Come per molti altri aspetti, anche le politiche sulle droghe degli Stati Uniti
sono di grande fascino per certi politici nostrani.
Alla fine degli anni '80, Bettino Craxi tornò da un viaggio oltreoceano
entusiasta dell'approccio americano e da lì iniziò il percorso
che ha portato alla legge nota come "Jervolino- Vassali". Un provvedimento
approvato nel 1990 e che si volle, ai suoi tempi, blindato ed impermeabile a
qualsiasi proposta dell'opposizione e incentrato sul "simply, say no",
sul rifiuto di tutte le droghe, sull'obbligo dell'azione giudiziaria per i consumatori,
sull'idea di una "dose media giornaliera" stabilita per legge e molto
rigida.
Un agghiacciante parallelo con la legge Berlusconi-Fini-Giovanardi, come se
il tempo non insegnasse nulla.
Ci volle il referendum del 1993 a cancellare gli articoli sulla dose media ed
altri provvedimenti (la legge 45 del 1999, per esempio) a riequilibrarne il
tiro.
Gli USA, quindi, come ispiratori, suggeritori.
Ma qual è la situazione del consumo di sostanze nella terra di Bush e
quali sono le risposte istituzionali?
Gli Stati Uniti hanno dati sul consumo e sull'abuso di sostanze che sembra per
certi versi, simile al nostro e per altri differente. Il ricorso alle droghe ha assunto caratteristiche "di massa" a partire
dalla metà degli anni '60, declinandosi in numerosi aspetti differenti.
Vi è stata la scoperta della marijuana e dell'acido lisergico (LSD) come
strumenti di conoscenza interiore che accompagna il movimento hippye, la comparsa
dell'eroina che proveniva dal Sudest asiatico (appannaggio dei più poveri
e dei reduci del Vietnam), l'aumento del ricorso alla cocaina come droga "di
prestazioni". Successivamente, l'uso e l'abuso delle sostanze ha assunto
dimensioni qualitative e quantitative differenti. Soprattutto per censo: ai
ricchi la cocaina, ai poveri il crack: una miscela economica e micidiale di
cocaina ed eroina. I benestanti hanno continuato ad usare droghe per migliorare
le prestazioni sessuali o sul lavoro; i poveri ricorrono alle sostanze come
tentativo estremo di passare qualche momento senza le angosce di una situazione
priva di speranze e prospettive. Come tutto in USA, la differenza è mostruosa
anche quando si parla di trattamenti: esistono strutture residenziali di straordinaria
efficacia per i tossicodipendenti che possono pagare. Non a caso, Lapo Elkan
è andato a "recuperarsi" in una clinica ultraspecializzata
di Miami dal costo di quattromila dollari al giorno. Poi, ci sono Comunità
Terapeutiche ed altre strutture pagate (parzialmente) dalle assicurazioni sanitarie.
Per il resto della popolazione restano strutture ospedaliere da poveracci, molto
al di sotto del minimo consentito.
E, soprattutto, c'è il carcere.
Ecco la risposta per eccellenza della politica americana a chi si ostina ad
usare droghe.
Se è vero che molti Paesi si dichiarano favorevoli a risposte repressive
nei confronti dei consumatori di droghe, propugnando l'idea che un messaggio
"severo" possa servire da deterrente, non risulta che la messa in
pratica di questi principi sia sempre consequenziale. In generale, i tassi di
arresto e detenzione dei consumatori sono bassi, se comparati con il numero
stimato di coloro che usano sostanze.
C'è un solo Paese, invece, in cui chi detiene ed usa droghe corre seriamente
il rischio di carcere: negli Stati Uniti si calcolano in circa 700.000 i detenuti
per problemi legali correlati alle droghe.
Lì, la legislazione sia federale che statale è univoca e messa
in pratica senza incertezze; convinti del potere deterrente di queste misure,
i responsabili politici americani hanno sempre intrapreso la strada della massima
penalizzazione e quella del comminare con frequenza la massima pena possibile.
Severità, certezza, immediatezza dei provvedimenti sono considerati gli
elementi cardine per scoraggiare l'uso di sostanze. Il rapporto dello Human
Rights Watch del 2000 riportava una quadruplicazione della popolazione carceraria
americana negli ultimi 20 anni.
Quali sono gli effetti di queste scelte?
Sembra che l'effetto deterrente sia, in qualche modo, stato raggiunto. Pur se
nessuno studio scientifico è in grado di dimostrare che una determinata
azione ha l'effetto di prevenire un certo comportamento (non potendosi misurare
i "non comportamenti), gli Stati Uniti affermano il raggiungimento dei
risultati desiderati in quanto a prevenzione.
Ma altri effetti collaterali sono percepibili e riguardano soprattutto la percentuale
drammaticamente alta di soggetti delle fasce deboli, indifese, marginali, povere
nel numero generale dei carcerati per droghe.
Afroamericani, homeless, poveri sono la stragrande maggioranza; i più
abbienti riescono a cavarsela comunque.
Il sistema dei trattamenti è, ovviamente, molto legato all'approccio
repressivo: centrato sul drug free, sul raggiungimento dell'astinenza
a tutti i costi, è alimentato dagli utenti che provengono dal circuito
penale e tende a non offrire soluzioni di tipo farmacologico né sostitutive,
né antagoniste; a maggior ragione, i trattamenti metadonici a lungo termine
(a mantenimento) non sono accettati.
Nel panorama delle scelte politiche verso le droghe, ovviamente, gli Stati Uniti
danno il meglio sul campo della politica estera.
Nel Sudamerica mescolano disinvoltamente azioni offensive, vere e proprie guerre,
finanziamenti larghi e generosi per sradicare le coltivazioni di coca e danneggiare
fatalmente i cocaleros, con appoggi altrettanto generosi e disinvolti
a personaggi oscuri, dittatori, trafficanti, quando questi possano garantire
la soppressione dei movimenti anti USA. Tutti ricordano Guillermo Noriega, prima
dittatore di Panama appoggiato, difeso, sostenuto dai nordamericani, poi "scoperto"
come un trafficante di coca, arrestato e processato.
Ma così è stato per Colombia e Bolivia, almeno fino alla vittoria
di Evo Morales.
E lo stesso approccio gli USA l'anno avuto nel regno della coltivazione del
papavero da oppio: i talebani andavano bene quando si trattava di contrastare
l'invasione ed il dominio dell'Unione Sovietica in Afghanistan. Poi, si scopre
il loro integralismo intransigente e la loro economia basata sulla coltivazione
e la vendita di oppio.
Faccia dura, leggi "marziali", intransigenza fino a quando conviene
e verso chi si ritiene debole, indifeso non utile od utilizzabile.