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Categoria: Esteri
di Maurizio Musolino

Dopo aver sorpreso molti osservatori (per lo più distratti) vincendo le elezioni legislative dello scorso gennaio, Hamas continua a spiazzare quanti si aspettavano dal partito islamico una condotta chiusa e oltranzista. Infatti a poche settimane dalla vittoria elettorale sta dimostrandosi capace di interagire sia sul fronte interno che su quello esterno. All'interno Hamas dovrà dimostrare di saper dare risposte ad una popolazione stremata da una durissima occupazione militare israeliana e delusa dalla passata leaderships dell'Anp. Nel campo internazionale dovrà evitare un isolamento pericoloso, che chiuderebbe ogni speranza ad ipotesi di pace. E così, sbrigata la prima partita istituzionale con l'insediamento del Parlamento palestinese e il giuramento a Ramallah dei neodeputati, è partita ufficialmente la seconda legislatura dell'Assemblea legislativa. E bene ricordare che su 132 seggi del Consiglio legislativo palestinese, 74, la maggioranza, sono stati assegnati ad Hamas. Al termine di questa prima seduta del Parlamento, i neodeputati, con 70 voti a favore contro 46 schede bianche, hanno eletto Aziz Dweik, esponente di Hamas, alla presidenza. Professore di geografia presso l'università Najah di Nablus, il 58enne Dweik è considerato un esponente relativamente moderato di Hamas, cui appartiene fin dalla nascita del movimento islamico nel 1987. Quella di mostrare al mondo il volto moderato è il frutto di una strategia iniziata un anno fa con il lancio di una tregua (più volte rotta dagli assassinii israeliani di dirigenti di Hamas), seguita dalla decisione di partecipare alle elezioni legislative.

Una decisione affatto scontata, visto che Hamas non ha mai voluto riconoscere le strutture nate con gli accordi di Oslo. Una scelta che ha visto unite le varie voci del partito islamico, compreso lo sheick Mashallah in esilio in Siria. Conseguenti quindi anche le nomine dei vice presidenti del Parlamento: Ahmed Bahar di Hamas e Hassan Hreish, indipendente legato al partito di Abu Mazen. Il dirigente di Hamas a Ramallah, Mahmud Ramahi, 43 anni, ha avuto invece l'incarico di segretario generale dell'assemblea. Ramahi, anche lui quarantenne, è uno dei volti moderati che il movimento islamico ha messo avanti nei contatti con interlocutori stranieri durante la campagna elettorale. Ramahi ha studiato medicina alla Sapienza di Roma e ha vissuto in Italia per dieci anni, fino al 1989.

Assolte queste importanti formalità è partita immediatamente una lunga serie di incontri con i capi di Stato stranieri, un tour che ha messo a dura prova le capacità diplomatiche del movimento islamico. Prima i "vicini" arabi, Giordania e Arabia Saudita in testa; poi come a cerchi concentrici la Siria, l'Iran, fino ai lontani stati islamici asiatici a partire dall'Indonesia. Questi gli incontri ufficiali, accompagnati però da una miriade di contatti con la Russia, la Cina ma anche Paesi europei e ambienti della Casa Bianca. Dai Paesi islamici è arrivata quella promessa di aiuti necessaria per permettere alla leaderships di Hamas di poter rispondere con sicurezza alle iniziali minacce di sospendere qualsiasi aiuto da parte dell'Unione europea e degli Usa. Iniziali, perché con il tempo i toni sono stati stemperati e le minacce posticipate.

Portato a casa questo importante primo risultato, è arrivata la decisione di dar vita ad un governo di alto profilo, con un diretto coinvolgimento della leadership di Hamas. Precedentemente era in pista anche la possibilità di un governo di tecnici. Il Presidente palestinese, Abu Mazen, ha così dovuto affidare a Ismail Haniya, anche lui considerato moderato e una delle figure più importanti del fronte interno di Hamas (dopo gli assassini di Rantisi e Yassin l'organizzazione ha deciso di non avere più, almeno ufficialmente, un leader unici) l'incarico di formare il nuovo governo. Insieme all'incarico il Presidente Abu Mazen ha però lanciato un avvertimento: pronto a dimettersi se Hamas gli impedirà di portare avanti il processo di pace. "Potremmo giungere ad un punto - ha affermato Abu Mazen ad una tv israeliana - in cui non potrei più svolgere il mio incarico. In quel caso non continuerò a restare qui contro e a dispetto delle mie convinzioni".

Terzo fronte che ha impegnato Hamas in queste prime settimane da "rappresentante" del popolo palestinese è stato quello dei rapporti con Israele. Alle iniziali, reciproche chiusure, sono seguiti i primi segnali di disgelo, anche se nulla di concreto potrà succedere prima delle elezioni previste agli inizi di marzo in Israele. Olmert, candidato a succedere a Sharon, ha comunque voluto lanciare un messaggio che appare più conciliante rispetto alle precedenti dichiarazioni. Sull'edizione elettronica del quotidiano Haaretz, ha affermato di ritenere che, nonostante la vittoria di Hamas, vi sia ancora una speranza di arrivare un giorno a un accordo di pace con i palestinesi. Pronta la risposta di Hamas che si è dichiarata ''pronta a riconoscere'' Israele se quest'ultima darà ai palestinesi pieni diritti e uno Stato in tutti i territori occupati nel 1967. A dirlo è stato proprio il premier designato palestinese, Ismail Haniyeh. ''Se Israele dichiara che darà al popolo palestinese uno Stato e gli restituirà per intero i suoi diritti, allora siamo pronti a riconoscerli'', ha dichiarato ad un quotidiano statunitense. Il Primo Ministro designato non ha però specificato che tipo di riconoscimento Hamas sarebbe disposto a concedere. Haniyeh ha infatti detto che Hamas è disposta a prendere in considerazione un dialogo con Israele se lo stato ebraico si ritira dalla Cisgiordania e da Gerusalemme est, riconoscendo il ''diritto al ritorno'' in territorio israeliano dei profughi palestinesi. Parole importanti, nonostante la questione del ritorno dei profughi sia un tabù per Israele, perché possono essere un solido punto di partenza per iniziare un dialogo.

Questa impressione di apertura viene confermata anche da padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, in un'intervista uscita pochi giorni fa su La Repubblica, dove rassicura l'opinione pubblica europea anche sul quarto fronte che vede protagonista Hamas, quello delle riforme interne. ''Ho avuto incontri con dirigenti di Hamas - afferma Padre Pizzaballa - e loro assicurano che non intendono introdurre la legge islamica e vogliono garantire il rispetto delle minoranze e l'autonomia delle scuole cristiane''. Secondo il padre francescano, ''il governo israeliano, varando il congelamento dei fondi, ha dichiarato di non voler danneggiare la popolazione palestinese. Ma è difficile fare una distinzione tra la popolazione e Hamas. Sempre secondo padre Pizzaballa, ''la tregua dura da un anno perchè Hamas è un'organizzazione molto centralizzata e strutturata. Mantiene le sue decisioni. Negli ultimi tempi ha scelto di concentrarsi sull'iniziativa nell'agone politico''. Vedremo con quali risultati.