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Categoria: Esteri
di Daniele John Angrisani

Turki Al Faisal Quando nel luglio 2005 il sistema di sicurezza dell'aeroporto Dulles International aveva dato l'allarme non appena il figlio di undici mesi di Sarah Zapolsky aveva cercato di imbarcarsi su un volo per Phoenix, nessuno se ne era meravigliato più di tanto. Il bimbo era infatti nella lista dei sospetti terroristi e non era neppure il primo caso del genere. Ciò che più fa impressione è però che in tale lista invece non era presente il primo finanziatore dei talebani, che, a distanza di soli due mesi da questo increscioso incidente, sarebbe stato accolto con tutti gli onori da tappeti rossi e Segretari di Stato americani proprio all'aereporto Dulles. Stiamo parlando ovviamente del principe saudita Turki, l'ex direttore dell'intelligence saudita, che poche ore dopo essere sbarcato avrebbe ricevuto le credenziali come nuovo Ambasciatore saudita negli Stati Uniti d'America dalla Rice e dal presidente Bush. Sapeva Bush di stare dando le credenziali di Ambasciatore a colui che, assieme all'arcinemico Osama Bin Ladin, aveva partecipato alla creazione ed al finanziamento del movimento dei talebani, un vero e proprio Frankestein creato ad arte dai sauditi? Lasciamo la risposta ad un veterano della CIA esperto di petrolio e questioni mediorientali, Robert Ebel: "Nel 1980 volontari arabi, finanziati dal denaro proveniente dal regno saudita... diedero vita alle scuole wahabite... iniziarono una campagna contro l'Islam afghano... e distrussero i luoghi sacri dei Sufi. I talebani sono il prodotto finale e più formidabile di questa strategia di lungo termine... sono parte integrante della strategia americana post 1992 per mantenere un alto livello di influenza in quella cintura energetica che esiste tra il Mar Caspio ed il Golfo Persico."

Ancora non si capisce se gli americani abbiano dato attivo supporto a questa strategia o semplicemente se abbiano lasciato fare. Quello che conta è invece il risultato raggiunto: fermare i piani iraniani per assumere il controllo dell'OPEC al posto dei sauditi. Per questo Saddam, d'accordo con gli Usa, attaccò Teheran solo poco dopo che Komehini aveva assunto il potere, nel 1980, iniziando una guerra decennale che aveva proprio lo scopo di sfiancare il regime teocratico. Dall'altro lato dello Shuttle El Arab, la speranza dell'Iran era basata sulla possibilità di una rivolta sciita nel sud dell'Irak destinata a creare un fronte interno che avrebbe potuto prendere Baghdad tra due fuochi. Ma la sperata rivolta non ci fu. Rafforzato comunque dalla sua vittoria contro l'invasore iracheno, l'Iran decise quindi, a fine Anni Ottanta, di spostare le proprie mire sull'Afghanistan, abitato da una nutrita minoranza sciita al nord.

Se l'Iran fosse riuscito a controllare il corridoio tra il Mar Caspio e il Golfo Persico sarebbe stato infatti in grado di rivaleggiare con i sauditi per il controllo dell'OPEC e quindi del mercato petrolifero mondiale. Gli Stati Uniti, i sauditi, ed ovviamente Bin Ladin, non potevano permettere che questo accadesse. Nessun "cane sciita" doveva poter controllare un califfato petrolifero dal Kazakhstan fino al Tigri, costi quel che costi.

Per prevenire questo scenario da incubo, ognuno fece la sua parte. L'America dette finanziamenti e aiuti di vario genere al Pakistan il cui ministro dell'interno (vale a dire il capo della Polizia segreta, l'ISI) addestrava i talebani ed aveva affermato più volte che "se serviva per bloccare gli iraniani, ben venga avere a che fare con i talebani". I sauditi, sotto la direzione del loro direttore dell'intelligence, il principe Turki, finanziarono pesantemente i talebani per lo stesso proposito. Anche Bin Ladin fece la sua parte. Con l'obiettivo di eliminare la missione diplomatica iraniana in Afghanistan, Osama Bin Ladin aiutò i talebani a creare la loro prima unità effettiva, il battaglione 055. Pur di bloccare i nemici iraniani, gli americani fecero finta di non vedere, e quando i talebani assunsero il potere in Afghanistan l'unica cosa che chiesero era la consegna di Bin Ladin.

