Sarah Chayes deve essere una donna che crede molto in quello che fa. Racconta
le sue avventure di "ufficiale intenazionale" sulle pagine del New
York Times con la consapevolezza che le viene dall'essere embedded
da anni nella popolazione locale e non solo nell'infernale meccanismo delle
ONG che agiscono coordinandosi "politicamente" con Washington, visto
che dipendono tutte dal Dipartimento di Stato di Mrs. Rice.
Chayes, a prescindere dal suo inquadramento e dalla sua remunerazione eventualmente
di giada, è lucida e decisamente insoddisfatta dallo stato delle cose.
Dall'invasione del 2001 il controllo del governo sulle province è completamente
evaporato, i governatori locali sopravvivono rapinando i contributi governativi
e imponendo costi assurdi ai malcapitati amministrati. Il governo centrale è
ancora più insoddisfacente, visto che gli assetti economici dell'Afghanistan
sono stati definiti da funzionari stranieri comandati a comandare nei ministeri
sostituendo gli spesso pittoreschi ministri afgani nominati per criteri alieni
alla competenza. Qui si dimostra il fallimento della politica fino ad ora praticata, e anche
quella degli schemi sui quali la scienza politica americana fonda il suo concetto
di nation building. Uno schema vero non c'è e l'unica costante
sembra la totale incapacità di incidere, se non peggio, non solo sui
processi politici locali, ma anche e soprattutto nello standard di vita della
popolazione.
Tutto sembra organizzato più sullo schema della corsa all'oro che su previsioni contabili affidabili e non meraviglia che Chayes colga le inefficienze burocratiche e non le contraddizioni politiche tra queste e la dottrina imposta dal governo americano. Anche se vive nel bel mezzo di un robusto e costante aumento della violenza militare in una delle province più sconvolte dai combattimenti non ha dubbi i talebani sono una psy-ops dei servizi pachistani.
Dal Pakistan arriva nuova benzina sul fuoco, con i nuovi talebani alleati con molti signori provinciali stanchi di un governo che non c'è e dell'inconsistente occupazione straniera. In realtà i due paesi e i loro confini interni non sono mai stati tanto fluidi, anche se mai come ora è stato esteso il fronte dei combattimenti, per quel che esiste nelle sue linee principali. Kandahar è anche una provincia molto frequentata dai pachistani, così come la sua università, nonostante sia rappresentata solo da un edificio cadente e diroccato. Kandahar è stata anche bombardata dagli americani, che credevano di fare un "intervento chirurgico" su chi sapevano loro. Il risultato finale è stato che i talebani ricercati se ne sono andati abbastanza prima dei bombardamenti che, ovviamente, hanno fatto un massacro solo tra i civili.
A seguito di questo "problema" metà della guarnigione di Kandahar
ha disertato. In mezzo a questo movimento la Chayes si occupa con successo di
pregare un governatore provinciale di dare l'elettricità alle aziende
di Kandahar, per quello che ancora può dare la rete elettrica costruita
da un'azienda americana negli anni '70, alla quale nessuno fa manutenzione.
La Chayes scopre così che per gli artigiani locali le materie prime sono
tassate più di quanto non lo siano i prodotti finiti. Così un
afghano che volesse costruire tubi di plastica pagherebbe più tasse del
prodotto finito d'importazione pachistana. Essendo il Pakistan il primo partner
commerciale naturale dell'Afghanistan, è stato altrettanto naturale che
negli uffici delle dogane si siano sistemati due "consiglieri" pachistani,
almeno nelle logiche di spartizione di quelli che dovrebbero essere gli "oneri
di occupazione".
Come la Chayes ha capito benissimo si tratta di un sistema chiuso, che non serve a distribuire risorse, ma ad accentrarle per depredarle meglio, con la complicità di tutti, delle autorità d'invasione per prime. La Chayes realizza questa consapevolezza nel raccontare come esistano progetti rivolti alla stimolazione dell'impresa, ma allo stesso tempo non esistano linee di credito, o come i terreni non vengano venduti fino a che estenuanti trattative non concedono a all'amministrazione sovrapprezzi o comunque corrutele.
Sarebbe bene ricordare che per le convenzioni internazionali sull'uso della forza armata, all'autorità occupante spetta il dovere di provvedere alla popolazione e di garantirne i diritti. Per una "missione dell'ONU" la cosa dovrebbe essere pacifica, ma anche l'obiettivo minimo in questo senso è stato assolutamente mancato. Non parliamo del Bengodi promesso da Bush, parliamo del minimo previsto dalle leggi internazionali; un dovere appunto.
Allo stesso modo è facile capire che gli afghani queste cose le capiscono
anche meglio dell'intraprendente Chayes e che, in particolare, siano inquietati
dalla rinnovata estensione dei bombardamenti e dei raid militari, spesso condotti
con brutalità. Chayes ha scoperto anche perché i talebani sono
ancora rispettati dagli abitanti di Kandahar. I talebani vivevano da "studenti"
nella moschea, non possedevano niente, leggevano il Corano e vivevano della
carità dei vicini, erano sempre tre o quattro per ogni paese, disponibili
a parlare, ma non a prestarsi a evasioni di alcun tipo. Se i servizi avevano
"creato" i talebani, sicuramente molti di essi ci hanno creduto fino
a crescere e vedere i loro creatori come immondi alleati con il grande Satana;
inconvenienti del mestiere e adesso occidentali e pachistani stanno dando l'assalto
a ondate alle province di confine.
Una vecchia storia già vista con i britannici e i russi.
I nuovi talebani non sono soli e oltre al massiccio sostegno proveniente dalle
province tribali pachistane, possono contare sull'appoggio, spesso non dichiarato,
di molti signori provinciali.
Questa inedita alleanza è ora percossa da una pesante campagna militare,
che potrebbe intensificarsi l'anno prossimo visto l'annunciato aumento di tutti
i contingenti. Per la popolazione nell'insieme è notte e infatti l'unico
sorriso lo strappano gli annunci delle periodiche campagne contro l'oppio. I
trafficanti offrono credito (anche se a interessi da paura), servizi logistici
e pagano il raccolto, che è necessariamente limitato dalla carenza nella
fornitura idrica a prezzi che fanno sorridere la resa di qualsiasi altra coltura.
Il problema delle invasioni americane è che sono una macchina inefficiente, guidata da degli incompetenti e spogliata ogni minuto dalle peggiori sanguisughe, che si afferma solo in virtù della possibilità di ricorrere a un livello di violenza praticamente inaffrontabile per gli invasi. Un sistema che però autoalimenta lo scontento e aliena sistematicamente il favore degli "invasi" verso i portatori di democrazia che si affidano a questo avventuroso outsourcing di competenze e capacità decisionali.
Sarah Chayes è un'ottima finestra sul campo, almeno per il frame della vita quotidiana a Kandahar; sarebbe molto interessante poter godere dell'accesso ai "diari dei cooperatori", per quelli che esistono e che sono conservati in rete, quelli meno agiografici hanno sicuramente un grande valore per la ricostruzione più precisa possibile di quanto accade nei paesi sottoposti alla nostra potestà militare, constata la difficoltà a riceverne rapporti affidabili da quanti sarebbero deputati a farlo.