Le "politiche" sono alle porte. L'attuale maggioranza del governo
di Skopje - che vede uniti i socialdemocratici che rappresentano il partito
moderato e una formazione politica albanese nata dalle ceneri del movimento
di guerriglia (Udi) - va così alla prova del fuoco fissata per mercoledi
5 luglio. Si trova a doversi confrontare con un'opposizione agguerrita formata
dai nazionalisti macedoni del "Vmro Dpmne" e gli albanesi del
"Pdsh". Ma a preoccupare non è tanto l'oggi della politica,
quanto il domani della gestione del Paese, che è più che mai diviso
soprattutto dal punto di vista delle religioni. Perché su una popolazione
di oltre due milioni d'abitanti c'è un 54,4% che dichiara la sua appartenenza
alla confessione "cristiano-ortodossa" e un 29,9% che denuncia la
sua appartenenza all'Islam. La religione, quindi, rischia di divenire lo spartiacque
della situazione attuale, anche perché la vicina Albania interviene pesantemente,
appoggiando i suoi "confratelli" dell'Unione democratica per l'integrazione
(Udi) che, guidati da Ali Ahmeti, (ex comandante politico della guerriglia
albanese) puntano a rafforzare ancor più la loro leadership. Nel campo macedone fa il suo ingresso anche la diplomazia statunitense con
il vicepresidente americano, Dick Cheney, che spezza una lancia a favore dell'adesione
della Macedonia nella Nato e, in prospettiva, anche nell'Ue. Proprio per dimostrare
ai macedoni quanto sia forte l'appoggio americano, fa rilevare che Washington
conta su Skopje per avviare un processo di ristrutturazione delle organizzazioni
internazionali
Come dire: noi abbiamo bisogno di voi. Ma in realtà
sono gli Usa ad avere bisogno di una Macedonia che, normalizzata, potrà
essere sempre più trasformata in vera portaerei americana nei tormentati
Balcani.
Perché la convivenza tra la minoranza albanese e la maggioranza slavo-macedone non è mai stata pacifica, soprattutto nella parte settentrionale del paese (che è a maggioranza albanese) lungo il confine con il Kosovo. Infatti, proprio in quest'area, ogni avvenimento che ha coinvolto il popolo kosovaro d'etnia albanese ha avuto inevitabilmente ripercussioni anche in Macedonia, poiché i gruppi albanesi - stanziati nelle due aree - appartengono a quel ceppo linguistico e culturale che si caratterizza per forti legami d'appartenenza familiare.
Scenario complesso, quindi, per il dopo-elezioni. La Macedonia sa di non poter contare su un aiuto europeo di stampo democratico che, nei fatti, appoggiò a suo tempo le azioni dell'Esercito di Liberazione del Kosovo e i bombardamenti della Nato nella regione iugoslava. Chiuse in sostanza gli occhi sull'uccisione d'inermi cittadini serbi ed albanesi e sulla distruzione delle infrastrutture. Poi, in un secondo tempo, tollerò la pulizia etnica e le uccisioni di civili serbi kosovari da parte d'albanesi, giustificandole come una comprensibile reazione nei confronti del popolo serbo. Oltre a queste "considerazioni" la società macedone sa anche che è in corso una ristrutturazione geopolitica dell'area e che le conseguenze immediate saranno di rilievo. Teme, tra l'altro, che dalle elezioni esca una spaccatura del paese che sarebbe una vera e propria minaccia all'integrità della Macedonia, perché sono più che mai pericolose le attività degli estremisti albanesi, un tempo istruiti ed addestrati dalla Cia in funzione anti-Belgrado. Ma c'è anche il pericolo relativo alla ristrutturazione geoeconomica. Perché i Balcani, com'è noto, rappresentano un'area strategica in quanto potenziale ponte di passaggio tra le regioni caucasiche del Turkmenistan e dell'Azerbaijan, produttrici d'idrocarburi, ed il mondo occidentale che ha come unico obiettivo quello di sganciarsi dalla dipendenza petrolifera dei Paesi arabi.
Un primo passo in questo senso è stato compiuto con la creazione del
cosiddetto "Corridoio 8", finanziato dal Fmi e dall'Ue, per la realizzazione
di un oleodotto che attraversi la Bulgaria, la Macedonia e l'Albania, sino all'Adriatico.
Si comprende così il perché del grande interesse degli Usa e dell'Ovest
nei confronti della futura Macedonia. In questo contesto è significativo
quanto si registra nel settore dei media, dove il magnate Rupert Murdoch ha
già messo le mani sulle telecomunicazioni locali puntando a creare, per
il futuro, una tv capace di formare un'opinione pubblica sempre più filo-occidentale.
Intanto vengono avanti altre pretese strategiche ed economiche che tendono a
modificare gli equilibri regionali, con Washington che vuole che i corridoi
energetici attraversino Stati politicamente controllati. E la prova di quest'interesse
sta anche nel fatto che nel recente passato l'attenzione della superpotenza
statunitense si è concentrata sui Balcani. Con quella guerra contro Belgrado
che ha permesso di eliminare avversari scomodi, polverizzando quello che rimaneva
della vecchia Yugoslavia.
Ora l'ulteriore destabilizzazione della Macedonia rientra nuovamente nel gioco
occidentale. E così, il tanto sbandierato appoggio occidentale al governo
di Skopje, non lascia alcuna via d'uscita alla Macedonia che, incapace di affrontare
da sola il pericolo albanese, si vedrà costretta ad accettare sempre
più l'intermediazione della Ue e le conseguenti pressioni occidentali..
La prospettiva reale è che dopo il voto la Macedonia diventi sempre più
uno Stato controllato dall'Ovest, in quanto solo con l'appoggio occidentale
potrà tenere a bada lo spettro albanese. Come già accaduto in
Kosovo, gestori unici della crisi saranno organizzazioni internazionali diverse
(quanto a denominazione
) dalle Nazioni Unite, ma di fatto subordinate
agli Usa. come la Nato.