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Categoria: Esteri
di Luca Mazzucato

La situazione politica nei Territori palestinesi è da alcune settimane in fibrillazione, attorno alla questione del nuovo governo di unità nazionale. Giorno dopo giorno, si rincorrono gli annunci dell'accordo raggiunto (da parte di Abu Mazen, presidente dell'ANP e leader di Al Fatah) e le immancabili smentite (da parte di Haniyeh, premier palestinese e leader del braccio politico di Hamas). Lo snodo che si gioca attorno alla creazione del nuovo governo è cruciale per gli equilibri di potere nei Territori. La situazione attuale, per certi versi, è simile a quella dei primi anni novanta, quando la svolta nell'OLP portò al riconoscimento di Israele e alla firma degli accordi di Oslo, ai quali Hamas si oppose fieramente.I primi a muoversi, ovviamente, sono i russi che hanno convocato, nella città di Barnaul - al centro della catena degli Altaj - la prima convention ufficiale del comitato organizzatore del progetto che viene chiamato “Nasc obsij dom”, la nostra casa comune. Che avrà come “padroni” anche i kazaki, i mongoli e i cinesi. Tutti interessati a sviluppare, nelle loro aree di confine con la Russia, le nuove infrastrutture. Il governo Hamas ufficialmente in carica è allo sbando, insieme al consiglio legislativo palestinese. Vari ministri infatti sono stati catturati da Israele come rappresaglia al rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit da parte di Hamas a fine giugno. Durante i tre mesi di rioccupazione di Gaza, l'IDF ha distrutto i ministeri e gli uffici del premier e i membri del governo ancora in libertà sono stati dichiarati possibili obiettivi di omicidi mirati da parte di Israele. Dopo la batosta elettorale di Gennaio, Al Fatah, con il suo leader Abu Mazen, sta cercando in tutti i modi di tornare al potere e poter accedere nuovamente ai finanziamenti internazionali all'ANP. Nella strategia di Abu Mazen rientrano anche i contatti per la liberazione di Shalit: il presidente dell'ANP ha proposto che venga scambiato con Marwan Barghouti, leader dell'ala giovane di Fatah, attualmente ospite delle carceri israeliani con cinque ergastoli da scontare.

Nonostante in passato gli attriti tra la vecchia guardia appartenente all'OLP degli anni dell'esilio, e i giovani di Fatah cresciuti durante la prima Intifada siano stati fortissimi, a quanto pare Abu Mazen potrebbe fare buon viso a cattivo gioco e riconciliare le due anime del movimento in vista di un nuovo governo e del ritorno dei finanziamenti internazionali. Tutti gli aiuti all'ANP sono stati infatti congelati in Febbraio in seguito alla vittoria elettorale di Hamas e, negli ultimi otto mesi, i centosessantamila dipendenti pubblici palestinesi non hanno ricevuto gli stipendi. Nell'ultimo mese le contestazioni sono esplose e ogni settimana continui scioperi di insegnanti e netturbini paralizzano i Territori. Per la maggior parte, gli scioperi sono organizzati da Fatah, mentre gli insegnanti che si riconoscono nel gruppo islamico fanno lezione regolarmente. Gli sforzi di Abu Mazen sono quindi concentrati nella creazione di un governo di unità nazionale, che risulti abbastanza moderato da accettare le richieste del Quartetto e, in particolare, dell'Unione Europea. In questo modo, Abu Mazen riuscirebbe a riaprire il flusso di aiuti occidentali, a far tornare i soldi
nelle tasche dei dipendenti pubblici e, in sostanza, a riprendere in mano le redini delle istituzioni palestinesi e la fiducia della popolazione.

