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Categoria: Esteri
di Lidia Campagnano

Le città muoiono, una dopo l'altra, nei campi delle guerre non dichiarate: a questo servono le perfezionate armi della guerra infinita in corso da oltre un decennio. Adesso tocca al Libano. Mentre noi incominciamo a guardare con apprensione alle nostre città europee (perché no?). Mentre l'unico dato che informa della distruzione in corso, il numero dei morti (non i loro nomi, meno che mai le loro biografie) crea assuefazione ovvero ci rende tutti stupidi. Mentre crollano Beirut e Tiro…
Città: polis, in greco. Radice della parola politica. Culla della democrazia. Spazio dell'architettura, cioè dell'arte di dare forma, riparo, abitabilità alla convivenza umana. Che altro bisogna mandare a mente per comunicare la barbarie dei bombardamenti in corso? La miseria morale e intellettuale della dichiarazione di Shimon Peres: trattasi di un'azione proporzionata. Quest'uomo ha perso, insieme alla testa, il suo rapporto con la storia, la storia che parla precisamente dai muri e dalle vie delle città: in Medio Oriente, se possibile, da parecchi millenni in più. E' normale che chi perde il proprio rapporto con la storia abbia voglia di distruggere e di tradurrre la distruzione in proporzioni, in una cosa da calcolatrice.
La prima forma di resistenza da praticare è non usare questo linguaggio, non somigliare a quest'uomo.

La seconda è avere ostinatamente cura della storia che parla ancora sotto le macerie delle città che muoiono. Beirut già nel 1981 era stata torturata dai bombardamenti israeliani, di recente era stata ricostruita, e ricostruita male, con la cancellazione dei suoi paesaggi classici, quasi con la volontà di darle un volto smemorato: ma simili operazioni, per quanto violente, non riescono mai del tutto nel loro intento e fino a che gli abitanti non ne vengono cacciati, fino all'ultimo, ci sarà sempre qualcuno in grado di rintracciare antichi percorsi, incroci di strada perdute, frammenti di storia, ombre di intimità sedimentata sotto colate di cemento. E infatti, dalla Beirut distrutta e dalla Beirut in via di ricostruzione erano arrivate anche a noi alcune pagine di letteratura poetica (Darwish, Barakat) tra le più belle di questi nostri anni.

La terza è chiedersi e chiedere dove è mai andata a finire la lotta contro il terrore, la difesa della civiltà occidentale, nonché la dichiarata volontà di diffondere diritti umani e diritti politici, nel momento in cui l'intero tessuto urbano di un paese che non aveva aggredito niente e nessuno finisce letteralmente in polvere, e incominciare a spiare fin nei gesti del vicino di casa, oltre che dentro di sé, l'inevitabile contagio che una simile prepotenza diffonde dove meno lo si prevede.

Dopo viene la politica: la più accorta, la più diplomatica, la più dialogante, la più inclusiva possibile. Moderata fin nelle parole, purché sia efficace. Dopo. Perché non ci sarà futuro per la politica se non si ha un senso preciso della perdita che ciascuno subisce se le città muoiono. Beirut vale Roma, Baghdad vale Parigi, Tiro vale Gerusalemme…Sono queste le equivalenze care a chi si sente nella storia umana e ascolta la voce delle macerie.