Nel frattempo nel 1995, come abbiamo già accennato, la Unocal Petroleum aveva firmato un accordo con i talebani per la costruzione di un oleodotto che portasse il gas naturale del Caspio in Pakistan. Non si trattava di un accordo significante dal punto di vista del mercato del gas, ma aveva un enorme importanza come effettivo segno della volontà saudita ed americana di bloccare i piani iraniani.

Ma non tutti all'interno del Congresso erano contenti della riuscita del piano di Turki e dell'ISI pakistano. Un deputato repubblicano di New York, Benjamin Gilman, era riuscito a ottenere documenti riservati riguardo i talebani ed il 21 maggio 1999 aveva scritto all'Amministrazione Clinton chiedendo di assumere "urgentemente" dei provvedimenti nei loro confronti a causa del "terrorismo, della produzione di oppio e della massiccia violazione dei diritti umani" nell'Afghanistan dei talebani. Peccato che due anni dopo, quando un esponente del suo stesso partito sarebbe salito alla Casa Bianca, Gilman non si espose più. Evidentemente il terrorismo, la produzione di oppio e la violazione dei diritti umani non erano più urgenti come prima.

Il problema reale che si pone quando si creano dei Frankestein è che però prima o poi queste creature si rivoltano contro i propri creatori. Era già accaduto nel decennio precedente quando l'ex principale alleato americano in funzione antiiraniana, Saddam Hussein, era diventato il nemico storico degli Stati Uniti nella zona mediorientale. E sarebbe accaduto anche questa volta, quando, subito dopo l'11 settembre 2001, i talebani si sarebbero rifiutati di consegnare Osama Bin Ladin nelle mani degli americani, causando l'intervento militare americano e la loro stessa caduta successiva. Oggi l'Afghanistan, così come l'Iraq, è un Paese in preda all'anarchia, dove il governo centrale controlla solo la capitale, Kabul, ed il resto del Paese è in mano ai Signori della Guerra dell'ex Alleanza del Nord ed ai talebani rimasti a organizzare la guerriglia.

Il Pakistan invece continua ancora oggi ad essere governato da quel Perverz Musharraf che si è sempre segnalato pubblicamente per la sua alleanza con gli americani, ma che è stato allo stesso tempo anche il principale protettore della rete nucleare del dottor Khan, ovvero colui che ha venduto i segreti della bomba atomica a Libia e Corea del Nord, mentre il suo principale faceva gli occhi dolci agli americani. Visto ciò che è già accaduto in passato con Osama Bin Ladin e Saddam Hussein, solitamente dopo 11 anni i nostri Frankestein tendono a ribellarsi ai propri creatori. Chissà se anche questa volta nel 2013 il prossimo presidente Jeb Bush deciderà di mandare le truppe americane a liberare il Pakistan dal Killer di Karachi.

Che fine hanno fatto i terroristi?

Alla fine con la scusa del terrorismo ci hanno convinto a fare qualsiasi cosa. Chip magnetici sono stati piantati sui nostri passaporti, i nostri soldati sono andati in Iraq non si sa bene a fare cosa e i diritti civili sono stati ristretti, mentre al governo è permesso spiare sinanche la vita stessa dei suoi cittadini. Ma c'è una cosa fondamentale che manca in tutto questo quadro: i terroristi. Dove sono? Dove sono tutti questi terroristi che ci minacciano?

Vi ricordate gli attacchi terroristi di Londra dell'estate 2005? A distanza di un anno sappiamo ormai che gli attentatori, sebbene si fossero appropriati del nome di Al Qaeda, in realtà non avevano nulla a che fare con la famigerata rete terrorista. Erano "terroristi fai da te" che si erano armati seguendo l'esempio dei "martiri" di Al Qaeda; degli emuli insomma. Ma di Al Qaeda non avevano nulla. Eppure nei giorni immediatamente successivi agli attentati siamo stati bombardati di dichiarazioni del governo inglese sulla responsabilità presunta di Al Qaeda.
La verità, anche in questo caso, è molto lontana dalle dichiarazioni pubbliche dei nostri governanti. Si tratta di una guerra al terrorismo dove il nemico sembra essere scomparso nel nulla. Eccetto, ovviamente, quando si è voluti apposta creare dei problemi, come ad esempio invadere l'Iraq.

