Il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), firmato il 1 luglio
del 1968, che ad oggi vede l'adesione di 189 paesi, segna un confine netto tra
gli stati "militarmente nucleari" e quelli che non lo sono,
introducendo obblighi a carico di entrambi.
I paesi che hanno esploso un ordigno nucleare prima del 1 gennaio 1967, quindi
Cina, Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Russia, si impegnarono a "non
trasferire un'arma nucleare o altro ordigno nucleare esplosivo e a non assistere
gli Stati non dotati di armi nucleari nella fabbricazione di tali armi".
Gli Stati firmatari del trattato non dotati di armi nucleari, si impegnarono
invece a non fabbricare né ricevere armi nucleari e a non chiedere né
ricevere assistenza per la loro fabbricazione.
Fin qui è chiaro. Chi detiene un'arma atomica se la tiene, mentre chi
non ne ha una non deve procurarsene.
Ma veniamo agli obblighi. Gli Stati militarmente armati si assumevano
l'obbligo di prendere misure effettive per procedere sulla strada del disarmo
nucleare mediante negoziati, per interrompere la corsa alle armi nucleari. Gli Stati non dotati di armi nucleari si impegnavano "a negoziare e
concludere con l'agenzia Internazionale per l'energia atomica, conformemente
allo statuto della medesima ed al suo sistema di garanzie, al solo scopo di
accertare l'adempimento degli impegni assunti sulla base del presente Trattato
per impedire la diversione di energia nucleare dall'impegno pacifico alla produzione
di armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi".(art.III TNP)
Gli ispettori dell'Agenzia possono quindi recarsi in quei paesi firmatari del
trattato solo in base ad un accordo che stabilisca le modalità, i diritti
ed i doveri dello stato ispezionato e controllare se il materiale nucleare è
utilizzato in modo diverso rispetto allo scopo dichiarato, nonché l'esistenza
di materiale non dichiarato.
Il Giappone, alla firma del Trattato dichiarava che "Il trattato autorizza
unicamente gli Stati già militarmente nucleari a possedere tali armi,
e conferisce ai medesimi dunque uno statuto speciale. Il Governo giapponese
ritiene che gli stati militarmente nucleari dovranno por fine a tale discriminazione,
sopprimendo totalmente il loro armamento nucleare, Il governo giapponese, dal
canto suo, è deciso a fare sforzi particolari onde favorire il disarmo
nucleare."
Quello "statuto speciale" ha nel tempo assunto il ruolo destabilizzante di tutto l'impianto del Trattato ed è proprio a causa di questo assetto asimmetrico che oggi assistiamo alla vicenda Iran, che sembra segnare la possibilità di porre la parola fine sul TNP.
Non solo. Se mentre tirava aria di guerra fredda le due superpotenze hanno dato il loro contributo frenando la corsa agli armamenti (anche per le opportunità che esso offriva di gestire problematiche quali Cuba e, in generale, di tenere sotto controllo i paesi che non avevano ancora imboccato la strada del nucleare) successivamente hanno abbandonato presto l'impegno per buttarsi decisamente nella ricerca, sperimentazione e fabbricazione di un ricco arsenale.
Gli Stati invece come Gran Bretagna, Francia e Cina non hanno nemmeno imboccato
la strada del disarmo, defilandosi silenziosamente dagli impegni assunti con
il trattato.
Di recente sembra che l'Inghilterra, in collaborazione con gli Stati Uniti,
stia progettando una nuova serie di missili presso il centro di ricerche di
Aldermanston. Una nuova generazione di testate nucleari che prenderebbe il nome
di Reliable Replacement Warhead. L'unico problema è quello di
trovare una scappatoia tecnica per aggirare le disposizioni del Trattato e mettere
insieme il super missile balistico.
Non dimentichiamo la Corea del Nord, uscita dal Trattato nel 2003 (vi aveva aderito solo nel 1992) dichiarando che "la continua violazione della sovranità e della sicurezza della nazione a causa della politica ostile e viziosa degli Stati Uniti".
Non hanno mai aderito al trattato invece India, Israele, Pakistan e Cuba, che sono liberi dal trattato e che hanno potuto mettere insieme un buon arsenale, trovando l'aiuto dei paesi occidentali che non fanno pressioni perché procedano al disarmo.
