Il vecchio e rivoluzionario disegno yugoslavo di Josif Broz Tito è crollato
definitivamente, perché anche l'ultimo baluardo della resistenza serba
è andato in frantumi. Con il voto favorevole all'autonomia di Podgorica
nei confronti di Belgrado, la geoeconomia e la geopolitica dell'Europa si ridisegnano.
Hanno vinto i secessionisti guidati da Milo Djukanovic. Hanno perso gli unionisti
guidati dal socialista Predrag Bulatovic. Ora la battaglia è sulle percentuali
e sulle contestazioni con le polemiche che aumentano e con lo scontro sul testa-a-testa
che è pur sempre notevole. Ma secondo i dati ufficiali - che sono ovviamente
preliminari e che sono stati resi noti nella nottata del 21 maggio - i voti
favorevoli allo "strappo" sono pari al 55,4% (qualche decimale in
più rispetto alla maggioranza qualificata concordata con i mediatori
europei per il via libera alla secessione), mentre i "ne" (no) si
sono fermati al 44,6%. Si ridisegna, ora, la carta dell'Europa. Ma i problemi restano e, in molti
casi, si aggravano. Intanto c'è subito un contenzioso che si aprirà
con le istituzioni europee perché Belgrado - legale rappresentante dello
stato di Serbia-Montenegro - aveva avanzato la sua candidatura nelle organizzazioni
paneuropee. Ora il Paese si smembra. E ci si chiede: quali saranno i nuovi iter?
Come si riavvierà il processo di riconoscimento della nuova entità?
Djukanovic, per ora, non sembra preoccupato di tutto ciò. Ricorda - con
enfasi - quella fase dell'indipendenza "nazionale" che il Montenegro
aveva avuto sino al 1918 e saluta i suoi sostenitori sventolando la vecchia
bandiera. E così muovendosi finge di ignorare che, da questo momento
in poi, tutte le relazioni con Belgrado assumeranno aspetti nuovi, inediti.
A partire dagli interessi delle due comunità - quella serba in Montenegro
e quella montenegrina in Serbia - che saranno sconvolti non solo socialmente,
ma anche dal punto di vista economico e politico.
Intanto a Podgorica c'è chi avanza previsioni sul futuro del nuovo paese
che non ha gran prestigio nell'arena internazionale. E, quindi, nella stessa
Europa. Perché sino a ieri, nel bene o nel male, l'ombrello protettivo
dell'autorità belgradese, aveva funzionato.
I problemi e le contestazioni vengono ora alla luce. E viene avanti soprattutto
il fatto che Milo Djukanovic ha rinnegato la sua biografia iniziale: ora comanda
un suo esercito privato di quindicimila poliziotti, che i serbi definiscono
come un'armata al servizio degli americani. E sta qui l'aspetto più eclatante
di tutta la nuova gestione montenegrina sulla quale pesa l'accusa di essere
una pedina dell'Ovest nel cuore dei Balcani. Tutto questo anche in considerazione
dell'esistenza di una vera e propria società del crimine che si è
impossessata dello stato e del governo già da molti anni.
E Djukanovic - che a suo tempo aveva autorizzato la circolazione del marco tedesco
insieme al dinaro jugoslavo come divisa nazionale - si è spinto verso
i lidi del liberismo più sfrenato chiamando accanto a se un consigliere
economico statunitense, Steve Henke. Di fatto, l'economia che Podgorica dirige
attualmente dipende quasi totalmente dagli aiuti Usa, senza i quali non potrebbe
pagare stipendi e pensioni.
E c'è dell'altro in questo Montenegro che si accinge ad entrare autonomamente
in Europa. Il paese è dominato da una catena di multinazionali del tabacco
e da organizzazioni criminali come la camorra e la Sacra Corona Unita e, naturalmente,
da cosche di contrabbandieri. E si sa che per ogni "cassa" che esce
dai porti montenegrini la malavita paga una "tassa" di 100 marchi
come diritto di stoccaggio, vera tangente governativa. E per ogni "cassa"
che tocca la Puglia, i boss della Sacra Corona Unita chiedono oltre 100 euro.
Ed alcune volte i contrabbandieri sono vittime dei mafiosi, altre volte, invece,
sono complici.
Ecco quindi che nel Paese - considerato anche come un vero paradiso fiscale
- operano finanzieri, faccendieri e gruppi privati (questi coperti anche da
prestanome) i quali approfittano di particolari esenzioni doganali e finanziamenti
agevolati il cui fatturato d'esportazione equivale al 95% del fatturato globale.
C'è anche da notare che le società della malavita sono occultate
in studi professionali i quali non hanno l'obbligo di rendere pubblici né
bilanci né composizione dei Consigli d'amministrazione. E così
i narcos locali - e i loro referenti dislocati in altre aree balcaniche - sfruttano
il lavoro dei loro più poveri connazionali e soddisfano il fabbisogno
di droga dell'occidente. Denaro e potere, di conseguenza, come binomio inscindibile,
con il vincitore del referendum di queste ore che è considerato come
un gran rastrellatore di pacchetti azionari e di banche. Tutto all'ombra di
ingenti capitali sporchi che sono "ripuliti" attraverso broker compiacenti
e vie telematiche.
Le cronache montenegrine fanno poi rilevare che nel paese sono sempre forti
quelle organizzazioni dell'Ucpmb, (Ushtria Climtare Presevo Medvedja Bujanovac)
che rappresentano le formazioni del nuovo Uck: stesse divise, stesse mostrine,
stesse finalità. Anche in questo caso si registra un diretto connubio
tra gli ambienti della malavita e le strutture armate dell'Uck; il contrabbando
è di casa e la gente gira armata come nel Far West.
E comunque sia Yugoslavia addio. C'è chi ora prevede una tappa successiva, cioè l'effettivo sganciamento del Kosovo dalla Serbia. Anche in questo caso nascerebbe una nuova nazione e Belgrado resterebbe isolata da tutti. Il suo rapporto con il mare Adriatico - tra l'altro - è già finito con la cortina montenegrina. L'atmosfera si fa così sempre più pesante. Nelle sale cinematografiche di Podgorica, emblematicamente forse, si proietta un film intitolato "Aspettando la pioggia", che racconta la torva attesa dell' apocalisse macedone, la guerra tra slavi e albanesi.