Martedì scorso il Presidente iraniano Ahmadinejad ha annunciato in un
discorso alla nazione che il 9 aprile l'Iran ha prodotto uranio arricchito al
3.5%, necessario per la produzione autonoma di combustibile nucleare e, riferisce
l'Agenzia ufficiale iraniana Irna, lo avrebbe fatto sotto la supervisione dell'Aiea.
Nella stessa occasione il Presidente iraniano ha fatto sapere che l'intenzione
futura è quella di produrre combustibile nucleare su scala industriale,
additando gli Stati contrari a ciò come gli stessi che si opposero alla
nazionalizzazione del petrolio iraniano degli anni Cinquanta.
Dichiarazioni forti, gridate ed a tratti minacciose quando afferma che "ora
siamo una potenza nucleare". Risulta chiaro inoltre, da queste e da altre
affermazioni, che Teheran non ci pensa proprio ad ottemperare all'ultimatum
del Consiglio di Sicurezza in scadenza il 28 aprile prossimo. Non solo la posizione iraniana appare irremovibile, ma segnatamente caratterizzata
dall'intento evidente di accrescere il suo peso politico, non solo a livello
internazionale ma anche nell'area geopolitica d'appartenenza, fortemente "sismica".
Un segnale nella stessa direzione è dato dal recente esperimento di un
nuovo missile iraniano avvenuto il 3 aprile scorso nel Golfo Persico. Hossein
Salami, alto comandante delle Guardie della Rivoluzione, ha detto che "il
missile è capace di evadere i radar e i missili anti-missile". Anche
questo, che per molti è solo un altro bluff, è sicuramente una
delle mosse iraniane alla ricerca di una quotazione internazionale più
forte. "Ora siamo più forti di prima", dice Hossein Salami.
La reazione USA, al rifiuto di Teheran di piegarsi all'ultimatum dell'Onu,
è stata altrettanto decisa. Da ultimo le parole del Segretario di Stato
americano Condoleeza Rice, che chiede al Consiglio di Sicurezza una risoluzione
in base al Capitolo Sette della Carta delle Nazioni Unite. Il Presidente Bush
fa sapere che non vede all'orizzonte una soluzione pacifica della crisi iraniana.
Gia martedì prossimo, in un vertice a Mosca con i Paesi del Consiglio
di Sicurezza e dell'Unione Europea, gli Stati Uniti proporranno un ipotesi di
sanzioni all'Iran, che pare non riguarderanno il settore petrolifero e che probabilmente
saranno di carattere diplomatico. Non dimentichiamo che l'Iran è il quarto
paese produttore di greggio, che in questi ultimi giorni ha visto schizzare
le quotazioni oltre i 70 dollari al barile.
Nella geometria della Carta, le previsioni del Capitolo 7 risultano essere
l'unica strada percorribile per superare il divieto all'uso uso della forza
sancito all'art. 2, sempre che uno Stato o un gruppo di Stati non ritenga di
procedere ad in intervento militare unilaterale, al quale avrebbe rinunciato
a priori proprio in quanto membro dell'organizzazione internazionale. Il passato
tuttavia è li che ci ricorda vicende dove l'iniziativa unilaterale ha
scavalcato facilmente il Consiglio di Sicurezza, come accaduto in Jugoslavia
nel 1999.
Solo due opzioni consentono di oltrepassare la soglia del divieto di uso della
forza: la legittima difesa o una decisione del Consiglio di Sicurezza a norma
del Capitolo 7.
L'art. 39 dispone che il "Consiglio di Sicurezza accerta l'esistenza
di una minaccia alla pace di una violazione della pace o di un atto di aggressione
e fa raccomandazioni o decide quali misure debbono essere prese in conformità
agli art 41 (misure economiche e diplomatiche) e 42 (azioni militari contro
uno Stato) della Carta per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali".
Quindi, un intervento che preveda l'uso della forza deve precedere una risoluzione
che accerti la situazione di minaccia alla pace o di violazione della stessa
e che imponga misure di carattere economico o politico (limitazione nella cooperazione
o riduzione delle relazioni diplomatiche). Solo successivamente il Consiglio
di Sicurezza potrebbe adottare una risoluzione che preveda l'uso della forza.
Le decisioni di natura sostanziale, come lo sono le risoluzioni del Consiglio ai sensi dell'art. 39, vedono la possibilità di veto di ognuno dei membri permanenti: Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Rispetto alla questione Iran questi ultimi si sono così allineati: Russia e Cina da un lato con un approccio meno rigido e più orientato alla via diplomatica, Regno Unito, Francia e Stati Uniti dall'altro, con l'appoggio esterno della Germania, che si muovono per affrontare la questione Iran senza compromessi.
Per delineare una possibile strategia degli Usa e degli altri paesi che spingono
per un intervento deciso del Consiglio di Sicurezza, è bene richiamare
quanto riportato da The Times la settimana scorsa. Il giornale britannico
riferisce il contenuto di una lettera inviata dal direttore politico del Ministero
degli Esteri britannico, John Sawers, ai rispettivi pari ruolo di Stati Uniti,
Francia e Germania, rivelando la strategia per arrivare ad una risoluzione del
Consiglio di Sicurezza "che dovremmo adottare - scrive Sawers - a inizio
maggio". Dalla lettera in questione, l'ostacolo di un possibile veto di
Russia e Cina verrebbe risolto coinvolgendole in una nuova proposta all'Iran
e dell'eventuale ma già prevista reazione attiva dell'Onu, alla quale
si dovrebbero di conseguenza allineare.
Detto questo, si è decisamente portati a credere che non siano solo illazioni
le voci che paventavano un attacco con testate atomiche sui siti nucleari iraniani
da parte degli Stati Uniti, in particolare sui siti presso Natanz.
Intanto dal recente viaggio in Iran di El Baradei, direttore dell'Agenzia internazionale
per l'energia atomica (AIEA), non arriva una risposta decisiva sulle reali capacità
iraniane. Gli ispettori non confermano che l'Iran sia riuscito a produrre combustibile
nucleare in grado di alimentare centrali nucleari ed hanno prelevato alcuni
campioni per stabilire come stanno veramente le cose. Alla luce di questo risultato,
il ruolo dell'Agenzia pare sgretolarsi e, con esso, gran parte della base su
cui il Trattato di non proliferazione nucleare poggia.
L'escalation di dichiarazioni tra i protagonisti, Usa e Iran, anche alla luce delle affermazioni su Israele che viene definito dal Presidente iraniano "un albero marcio, rinsecchito, che sarà annientato da una unica tempesta", non lasciano dubbi circa il fatto che questa partita è un braccio di ferro tra i due.
Il nulla di fatto dell'Aiea, le conclusioni che si possono trarre dalle affermazioni del Presidente Ahmadinejad con le quali qualifica il suo paese "potenza nucleare", la richiesta decisa degli Stati Uniti dell'uso della forza giustificata dalla situazione potenziale di pericolo che l'Iran si accingerebbe a rappresentare e non meglio definita, lasciano dedurre che la questione non può più trovare le sue basi sul Trattato di non proliferazione nucleare. Esso piuttosto sembra ora uno strumento da sventolare sotto il naso dell'opinione pubblica per una partita che ha le sue motivazioni altrove.