Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri
di Fabrizio Casari

E' un vero e proprio blocco navale, aereo e terrestre quello di Israele nei confronti del Libano. E' guerra. Ventiquattro anni dopo l'invasione del 1982, destinata a cacciare i palestinesi persino dai campi profughi dov'erano ammassati in condizioni disumane, la nuova invasione del Libano è cominciata tre giorni fa. Le forze armate israeliane, senza né legge né limiti, hanno deciso di ribadire il loro dominio militare assoluto sul Medio Oriente. Il rapimento dei soldati di Tel Aviv ad opera di Hezbollah è stato la causa scatenante dell'ennesima aggressione israeliana. Un rapimento per "solidarietà" con i palestinesi autori di un sequestro della stessa natura per il quale Israele ha già avuto modo di scatenare la sua furia distruttrice sui civili di Gaza. Un rapimento che ha i tratti marcati dell'idiozia politica, come tutto ciò che viene realizzato senza prevedere le conseguenze o, peggio ancora, prevedendole e ricercandole. La reazione di Hezbollah è affidata a lanci di missili terra aria verso Israele, alcuni dei quali hanno colpito Haifa, terza città israeliana. Alla fine il bilancio è lo stesso di sempre: civili uccisi, infrastrutture distrutte, abitazioni abbattute. Thesal non ci va per il sottile: dichiara che ogni lembo del territorio libanese è a rischio, che nessuno può sentirsi al sicuro. Il linguaggio è quello solito, mutuato dallo statunitense "colpisci e terrorizza". Nessun incedere verso la vendetta, si passa direttamente alla rappresaglia. Generalizzata, furiosa, feroce. Che ha visto, nell'anticipazione alla campagna attuale, missili sulle famiglie che si trovavano sulle spiagge di Gaza, case abbattute ed assassinii mirati di dirigenti palestinesi, oltre che bombe sulle istituzioni politiche e sequestro di ministri.

Lo scopo è quello di ribadire il dominio assoluto della stella di David su tutta l'area. L'aggressione a Beirut ha l'obiettivo di portare a termine quanto non riuscì in occasione della morte di Hariri, l'ex premier libanese del cui assassinio venne incolpata Damasco. Si tentò, sulla scia della rivoluzione arancione sperimentata in Ucraina, la possibilità di una crisi di governo diretta da Tel Aviv, destinata a cacciare Hezbollah e a trasformare l'antica "Svizzera del Medio Oriente" in un satellite israeliano nella regione, l'ennesimo "cuscinetto" del quale Israele ha così bisogno per limitare i danni delle reazioni alle sue azioni. Il Libano è insomma la vittima designata di una strategia che, oltre ad allargare la sfera d'influenza diretta dell'Occidente nell'area, mira a mandare segnali a Damasco e Teheran; la prima perché considerata l'occupante occulto del paese dei cedri, nonostante il recente ritiro; la seconda perché ritenuta finanziatrice ed ispiratrice ideologico-religiosa degli Hezbollah libanesi e, persino, consegnataria dei missili a gittata superiore dei vecchi katiuscia a disposizione del "Partito di dio", che non avevano la gittata sufficiente per colpire le città israeliana e venivano destinati agli insediamenti dei coloni israeliani nel Libano del sud.

Che vede ancora la presenza israeliana nonostante le molteplici risoluzioni dell'Onu che ne hanno decretato l'illegittimità, ordinandone il ritiro immediato (ovviamente mai avvenuto). Il governo Olmert, nato su presupposti ipoteticamente discontinui dalla storia politica recente, si è quindi rivelato persino peggiore di quelli guidati da laburisti e conservatori.
Israele può contare, ovviamente, sul sostegno di Bush, che quando vede civili inermi massacrati è colto da emozione di natura emulativa. Discorso diverso invece per quanto riguarda l'Europa, che seppure in preda ad una timidezza assoluta, definisce "eccessivo e sproporzionato uso della forza" la strategia distruttrice di Tel Aviv, definizione che, del resto, può ricavarsi anche dalle parole di Kofi Annan.
Beirut ha chiesto una tregua e la convocazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ma è prevedibile che il diritto di veto che eserciteranno gli Stati Uniti, impedirà una risoluzione dell'organismo esecutivo delle Nazioni Unite contro l'invasione israeliana di Libano e striscia di Gaza. E del resto, quand'anche una risoluzione fosse approvata, Tel Aviv, semplicemente, se ne fregherebbe. Non corre certo il rischio di subire l'invasione di una coalizione internazionale, né semplicemente di truppe occidentali, nemmeno di embarghi. Non è l'Iraq, né nessun altro paese arabo e gode di extraterritorialità operativa assoluta, spalmata sulle ceneri del diritto internazionale, con l'appoggio di tutti coloro che sono in prima fila a discettare ed invadere altri paesi e saccheggiare altre risorse in nome della difesa della "democrazia". Il prossimo G8 di San Pietroburgo avrà la possibilità di spendere ulteriori quanto inutili parole, a significare una presa di distanza che si rivelerà, piuttosto, un girare la testa altrove.

Il quadro di guerra non pare destinato a mutazioni rapide e la stessa operazione militare israeliana non si fermerà, nemmeno con (l'improbabile) eventuale rilascio dei militari israeliani prigionieri di Hezbollah. Si profila invece uno scenario di tensione altissima e massima allerta militare destinata, con tutta evidenza, a costruire le condizioni politiche e diplomatiche per l'attacco all'Iran. L'interrogativo è solo "quando" e attraverso quali insegne; ma si bombarda Beirut per prepararsi a Teheran.