I dossier che si trovano oggi sul tavolo di Putin sono lastricati d'imprevisti.
In primo luogo quelli che si riferiscono al teatro mediorientale, dove la recente
vittoria di Hamas in Palestina ha sconvolto (disegnando nuovi scenari) piani
e rapporti di forza. Si può notare, in questo contesto, che il Cremlino
- usando una terminologia d'ordine giuridico - sarebbe interessato a derubricare
l'intera vicenda del conflitto Palestina-Israele, qualificandola sì come
"reato" grave, ma cercando di rinviare tempi e modi di giudizio. Ma
i ritmi della geopolitica impongono scelte immediate. E così Putin -
immerso nelle acque stagnanti di una diplomazia mediorientale che non da segni
di gran vitalità - si trova a dover fornire, nell'immediato, autonome
proposte e soluzioni. Non tanto perché la Russia è pur sempre
una potenza mondiale, quanto perché la situazione interna del suo Paese
richiede precisi approcci. Risposte, quindi.
I "perché" sono chiari e vanno messi nel conto prima di aprire
il dossier israelo-palestinese. Ricordiamo che è stato lo stesso Putin
a sorprendere, in un certo senso, le diplomazie mondiali rendendo nota la decisione
di portare la Russia nella Organizzazione della Conferenza Islamica e cioè
in quel forum che dal 1969 comprende 75 stati con popolazione a maggioranza
islamica. Una mossa non soltanto geopolitica, proprio perché carica di significati
interni. Putin, infatti, sa che la Conferenza Islamica comprende stati dominati
da una maggioranza fedele all'Islam, ma sostiene anche che il suo Paese - che
conta oltre 20 milioni di musulmani (il 14 % della popolazione) - ha diritto
di sentirsi parte del mondo musulmano in generale. Un vero e proprio sconvolgimento
di strategie? Oppure una mossa diplomatica per portare la Russia in nuovi e
vasti campi d'intervento?
In proposito va ricordato che in un colloquio avuto con il principe ereditario
dell' Arabia Saudita, Putin sottolineò la disponibilità a stringere
un patto di solidarietà con il mondo arabo. "In tutto il periodo
della nostra storia, la Russia - disse in quella occasione - ha tenuto rapporti
privilegiati con il mondo musulmano e arabo
Per molto tempo noi abbiamo
sempre considerato il mondo arabo, il mondo musulmano, come uno degli alleati
più vicini". Riferimenti diretti, quindi, alla vecchia gestione
sovietica.
Siamo così di fronte ad un'amicizia rinnovabile e sempre più stretta?
C'è, in sintesi, un certo mutamento di rotta, imprevisto sino ad oggi,
dato il crollo dell'Urss e l'ingresso di nuove concezioni nella politica russa.
Ma la mossa d'avvicinamento al mondo islamico da parte di Putin ha anche un
preciso obiettivo inter-religioso. Lo ha spiegato la stessa Chiesa ortodossa
russa che, quanto ad integralismi, non è seconda a nessuno.
Infatti il Patriarcato di Mosca, con una dichiarazione del suo rappresentante
ufficiale Roman Silant'ev, non ha perso tempo, né ha coltivato dubbi
nel pronunciarsi in favore di Putin. "L'entrare a far parte dell'Organizzazione
islamica - ha dichiarato l'esponente ortodosso - permetterà alla Russia
di difendere le minoranze cristiane nei paesi musulmani. Essa prenderà
il posto dell'America che non è in grado di svolgere questa funzione
Noi rispettiamo l'opinione del Presidente e del ministero degli Esteri di Mosca
e pensiamo che se hanno preso questa decisione, vuol dire che corrisponde all'utilità
della politica estera della Russia".
Sin qui la Chiesa. Ma c'è, subito, un'accentuazione di stampo politico
e strategico che viene dall'autorevole direttore dell'Istituto di studi africani
e islamici della Russia, Aleksej Vasil'ev, il quale fa notare che l'entrata
a far parte dell'Organizzazione islamica consentirà alla Russia di "assumere
una posizione più decisa in favore dei palestinesi nell'attuale conflitto
in Medio Oriente".
