Il 19 agosto scorso, la nave Brobo Koala, battente bandiera panamense, è
approdata nel porto di Abidjan, capitale della Costa d'Avorio, e da quel momento
la città non ha più avuto pace.
Per circa 30 ore, 19 camion hanno fatto una continua spola tra la nave e le
discariche del centro urbano, versando una quantità imprecisata, ma secondo
alcune stime compresa tra le 400 e le mille tonnellate di liquami, su un'area
di circa dieci chilometri quadrati caratterizzati da una alta densità
di popolazione. I rifiuti liquidi sono stati scaricati nelle discariche, ma
spesso per far prima anche nei fossi, ai bordi delle strade.
Alcuni giorni dopo, si sono presentate presso gli ospedali cittadini prima centinaia,
poi migliaia di persone. Ai primi di settembre si sono registrati tre decessi,
tra i quali due bambine.
E' scattato l'allarme, per un'emergenza che il debole sistema sanitario della
Costa d'Avorio non è in grado di reggere: al momento dei primi tre decessi,
le persone ricoverate ed intossicate erano già 3000. Con il passare del tempo, la situazione è drammaticamente peggiorata.
La mattina del 6 settembre, il ministero ivoriano della sanità ha reso
noto che sono stati ricoverati altri 1.500 intossicati, sollecitando un aiuto
dall'estero.
Secondo una fonte diplomatica occidentale raggiunta per telefono dall'Ansa,
la situazione e drammatica, i servizi sanitari non sono in grado di far fronte
ad un'emergenza del genere e gli ospedali sono in tilt, presi d'assalto da gente
in preda a disturbi polmonari, intossicazioni, eruzioni cutanee. Per non parlare
dell'odore nauseabondo che grava su Abidjan.
In pratica, con lo scarico delle tonnellate di sostanze contenute nella stiva
della Brobo Koala, l'intera capitale è diventata un enorme deposito di
rifiuti tossici.
Dalle prime indagini delle autorità ivoriesi, risulta che i prodotti
tossici, in particolare decaptati solforati, anidride solforosa, idrogeno solforato,
provengono da Spagna e Olanda. Sostanze ad alto rischio per l'ennesima nave
dei veleni.
Al momento in cui scriviamo, nella città la tensione è alta, con
manifestazioni da parte degli abitanti della zona delle discariche, che hanno
eretto barricate in alcune zone, con interi quartieri chiusi da blocchi di polizia
ed esercito.
L'opposizione ivoriana accusa di lassismo il governo, dopo che le autorità
portuali hanno ammesso di essere state a conoscenza dello scaricamento di sostanze
pericolose da parte della Probo Koala.
Si tratta purtroppo di rifiuti liquidi, di sostanze che sono soggette a fermentazione
che produce, e libera nell'aria, ingenti quantità di idrogeno solforoso,
un gas inodore ma altamente tossico anche in piccole concentrazioni: provoca
diarree, vomito, gola secca, broncospasmi, edema polmonare. A concentrazioni
più elevate può provocare la morte.
La Probo Koala è immatricolata nei Paesi Bassi, batte bandiera panamense,
l'armatore è di un paese diverso e i rifiuti caricati nei porti di un
altro: la nave è salpata dall'Olanda ma ha fatto scalo in Spagna.
Il 9 settembre, il numero delle persone che si sono presentate negli ospedali
accusando sintomi di intossicazione non è diminuito rispetto ai giorni
precedenti; la popolazione, anche di fronte alle dimissioni del governo che
ha ammesso di essere a conoscenza dell'arrivo del carico mortale, ha smesso
di scendere in piazza per protestare, ma chiede cure e farmaci gratuiti per
far fronte alle conseguenze delle esalazioni dei rifiuti tossici.
Fino ad ora, in aiuto alle autorità ivoriane è intervenuta solo
la Francia: secondo notizie date dalla stampa locale, una squadra della protezione
civile francese è stata inviata nel Paese africano con l'incarico di
aiutare le autorità locali a proteggere la popolazione. I responsabili
governativi ivoriani hanno varato un piano di emergenza per neutralizzare i
rifiuti tossici, gestito da un apposito comitato interministeriale, che rimane
in carica nonostante le dimissioni del governo. La priorità è
la messa in sicurezza dei rifiuti tossici, abbandonati in diverse zone della
città, e l'assistenza alle persone intossicate.
Sono almeno 9 i siti dove sono stati abbandonati i rifiuti all'aria aperta,
in diversi quartieri di Abidjan, che conta circa 4 milioni di abitanti, quasi
un terzo della popolazione ivoriana. I rifiuti sono giunti in Costa d'Avorio
per essere trattati da un'azienda locale di gestione delle scorie. Azienda che
doveva provvedere, dopo aver incassato i proventi della ricezione dei rifiuti,
alla loro messa in sicurezza, che non è stata fatta: si è preferito
abbandonare i rifiuti in città.
Sul piano politico, le dimissioni del governo di unione nazionale sono state
criticate dall'opposizione, che teme una manovra del Presidente e del Primo
Ministro per nascondere le responsabilità nella vicenda.
Nella giornata del 10 settembre, il bilancio si è aggravato: secondo
il ministero della Sanità ivoriese, si è giunti a 6 morti e 9000
intossicati.
Bilancio che è destinato ad aggravarsi ulteriormente, se non si provvede,
anche attraverso la cooperazione internazionale, a mettere in sicurezza le strade,
i terreni, i quartieri e l'aria di Abidjan.
La Francia ha cooperato, mandando la sua protezione civile; gli altri Paesi
d'Europa hanno scelto di non dedicarsi a questo problema, nonostante quei fusti
della morte rechino scritte in spagnolo e olandese.
Ancora una volta, come avviene oramai da un trentennio nel settore dei rifiuti,
l'Africa paga il prezzo ambientale - e in questo caso anche sanitario - dello
sviluppo industriale dell'Unione Europea: il caso di Abidjan non è il
primo e non sarà certo l'ultimo episodio di "nave dei veleni".