Philip
Claeys, un parlamentare belga, ha affermato al Parlamento Europeo che in Turchia
non esistono i diritti umani. Nelle ultime settimane l'esercito turco affronta
una nuova intifada curda che ha già provocato la morte di decine di persone.
Circa un mese fa la Turchia ha rischiato il golpe, quando i militari hanno risposto
a muso duro all'accusa fatta al generale Buyukanit, numero due militare turco
in attesa di diventare il numero uno a giugno, di aver organizzato attentati
per attribuirli ai curdi. Nonostante l'evidenza della cattura di ufficiali sulla
scena di un attentato, alla fine sul banco degli accusati c'é andato
il Procuratore di Van, incaricato dell'inchiesta, mentre gli ufficiali sono
liberi e difficilmente subiranno conseguenze.
Nelle ultime settimane l'esercito turco ha quindi forzato la mano nella repressione
fino a provocare la reazione di massa dei curdi, che sono scesi in piazza a
migliaia. Manifestazioni molto partecipate hanno scosso la provincia curda, facendo parlare
di intifada curda. La situazione è caotica e intreccia la messa a nudo
del gioco sporco dell'esercito con la resistenza alla giustizia civile e all'opera
di una commissione d'inchiesta parlamentare; mentre monta la ribellione, la
repressione ha provocato un paio di stragi con centinaia di feriti e decine
di morti, alcune delle quali difficilmente giustificabili come quelle di alcuni
ottantenni curdi.
La situazione sul campo è caotica, e la rivolta alle recenti violenze
è molto partecipata dalla popolazione, le grandi manifestazioni diventano
sempre più spesso occasione di rappresaglie casuali, spari sulla folla
ed esecuzioni brutali. In un paese democratico i militari dovrebbero dipendere
dal potere politico e dovrebbero servire a difendere le vite dei cittadini,
non certo ad ucciderli.
L'esercito controlla storicamente la politica turca, ponendosi come garante
contro i nemici dello Stato, qualifica a turno rivestita dagli islamici e dai
curdi, che hanno sostituito egregiamente l'antico nemico greco come fonte di
legittimità necessaria ad un apparato militare elefantiaco in grado di
bruciare miliardi di dollari. L'esercito turco giustifica infatti le sue dimensioni
solo perché esiste il "problema curdo": da quando la Turchia
ha stipulato la pace con la Grecia, solo la ribellione curda mantiene al centro
dello scenario politico le forze armate di Ankara.
Come in altri teatri sembra esistere un interesse dei militari per il mantenimento
dello stato di militarizzazione, così come appare evidente che gli stessi
operano per fomentare i tumulti piuttosto che per favorire i timidi tentativi
di normalizzazione, portati avanti con grande fatica dal governo civile sottoposto
alle pressioni ansiogene della UE.
Mentre il leader curdo Ocalan continua la sua permanenza in carcere, l'esercito
pare avere tutta l'intenzione di giocarsi una escalation della violenza nelle
province curde, già ora capace di azzerare i recenti progressi nel confronto
tra il governo e gli autonomisti. La politica ha capito e la parola d'ordine
del "dialogo" con i curdi è diventata di nuovo "prima
lo Stato".
La Turchia mette in pericolo la sua ammissione alla UE, posto che non sarebbe
possibile ammettere nell'Unione una dittatura militare, o anche semplicemente
un sistema politico dominato dalla casta in uniforme. Questa è da sempre
il peggior peso all'ammissione della Turchia, che con l'ammissione alla UE deve
necessariamente rinunciare agli storici atteggiamenti bellicosi con il vicinato
e quindi ridimensionare la dimensione e l'ingombrante presenza del suo esercito.
Una presenza che, storicamente, nella visione di Ataturk, è stata eletta
garante dello Stato; che non rinuncia alla sua supremazia e non esita ad intimidire
la politica con segnali espliciti, non riconoscendo alla giustizia la giurisdizione
sui militari e rivendicando libertà di manovra contro il "nemico",
che non è ovviamente un popolo, ma uno sparuto gruppo di "terroristi".