L'America non è sotto attacco da parte di nessuno, l'Occidente neppure. Non c'è alcuna guerra al terrorismo, poiché, eccetto un solo giorno di 5 anni fa, non vi è stato alcun attacco terrorista. L'Occidente è tranquillo e salvo, non sa neppure cosa significhi vivere sotto perenne attacco terrorista. In Israele e a Gaza, in Cecenia, non è neppure possibile andare a prendere una pizza con gli amici senza rischiare ogni giorno di morire in un attentato terrorista. E New York non è certo Baghdad, dove ogni giorno salta in aria una autobomba ed uccide civili inermi.

Parliamo anche dell'11 settembre, allora. Sono state 19 persone, armate solo di coltelli di plastica e di fede religiosa al limite dell'ossessione, a causare il più grande attentato che la storia del mondo ricordi. Ma sono stati solo un episodio, null'altro che questo. Da allora gli Stati Uniti non sono stati più colpiti, un po' poco per giustificare un allarme terrorista così alto. L'uragano Katrina ha fatto molte più vittime dei terroristi. Il fatto che poi l'FBI ancora non abbia mai accusato formalmente Osama Bin Laden dell'attentato dell'11 settembre è altra storia, e lasciamo il compito di raccontarla a coloro che si appassionano alle trame del complottismo d'oltreoceano.

Piuttosto, la domanda da porsi è: dove è Osama? Dove si trova? Secondo molti è già morto, ma anche se non lo fosse, la verità è che in realtà non è più un giocatore. E' solo una icona da portare alta nel momento in cui c'è n'è più bisogno, ad esempio tre giorni prima di fondamentali elezioni presidenziali. Ma non conta più nulla. Il suo stesso programma politico è superato, per il semplice motivo che la gran parte degli obiettivi sono già stati raggiunti. In primo luogo George W. Bush gli ha dato ciò che voleva, il ritiro delle truppe americane dall'Arabia Saudita. In secondo luogo, il terrore, così come la guerra in Iraq, nell'epoca della guerra al terrorismo ha un solo motivo: il petrolio. Ed ora che il prezzo del greggio è salito oltre i 70 dollari al barile, la stessa figura di Osama Bin Laden, che è possibile definire come un artefatto del prezzo del petrolio a 10 dollari al barile, non ha più senso.

Chi doveva guadagnare da tutto questo, ha già guadagnato. Oggi i sauditi non solo non finanziano più Al Qaeda ma non hanno neanche più paura di Bin Ladin. Il Pakistan continua a controllare di fatto l'Afghanistan anche senza bisogno dei talebani. Gli oleodotti ed i pozzi di petrolio del Caspio sono in fase di "privatizzazione". La Libia ha firmato un accordo con British Petroleum per lo sfruttamento esclusivo dei giacimenti petroliferi libici. E soprattutto, in generale, il mondo arabo è fatto di persone che si occupano più di cosa devono fare per vivere, piuttosto che pensare di farsi saltare in aria come kamikaze per ideali politici o religiosi. Gli estremisti esistono ed in alcune parti del mondo arabo sono anche forti, ma non sono e non saranno mai la maggioranza.
Nonostante questo, viviamo ancora in un clima di terrore immotivato che serve solo a chi ci governa per ridurre le nostre libertà ed accentuare il loro controllo su di noi.

Nel 1993 Franklin Delano Roosevelt affermava che "non dobbiamo aver paura di nulla se non di noi stessi". Oggi Bush, parafrasando, potrebbe dire per una volta, almeno una, la verità: "non abbiamo nulla da vendere se non la paura stessa".
Le industrie petrolifere e il complesso militare industriale che hanno appoggiato fermamente Bush in questi anni ringraziano. I loro profitti si sono quadruplicati, se non quintuplicati in pochi anni.
Missione compiuta?