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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

La geopolitica dell'oggi - quanto a continenti - impone il cambiamento delle definizioni tradizionali con una sorta di nuovo conteggio che non segue la geologia; guarda più alla politica e all'economia imponendo una sorta di mutazione complessiva, superando anche i vecchi steccati ideologici. Perché alle cinque "aree", note dal punto di vista geografico ed accettate quanto a sistemi politici (Europa, Asia, Africa, Americhe, Australia), vanno ora ad aggiungersi altre tre "formazioni" che sono indicate come Eurasia, Cindia e Australasia che prefigurano il futuro - in una ottica di breve periodo - e ne tratteggiano problemi e potenzialità. Di conseguenza vanno praticamente in soffitta quei modelli di studio e di analisi che furono alla base dei lavori fondamentali di scienziati come lo svedese Rudolf Kjellen (1864-1922), il tedesco Karl Haushofer (1869-1946) e l'inglese Halford Mackinder (1861-1947) il cui pensiero fondamentale è stato sempre alla base di ogni studio geopolitico. La ristrutturazione della carta mondiale nasce in seguito alle nuove divisioni che si registrano nel mondo e che riguardano gli assetti economici e finanziari, le nuove formazioni economiche, la diversificazione degli interessi dei singoli paesi. In pratica si può affermare che la globalizzazione ha portato all'affermarsi di altre realtà. E tra queste la prima è quella che oggi più che mai si riferisce all'Eurasia. Una vera e propria unione di due continenti che presentano nella scena - come in un processo di partenogenesi - un nuovo continente. Eurasia, appunto, che mettendo in disparte, in un certo senso, quel "concetto" di Europa piuttosto vago, va dalla tradizionale catena degli Urali alla linea del Caucaso, per finire sulle rive del Pacifico. E si impone una diversa interpretazione dell'attualità.
"Nasce", pertanto, proprio come conseguenza della mondializzazione, questo complesso politico-economico che ha varie capitali: una collocata nell'Europa, ma volta ad oriente - Mosca - ed altre tre in Asia come New Dely, Pechino e Tokio. Un vero e proprio arco di nazioni che colmano difetti e limiti di un'antica cartografia. Perché sappiamo che nel ruolo di cartografa, l'Europa, a suo tempo, ridisegnò lo spazio asiatico in maniera da favorire i propri scopi strategici di più vasta portata, erigendo una barriera che la separasse dall'Asia. Non esisteva, infatti, alcun elemento geografico naturale, come un oceano, che indicasse dove finiva l'Europa e dove cominciava l'Asia. Dal punto di vista geografico, invece, i due continenti - l'Europa e l'Asia - avrebbero potuto formare un'unica entità. Ma i cartografi separarono l'Europa dall'Asia all'altezza dei monti Urali. E nel fare questo posero il dilemma se la Russia dovesse considerarsi europea oppure asiatica: una questione con formidabili implicazioni strategiche.

Ed è così avvenuto che l'esistenza dell'Asia ha fatto della Russia un paese europeo. Con quella linea di demarcazione dei monti Urali che ebbe l'effetto di rafforzare, presso i russi, il sentimento di un'identità europea. E non è un caso che la divisione lungo quella catena montuosa avvenne all'incirca dopo che Pietro il Grande avviò una campagna di modernizzazione ed europeizzazione del paese. E fu così che Mosca creò due Russie: una moderna, dinamica ed europea; l'altra asiatica, barbara, bisognosa di essere civilizzata.

Ma oggi si parla decisamente di "Eurasia" e s'intende un asse politico-economico che comprende Russia, India, Cina e Giappone. Tutto avviene alla luce del sole ("I nuovi Paperoni - ha scritto nelle settimane scorse l'autorevole Il sole 24 ore - nascono in India e in Corea") con i paesi interessati che raggiungono accordi di ogni tipo sviluppando relazioni che sino a qualche anno fa erano impensabili. La Russia (con Putin e i nuovi tecnocrati che abitano al Cremlino) smette di considerare il proprio territorio in Asia come una regione da sfruttare e la considera ora, sempre più, come una porta sul Pacifico. Posizione analoga quella di Pechino che si caratterizza con previsioni a medio e lungo termine che segnalano come la lotta per il possesso di risorse - sempre più limitate - andrà gradualmente aumentando. Si delinea sempre più l'asse Mosca-Pechino dopo che i rapporti bilaterali erano stati spesso concepiti all'interno di una secca dicotomia: alleanza o conflitto, rottura o riconciliazione. Oggi, al contrario, sembrano affiorare elementi che evidenziano gli aspetti di cooperazione e quelli di competizione. I lupi solitari non esistono più: lasciano il posto alle tigri asiatiche.