L'assetto introdotto dal TNP tra gruppi di paesi militarmente armati e firmatari
non dotati di armi atomiche, è la radice di tante problematiche che nel
tempo si sono sedimentate.
Da un lato, le continue promesse delle potenze dotate di armi nucleari, unitamente
al rifiuto di farne (come accaduto nel recente tentativo del maggio 2005 in
occasione della conferenza di revisione del Trattato) non fanno altro che allontanare
tutti noi da uno scenario internazionale di pace e di sicurezza.
Dall'altro ci sono le necessità di paesi che incontrano ostacoli nella
ricerca e nella produzione di energia nucleare, ma anche la sensazione sempre
più pregnante di un Trattato "sbilanciato" ed ingiusto, miope
nel considerare paritetici gli obblighi assunti, che non fanno altro che vanificare
l'efficacia dell'accordo.
Mentre assistiamo all'assottigliarsi della discriminazione assoluta di non
utilizzo di armi nucleari, che alcuni paesi si dichiarano disposti ad usare
anche come misura preventiva, restiamo sempre più inzuppati nella sensazione
di "emergenza continua".
Ci sentiamo quasi intimati di un avvertimento ogni volta che sentiamo parlare
di "attacco preventivo" anche se l'avversario non disponesse di armi
nucleari. Nonostante trattati, zone libere dal nucleare, risoluzioni del Consiglio
di Sicurezza Onu che dovrebbero sovrintendere alla sicurezza e alla pace internazionali
e nella cui Carta si sancisce tra i principi fondamentali il rifiuto dell'uso
della forza e il ricorso a mezzi pacifici di soluzione delle controversie, assistiamo
inermi all'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e alle loro conseguenze
immediate e nel lungo periodo.
Con la situazione in Iraq lontana dal risolversi, arriva l'ultimatum del Consiglio di Sicurezza Onu che, all'unanimità, ha approvato una dichiarazione che chiede a Teheran di sospendere il suo programma di arricchimento dell'uranio a seguito di un accordo raggiunto dai membri permanenti - Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina - con la partecipazione della Germania. L'Iran oggi ha un mese di tempo per adeguarsi.
Questo mentre nei giorni scorsi sembrava si fosse formato tra i cinque membri
una contrapposizione sulla competenza tra Consiglio di Sicurezza e AIEA per
affrontare l'Iran.
Russia e Cina sembrava propendessero per lasciare agire ancora l'AIEA, soprattutto
per non generare una reazione forte e incontrollabile dell'Iran. Infatti, il
portavoce del ministero degli Esteri, Hamid-Reza Asefi, aveva di recente definito
"soddisfacenti" i colloqui con la Russia nella ricerca di un accordo
nell'ambito dell' AIEA.
La forza destabilizzante del Trattato sarà messa ancora una volta alla
prova nei prossimi 30 giorni, allo scadere dei quali sapremo se Teheran farà
marcia indietro, ponendo fine al suo programma nucleare e sottoponendosi ai
conseguenti controlli dell'Agenzia Onu.
In caso contrario l'unanimità trovata potrebbe anche dissolversi, dando
luogo all'ennesima incapacità del Consiglio di Sicurezza di gestire la
probabile aggressività degli Stati Uniti e la cautela di Russia e Cina,
che sembrano propensi a cercare ancora una soluzione diplomatica. Intanto però
le posizioni dei cinque e di Teheran si contrappongono duramente in un gioco
di forza fatto di dichiarazioni che non lasciano sperare in una soluzione pacifica.
E' difficile fare previsioni, ma Condoleeza Rice ha richiamato in una dichiarazione
recente, la forza di pressione maggiore dall'11 settembre in poi, definendo
l'Iran "la banca centrale del terrorismo".
Sull'altro fronte, il Presidente Mahmoud Ahmadinejad, in una dichiarazione riportata
dall'agenzia ufficiale Irna, afferma di voler "continuare nei suoi sforzi
per accedere alla tecnologia nucleare a scopi pacifici e per aiutare l'oppressa
nazione palestinese".
Se la capacità di tenuta del Trattato dovesse cedere all'uso della forza,
forse sarebbe la dimostrazione che è venuto il momento di aprire in chiave
morale una seria discussione internazionale sul disarmo totale come responsabilità
di ogni Stato verso l'umanità.
A cominciare dalle responsabilità di coloro che, armati, chiedono ai
disarmati di rimanere tali mentre minacciano di colpirli.