Tuttavia Abu Mazen non ha fretta, il tempo gioca a suo favore, come dimostrano i recenti sondaggi. Nonostante le ricerche demoscopiche nei Territori vadano prese cum grano salis (la vittoria di Hamas in Gennaio è stata grossolanamente mancata), una maggioranza crescente dei palestinesi (54%) mostra di non essere per niente soddisfatta dalla performance del governo Hamas, mentre ben l'ottanta per cento crede che un governo di unità nazionale porrebbe fine all'embargo internazionale. Tuttavia, l'altra faccia della medaglia è rappresentata dal 67% di palestinesi che dichiarano che Hamas non deve riconoscere lo stato di Israele e, infatti, il gruppo islamico ha vinto a sorpresa anche le recenti elezioni studentesche all'Università di Ramallah, storica roccaforte di
Fatah. Questo punto infatti è cruciale nell'attuale dibattito politico.

In sostanza, mentre appare chiaro alla popolazione che i risultati effettivi del governo Hamas siano molto deboli, è altresì chiaro che Hamas rappresenta il più efficace punto di riferimento nella lotta contro l'occupazione israeliana. Con la decisione di presentarsi alle elezioni legislative e l'abbandono della strategia degli attacchi suicidi, Hamas ha dimostrato una notevole capacità di cambiamento. Con la cattura a sorpresa del soldato israeliano a Gaza, Hamas ha inoltre confermato che le sue competenze militari sono superiori a quelle degli altri gruppi armati palestinesi. In virtù di questo, Hamas mantiene una grande autorevolezza nell'opinione pubblica palestinese. Dall'altra parte, la fiducia dei palestinesi nei confronti della comunità internazionale è progressivamente diminuita negli ultimi anni, a causa della condiscendenza europea nei confronti delle continue violazioni degli accordi di pace da parte di Israele. In particolare, il silenzio del Quartetto (USA, ONU, UE e Russia) di fronte alla costruzione massiccia e continua di insediamenti di coloni israeliani nella West Bank, ha privato di qualsiasi legittimità, agli occhi dell'opinione pubblica palestinese, la richiesta insistente che Hamas riconosca Israele e accolga gli accordi di Oslo. I palestinesi appoggiano Hamas nel non riconoscere Israele, perché questa rimane l'unica organizzazione che cerca di mantenere viva la dignità della lotta contro l'occupazione, ridotta ormai a questo semplice rifiuto, mentre sul campo la maggior parte dei militanti armati sono stati uccisi o incarcerati grazie ai collaborazionisti.

Il compromesso raggiunto dalla leadership di Hamas è stato l'appoggio al "documento dei prigionieri", redatto nelle carceri israeliane da Marwan Barghouti e sottoscritto da tutti i gruppi
militanti. In particolare, Hamas ha fatto proprio il piano di pace della Lega Araba del 2002, in cui i Paesi Arabi si impegnano a intraprendere normali relazioni diplomatiche con Israele in cambio del ritiro israeliano sulla Linea Verde del 1967. Nonostante nel piano di pace non si affronti la questione dei profughi palestinesi, lo stato di Israele viene implicitamente riconosciuto e questo sembra il passo più lungo che Hamas intende fare, a prescindere dalle richieste del Quartetto.

Nel frattempo, dall'altra parte della Linea Verde, qualche novità si affaccia alla ribalta della discussione politica. A quanto pare, la boutade estiva del nostro ministro degli esteri D'Alema, riguardo ad una forza di pace a Gaza, ha fatto breccia tra i progressisti israeliani. In un recente articolo su Haaretz, si propone ad esempio di riciclare la Risoluzione 1701 sostituendo la parola "Libano" con "Territori occupati", la parola "Linea Blu", cioè il confine tra Libano e Israele, con la "Linea Verde" e infine "Hizbullah" con "Hamas". Il risultato è sorprendente e si adatta perfettamente all'attuale stato di guerra permanente in Palestina. Infine, un recente sondaggio ha mostrato come il 67% degli israeliani sia favorevole a dei negoziati di pace che includano anche il governo Hamas attualmente in carica. Forse per questo Olmert, dopo aver mostrato la sua faccia violenta in Libano, ha deciso di mostrare improvvisamente una sospetta volontà di dialogo con tutti i vicini, dai palestinesi, ai libanesi, ai siriani.