E tutto questo in relazione anche alle nuove esigenze dell'India che vede imporsi sempre più i risultati di un'emigrazione su larga scala che porta a contatto tra di loro popoli dalle più disparate culture, civiltà e scenari socio-economici. E che avviene a una velocità e con dimensioni tali da impedire un processo di assimilazione graduale.
A queste posizioni si allinea anche il Giappone che cerca di non perdere il treno verso quell'altra fetta di Asia che si chiama Russia.
Ed è sempre in questo contesto di nuova geopolitica che si delinea un altro continente. La definizione, al momento, è questa: Cindia. E cioè India e Cina. C'è, è vero, una sorta di contraddizione con l'Eurasia. Perché in questo caso sono Pechino e Delhi a siglare il patto dal momento che nelle loro regioni si stanno formando nuove strutture economiche di gestione. I due paesi sanno che le previsioni a medio e lungo termine indicano che la lotta per il possesso di risorse sempre più limitate andrà gradualmente aumentando. E sanno anche che un'emigrazione su larga scala porterà a contatto tra di loro popoli dalle più disparate culture, civiltà e scenari socio-economici. Sanno anche che tutto questo avviene a una velocità e con dimensioni tali da impedire un processo di assimilazione graduale.

Quindi Delhi e Pechino si stringono con patti bilaterali sempre tesi verso i più ampi mercati dell'Eurasia. Ma l'abbraccio attuale ha già un valore epocale. Perché i due paesi riaprono la via di collegamento che li univa sino al 1962 quando il "passo Nathula" (4500 metri sull'Himalaya) fu chiuso in seguito alla guerra che li aveva divisi. Poi c'è in cantiere la costruzione di una rete ferroviaria che dal Tibet porterà a Delhi e a Calcutta. Grandi opere anche quelle stradali dal momento che è avviato il progetto per ampliare le vie di collegamento fra Cina, India, Vietnam e Thailandia con sbocchi fino all'Asia centrale e all'Europa. E così queste due tigri asiatiche (circa due miliardi e mezzo di abitanti, quasi la metà della popolazione mondiale) obbligano il mondo occidentale, con le loro mosse, a riflessioni profonde.

C'è poi la nuova geografia dell'Australasia. Qui entra in campo il gran disegno dell'Australia che sente forte il bisogno di un contatto diretto con l'Asia. A Canberra, capitale australiana, si sa, infatti, che la collocazione e il ruolo del paese nel nuovo ordine mondiale dipendono non soltanto dai suoi rapporti con l'Occidente avanzato, ma anche dalle relazioni con il mondo asiatico. Perché solo se l'Australia saprà trovare la comprensione, la via della cooperazione e del dialogo costruttivo con gli asiatici dell'altro continente riuscirà a superare il complesso dell'isola accerchiata. E questo vuol dire che prima o poi il governo dovrà mettere fine alla politica di contenimento dell'immigrazione.
Nuova geopolitica mondiale, quindi. Ma su questi sconvolgimenti pesa sempre la presenza americana. Con gli specialisti della Casa Bianca, del Pentagono e della Cia i quali nelle loro previsioni a medio e lungo termine indicano che la lotta per il possesso di risorse sempre più limitate andrà gradualmente aumentando. E che un'emigrazione su larga scala porterà sempre più a contatto tra di loro popoli dalle disparate culture e civiltà. Per questo gli Usa cercano di rispondere ai tentativi europei ed asiatici tentando nuovi scenari socio-economici, tali da impedire un processo d'assimilazione graduale. E sapendo, soprattutto, che in Australia come in Asia non c'è mai stata una Nato o un Patto di Varsavia; perché persino i cloni della Nato, come Cento e Seato, non vi hanno mai funzionato. Per Washington, quindi, tutti questi nuovi continenti rappresentano una scacchiera dove lo scopo del gioco è di impedire l'ascesa di un qualsiasi stato che possa sfidare la superiorità militare "americana". Per ora l'offensiva americana è di tipo "mediatico". Ma è chiaro che il gioco si farà duro.