Con 260 voti a favore e 152 contrari la Camera dei Rappresentanti del Congresso USA ha fallito la scorsa settimana nel suo secondo tentativo di annullare il veto posto dalla Casa Bianca sul provvedimento di legge democratico volto ad allargare il programma pubblico di copertura sanitaria a circa quattro milioni di bambini attualmente privi di qualsiasi assicurazione. Ai parlamentari democratici, sostenuti in questo progetto anche da 42 repubblicani, sono mancati 15 voti per raggiungere la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea, numero necessario secondo la Costituzione per far passare una legge alla quale il Presidente abbia posto il veto. Nonostante al nuovo testo di legge, voluto dai democratici per fronteggiare gli effetti della crisi economica sulle famiglie a basso reddito, fossero state apportate significative modifiche rispetto a quello presentato lo scorso mese di ottobre, che ricevette uguale trattamento, esso è nuovamente naufragato tra le divisioni ideologiche dei due schieramenti e la difesa di interessi lobbystici di parte.
La proposta bipartisan di espansione del cosiddetto “State Children’s Health Insurance Program” (SCHIP), il programma governativo creato nel 1997 con il patrocinio del senatore Ted Kennedy e dell’allora First Lady Hillary Rodham Clinton che stanzia fondi agli Stati dell’Unione per garantire l’assicurazione sanitaria ai figli di quelle famiglie i cui redditi non sono così bassi da rientrare nel programma federale per indigenti (Medicaid) ma comunque tali da non potersi permettere una copertura privata, era stata elaborata con il supporto dei due senatori repubblicani Charles E. Grassley dell’Iowa, uno dei due esponenti del suo partito a votare contro l’intervento americano nella prima Guerra del Golfo, e Orrin G. Hatch dello Utah. Nelle intenzioni dei suoi promotori, l’iniziativa prevedeva un finanziamento di circa 7 miliardi di dollari all’anno per i prossimi cinque anni così da portare il totale stanziato nell’intero periodo a 60 miliardi di dollari e aumentare da 6 a 10 milioni il numero dei bambini coperti dal programma. A tutt’oggi si stima infatti che siano quasi 9 milioni i bambini esclusi da qualsiasi programma di copertura sanitaria negli Stati Uniti.
“La questione rientrerà nel pacchetto di provvedimenti da 150 miliardi di dollari destinato a risollevare l’economia del nostro paese dalla recessione e che sarà esaminato nelle prossime settimane”, ha assicurato Phil Gingrey, repubblicano della Georgia salito tristemente alla ribalta delle cronache della capitale USA qualche anno fa quando diramò una newsletter nella quale definiva la prigione di Guantanamo come una “struttura di detenzione modello”. “Abbiamo bisogno dei fondi per le misure in arrivo. Non possiamo permetterci di sprecare denaro per fornire un’assicurazione sanitaria a persone che possono pagarsene una per conto loro”. Un altro esponente repubblicano, il deputato del Michigan Dave Camp, ha poi fatto notare come non ci fosse alcuna urgenza di approvare una simile legge in seguito allo stanziamento da parte del Congresso lo scorso mese di dicembre di nuovi fondi destinati a garantire la sopravvivenza del normale programma SCHIP fino al marzo del 2009. Nella sua spiegazione per aver esercitato il diritto di veto sulla legge promossa dallo schieramento democratico, il Presidente Bush da parte sua aveva manifestato il timore per il fatto che essa avrebbe potuto estendere la copertura sanitaria assicurata dal governo federale a un paio di milioni di bambini già coperti da una polizza privata.
Ma al di là delle dispute circa le priorità a cui destinare i pochi fondi a disposizione del governo o sul numero di famiglie americane colpite dalla crisi economica e che faticheranno a conservare gravose assicurazioni sanitarie private, è chiaro che le vere preoccupazioni espresse in maniera peraltro non molto implicita da una buona parte dei parlamentari repubblicani sono tutte di stampo ideologico. “Il provvedimento bocciato dalla Camera dei Rappresentanti non intendeva tanto offrire un adeguato accesso alle cure ospedaliere per i bambini poveri quanto preparare la strada ad un sistema sanitario gestito dal governo federale”, ha paventato Roy Blunt, deputato del Missouri molto vicino all’industria del tabacco, notevolmente penalizzata in caso di approvazione di questo provvedimento che prevedeva l’aumento della tassazione sulle sigarette (da 61 centesimi a 1 $ al pacchetto) per ottenere una parte dei fondi necessari al suo finanziamento. L’estensione di un programma sanitario governativo di questo genere avrebbe potuto incoraggiare, secondo la Casa Bianca, una parte delle famiglie appartenenti alla “middle-class” ad abbandonare le loro polizze private. Scenario funesto per quanti a Washington possono contare sulle generose elargizioni in sostegno della loro azione politica da parte delle grandi aziende assicuratrici private. “Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di spingere le famiglie dei bambini senza copertura sanitaria a stipulare polizze private e non di far abbandonare queste ultime a favore dell’assicurazione pubblica”, ha spiegato chiaramente la portavoce della Casa Bianca Dana Perino.