Si offrono quindi all'attenzione delle diplomazie nuove prospettive. E non è
un caso se nella stampa russa di questi tempi - e in tutte le manifestazioni
pubbliche dove la diplomazia del Cremlino è chiamata ad intervenire -
si nota un atteggiamento di tipo nuovo nel momento in cui sul tappeto c'è
il tema del Medio Oriente. E, in particolare, il rapporto con la Palestina e
con Israele. Si affacciano nuove prospettive e nuovi metodi di giudizio. Si
cerca, in pratica, di creare un humus dove possano ambientarsi regole avanzate
di tolleranza.
Non è, sia ben chiaro, il vecchio pragmatismo sovietico che riaffiora
e tanto meno la volontà di ritrovarsi nel gioco della grande politica.
C'è qualcosa d'inedito che si offre alla nostra attenzione mentre il
Cremlino continua a "studiare" e a tenere "sotto controllo"
forze ideologiche come le Tigri Tamil (Indù) e gli estremisti di Al Qaeda,
Hamas ed Hezbollah.
Ma Putin sa anche che la Russia non deve cadere nella trappola delle condanne.
E' riuscito sino ad oggi a far "dimenticare" all'occidente i crimini
che commette contro la Cecenia e deve così mostrare aperture internazionali
per ottenere appoggi proprio nell'area musulmana "oltreconfine".
Ecco la grande importanza di quello che sarà il primo contatto diretto
con il movimento Hamas. La Russia, in questo contesto, spiega come si svolgerà
questo dialogo con chi è giunto al potere "sulla base di elezioni
legittime e democratiche". La stampa russa non manca di far notare che
le critiche che vengono dagli Usa e da Israele sono dettate prima di tutto dal
"fallimento" della diplomazia americana in Medio Oriente. E che Washington,
di conseguenza, non ha molte possibilità di contatto con le varie forze
politiche in Palestina. Da qui l'irritazione "occidentale" per l'iniziativa
interlocutoria di Mosca.
Ai mediatori internazionali e alla dirigenza israeliana Mosca manda a dire
- tramite il suo ministro della Difesa, Ivanov - di aver compreso che "il
vertice di Hamas deve mutare la sua vecchia politica nei confronti di Israele
in quanto priva di prospettive" e che è necessario che Hamas "riconosca
la sovranità di Israele e rinunci ai metodi terroristici".
In altre parole la Russia intende chiedere ad Hamas - e con forza - una posizione
più realistica proprio in questa fase di formazione dei nuovi assetti
governativi. Ma Putin, nello stesso tempo, fa notare che l'interlocutore della
Russia è il legittimo vincitore delle elezioni. Da Mosca, pertanto, una
formula di intervento decisa e pratica. Certo: può essere anche un'arma
a doppio taglio visti gli attuali equilibri internazionali e tenuto conto che
la lobby ebraica della Russia presente in Israele è quanto mai forte
ed agguerrita. E trova ampi consensi ed appoggi negli Usa dove operano attivamente
altre lobby ebraiche provenienti dalle fila dell'emigrazione sovietica. Putin
sa di giocare su un terreno minato.
Siamo quindi in presenza di una sorta di roulette russa? Una riedizione di
quel duello praticato a suo tempo da ufficiali e nobili della Russia zarista?
Quando ci si puntava alla tempia una pistola a rotazione caricata con un solo
colpo e si premeva il grilletto dopo aver fatto girare a caso il tamburo
Putin conosce le regole del gioco. Le ha apprese nelle accademie militari del
Kgb. E se ora gioca la carta del rapporto con Hamas sa a cosa va incontro. Resta
comunque questa domanda: si è preparato organizzando eventuali ritirate
strategiche?
Intanto gli viene in aiuto Khaled Meshal, capo dell'Ufficio politico di Hamas,
il quale dichiara al quotidiano russo Nezavisimaja Gazeta che il suo
movimento è pronto ad abbandonare la lotta armata se Israele si ritirerà
dai territori occupati palestinesi. Ma Tel Aviv non pensa proprio di poter aderire
a questa proposta. Parte da qui - ed tutta in salita - la strada di Putin verso
il dialogo con l'Islam.