si dovesse ripetere quella esperienza il cartello potrebbe essere ora sistemato sul Cremlino con una scritta ovviamente diversa. Questa: “Il capitalismo russo è il controllo privato delle fonti energetiche”. In pratica dal sovietico “Piano Goerlo” di Lenin al russo “Piano Gasprom” di Putin. E’ forse iniziata l’era dell'energocrazia del Cremlino.