I commenti dei deputati democratici peraltro hanno indicato esclusivamente la difficile situazione economica americana come motivo per l’allargamento del programma di assistenza federale ad un maggior numero di bambini poveri, anche se la questione di una copertura universale pubblica resta all’ordine del giorno dei candidati alle presidenziali. Tra le reazioni più autorevoli vanno segnalate quelle della Presidente della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi, la quale considerava la legge ostacolata da George W. Bush come un “obbligo morale verso i nostri figli”, e del “Representative” di New York Charles Rangel, Presidente della potente commissione parlamentare “Ways and Means”, preposta alla stesura delle principali misure fiscali e con competenza in vari campi quali la sicurezza sociale e la lotta alla disoccupazione, che ha affermato come “in un’economia declinante non è possibile negare agli americani più innocenti e bisognosi quello di cui hanno disperatamente bisogno”.
Mentre il provvedimento aveva ottenuto al Senato il sostegno necessario da entrambe le parti per revocare il veto presidenziale, a nulla sono servite le correzioni messe in atto nella ricerca di un più ampio consenso alla Camera dei Rappresentanti dopo la sconfitta di ottobre. Nella recente votazione infatti gli esponenti del Partito Repubblicano a sostenere la proposta democratica sono stati ancora meno numerosi rispetto al primo tentativo, 42 contro 44, nonostante le modifiche al testo che avrebbero escluso dalla copertura gli immigrati illegali, offerto incentivi a quegli Stati che avrebbero escluso dal programma le famiglie con redditi tre volte superiori al livello ufficiale di povertà e spinto gli adulti ad abbandonare la copertura pubblica.
Un’ulteriore pesante battuta d’arresto è arrivata poi sempre in questi giorni per i sostenitori di un programma pubblico universale di copertura sanitaria negli USA. Il progetto di legge su cui Arnold Schwarzenegger aveva investito gran parte della propria credibilità politica nel suo secondo mandato di Governatore della California, e che prevedeva l’estensione dell’assicurazione sanitaria a milioni di persone attualmente escluse, è stato infatti bocciato dalla Commissione Sanità del Senato con una maggioranza schiacciante (7 a 1) nella quale questa volta i voti dei repubblicani si sono sommati a quelli dei democratici. L’ambizioso provvedimento, prodotto dal Governatore repubblicano del più popoloso Stato americano in concerto con la maggioranza democratica al Congresso, ha sollevato non pochi dubbi circa la sua chiarezza ed efficacia ed ha scontato soprattutto il fatto di essere discusso in un momento di grave crisi finanziaria delle casse californiane, il cui deficit ammonta a qualcosa come 14,5 miliardi di dollari.
La proposta di Schwarzenegger, che aveva ottenuto il via libera lo scorso dicembre dall’Assemblea della California, traeva ispirazione da un piano studiato in passato dallo Stato del Massachussets e prevedeva l’obbligo per tutti i cittadini di stipulare un’assicurazione sanitaria, proibiva alle compagnie assicuratrici di negare la copertura sulla base dell’età o dello stato di salute e stanziava fondi pubblici per permettere ai lavoratori a basso reddito di accedere all’assicurazione stessa.
La bocciatura del progetto di legge californiano ha avuto così la stessa sorte di quelli, altrettanto ambiziosi, presentati nel corso del 2007 dagli Stati della Pennsylvania e dell’Illinois. Invece di ostacolare il complicato cammino della sanità pubblica statunitense verso un sistema di assistenza universale, i fallimenti a cui sono andati incontro i progetti statali potrebbero piuttosto determinare, secondo alcuni, un rinvigorimento delle istanze di quanti si battono su questo tema direttamente a Washington. “L’insuccesso della California, e di altri Stati in precedenza, evidenzia come frequentemente essi non dispongano della volontà politica o delle risorse necessarie per mettere in atto da soli un’importante riforma come quella della sanità”, ha affermato Drew E. Altman, Presidente della Kaiser Family Foundation, organizzazione non-profit californiana che studia la politica sanitaria americana. “Da ciò la necessità di una soluzione nazionale”. A condizione però, sembra logico aggiungere, che a guidare il paese dopo le presidenziali di novembre sia uno dei candidati democratici alla Casa Bianca.