Chi pensava che la campagna elettorale per le elezioni di mid term fosse
già conclusa a favore dei democratici, si sbagliava alla grande. Con
una serie di colpi di scena, a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro, la
macchina elettorale repubblicana ha dimostrato tutta la sua vitalità
e la sua capacità di stupire, anche se tutti gli esperti del settore
la davano già per spacciata. Di fronte ai sondaggi che vedevano il rating
di Bush scendere sempre più in basso, raggiungendo qualche settimana
fa addirittura il 29%, gli strateghi repubblicani hanno alacremente lavorato
per cercare di cambiare il vento in maniera a loro favorevole e, almeno in parte,
sembra ci siano riusciti. L'uccisione di Al Zarqawi ha sicuramente dato loro una mano, ma indubbiamente
il capolavoro di questa strategia è stato il viaggio di Bush a Baghdad.
Inatteso, da alcuni insperato, preparato in totale segretezza, sembra che persino
il governo iracheno non ne fosse venuto a conoscenza e che era preparato a incontrarlo
solo in videoconferenza. Per la verità il presidente americano non si
è mosso al di fuori dell'area dell'ambasciata americana, all'interno
di quella superfortezza definita "Zona Verde" nel cuore di Baghdad.
Ma ciò che conta, è mostrare all'opinione pubblica che il presidente
ancora c'è, è ben presente ed ha a cuore la missione in Iraq.
Tutto, ovviamente ad uso e consumo del pubblico interno e, soprattutto, di quegli
elettori che devono assolutamente essere mobilitati alle urne per evitare una
debacle che altrimenti sarebbe disastrosa in vista delle elezioni di novembre.
Lo stesso giorno che Bush è stato a Baghdad per la sua visita lampo,
i repubblicani hanno potuto anche festeggiare, definitivamente, la fine delle
indagini su Karl Rove, il loro principale consulente strategico, per la vicenda
Valerie Plame. Il procuratore speciale Fitzgerald ha infatti informato Lushkin,
l'avvocato di Rove, che il suo cliente si può ritenere di fatto al di
fuori delle indagini. Si è arrivati così alla fine di una lunga
telenovela che sembrava, solo poche settimane fa, prendere una brutta piega
per il consigliere presidenziale il quale, secondo alcuni siti internet, era
stato addirittura già messo sotto accusa. Voci che sono state prima smentite
con vigore, e poi sono risultate definitivamente false. E' pur vero, però,
che le indagini continuano: in un editoriale del The Nation si specula
infatti che, a seguito del proscioglimento di Rove, la nuova "preda"
del procuratore speciale possa essere addittura Dick Cheney, il vicepresidente
americano. E' chiaro che una sua, sebbene al momento solo ipotetica, messa in
stato d'accusa, sarebbe a dir poco disastrosa per l'Amministrazione Bush e l'interno
establishment politico repubblicano.
Evitando però di ragionare sulla fantapolitica, al momento ciò
che è sicuro è che sono i repubblicani a poter respirare dopo
mesi di affanno politico. Karl Rove, libero dalle accuse, può finalmente
occuparsi di mettere a punto la strategia per le elezioni di mid term,
viste da più parti come la vera cartina di tornasole per questa Amministrazione
presidenziale, mai tanto amata e poi odiata dagli americani. Stando a ciò
che affermano i sondaggi di opinione in possesso della Casa Bianca, l'elettorato
che sembra più aver abbandonato i repubblicani è proprio quello
conservatore. Compito di Karl Rove è ora quello di rimettere in sesto
quella macchina da guerra che ha permesso, brogli compresi, di far rieleggere
George W. Bush nel 2004. Ciò significa far si, sostanzialmente, che tutto
l'elettorato cristiano conservatore degli Stati del centro e del sud vada a
votare compatto e che, altrove, si possa sempre contare su fratelli o industrie
costruttori di macchine per il voto elettronico compiacenti.
Dall'altra parte della barricata, nonostante questi ultimi accadimenti, i democratici
sentono ancora di avere il vento in poppa, anche se, ad onor del vero, non è
che abbiano fatto molto per meritarselo. Sebbene infatti tutti i loro timidi
tentativi di fare opposizione al Senato o alla Camera non abbiano portato risultati
concreti, la marea montante dell'opposizione alla guerra ancora vede in loro
gli unici reali sfidanti dell'egemonia repubblicana. E' per questo motivo che
la stessa Cindy Sheehan, la madre coraggio simbolo del pacifismo americano contro
la guerra in Iraq, ha dichiarato la propria intenzione di scendere in politica
con i democratici in funzione anti Hillary Clinton; ed un'altra star del movimento
pacifista, Ned Lamont, ha deciso di sfidare in una lotta all'ultimo voto il
senatore democratico uscente Joe Lieberman, conosciuto soprattutto per le sue
posizioni filo Bush, nelle primarie democratiche del Connecticut. Lieberman,
conscio del pericolo, ha già posto una spada di damocle sul suo sfidante,
annunciando di essere pronto a correre come indipendente se gli elettori democratici
lo sfiducieranno alle primarie.
La battaglia è ancora all'inizio, ma già si preannuncia spettacolare.
In gioco è il controllo della Camera dei Rappresentanti e forse anche
del Senato, anche se un ribaltamento alla Camera Alta sembra molto meno probabile,
visti i rapporti di forza e i seggi in bilico. La paura che serpeggia alla Casa
Bianca è quella che Bush possa trasformarsi in una "anatra zoppa"
per gli ultimi due anni di presidenza, destino a cui sono andati contro molti
altri suoi predecessori. Ma c'è anche altro in ballo. Di fronte alla
marea montante degli scandali che hanno colpito la presidenza americana, e di
fronte al continuo bagno di sangue che, Zarqawi o meno, continua a martoriare
giornalmente l'Iraq, un Congresso democratico potrebbe anche decidere di aprire
una inchiesta sulla presidenza Bush ed innescare quel processo che, ai tempi
di Nixon, portò alla fine alle dimissioni del presidente più odiato
nella storia degli Stati Uniti d'America. C'è chi specula addirittura
che, in questo contesto, dopo una sconfitta elettorale, possano essere gli stessi
repubblicani ad abbandonare la nave che affonda e procedere alla messa in stato
d'accusa di Bush, per non rischiare la sconfitta anche alle presidenziali del
2008.
Quel che è sicuro è che metà America (e la stragrande maggioranza
dell'opinione pubblica mondiale) ci spera dal giorno stesso dell'elezione di
Bush. Il 7 novembre 2006, giorno delle elezioni di mid term, rischia
davvero di trasformarsi in una lotta all'ultimo voto e senza quartiere. Bisogna
solo sperare che stavolta i democratici siano in grado di adempiere al proprio
compito. Molto di quello che accadrà nei due anni successivi potrebbe
dipendere da questo e gli elettori americani potrebbero non perdonare più
i democratici se dovessero sprecare nuovamente una occasione così ghiotta
per bloccare la follia militarista di Bush e dei neoconservatori che tante vittime
ha già fatto sino ad ora.