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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

L’allarme sembra rientrato. Resta la paura e restano molte incognite. Perché quanto avvenuto in Bulgaria nella centrale nucleare di Kozlodui, sulle rive del “bel Danubio blu”, è ancora un mistero. Tutto avviene all’inizio del mese, ma solo ora l’opinione pubblica locale e il mondo intero vengono a conoscenza dei primi fatti; vale a dire che la centrale atomica (quattro dei sei reattori realizzati dall’Urss una ventina d’anni fa) ha registrato una fuoriuscita di sostanze radioattive da una tubazione ad alta pressione. La cronaca di quelle tragiche ore è oggi ricostruita e ricorda paurosamente uno scenario già visto con Cernobyl, quando le autorità sovietiche – era il 26 aprile 1986 – cercarono con tutti i mezzi di nascondere al mondo la portata del disastro. Ed ecco i fatti che, nonostante la “blindatura” bulgara, vengono alla luce. E’ il 7 ottobre quando, nel corso di un’ispezione di routine, i tecnici di Kozlodui si accorgono che nella zona centrale del grande impianto, dove si trova il reattore VI, si registra una fuga di radioattività. Scatta l’allarme rosso e dalle prime indagini risulta che la “perdita” è di venti volte più alta di quella ammissibile. Comincia immediatamente l’opera dei tecnici che cercano di individuare la natura del guasto. Ma nessun allarme è dato ufficialmente. Tacciono le radio locali e il governo di Sofia mantiene il silenzio. Poi a poco a poco - ed è storia di queste ultime ore - cominciano le prime ammissioni. ''Purtroppo – dichiara Ivan Ghenov, direttore della centrale - è impossibile verificare con precisione quando è avvenuto il guasto poiché l’ultima ispezione in quel settore era avvenuta 12 giorni prima e non aveva riscontrato anomalie”.

Nessuna parola, comunque, sul “perché” della perdita. Non solo, ma solo due giorni dopo l’incidente la direzione della centrale informa l’Anea con un rapporto nel quale sostiene che non si è trattato di un incidente vero e proprio e che la gravità dell’accaduto può essere considerata di ''livello zero''. Intanto il direttore della centrale annuncia che il tratto guasto della tubazione, lungo una ventina di metri, è stato già riparato e che il personale della centrale non è rimasto contaminato dalla fuoriuscita radioattiva. Ma dall’Anea arriva subito una dichiarazione del direttore Sergiej Tzocev: ''Per fortuna - dice - la perdita di sostanze radioattive non è uscita fuori dal capannone del reattore facendo scongiurare così una grande avaria dalle conseguenze imprevedibili”. A parte le dichiarazioni bulgare (che, ripetiamo, ricordano quelle dei sovietici ai tempi di Cernobyl) resta il fatto che da Vienna l'Agenzia internazionale sull'energia atomica (Aea), fa presente di non aver avuto alcuna comunicazione in merito all'incidente...

E mentre paura e scandalo continuano a montare, si apprendono nuovi particolari di ordine tecnico e scientifico sulla centrale di Kozlodui, grazie alla quale la Bulgaria è diventata - negli ultimi anni - il più grande esportatore di energia elettrica nella Penisola balcanica. Sulle rive del Danubio ci sono sei reattori nucleari. Quelli identificati con i numeri I e II, ritenuti obsoleti, sono già stati definitivamente chiusi il 31 dicembre 2002. Ma gli altri - i reattori III e IV – sono attivi perché, si dice, rispondono a tutti gli standard moderni e possono rimanere in funzione per altri anni ancora. Dovrebbero essere chiusi anticipatamente entro la fine dell’anno su richiesta della Commissione europea come condizione per l’ingresso del Paese balcanico nell’Ue previsto (insieme alla Romania) per il primo gennaio 2007.
Rimarranno in funzione nei prossimi anni soltanto i piccoli reattori V e VI, moderni ma meno potenti, che, secondo le stime degli esperti, riusciranno appena a coprire i fabbisogni nazionali di energia elettrica.

Ma per la Bulgaria le situazioni di allarme sono state anche altre. C'è stato, infatti, un grosso pericolo sempre per la zona della centrale di Kozlodui. Tutto è avvenuto quando si è scoperto che un’enorme chiazza di nafta (lunga oltre 60 chilometri e larga 300 metri) proveniva dal tratto serbo del Danubio inquinando la zona bulgara del fiume e mettendo a rischio il sistema di raffreddamento dei reattori. Si riuscì, comunque, ad impedire la catastrofe. Ma non c’è da stare tranquilli.