Tredici morti e 28 feriti è il bilancio, che potrebbe aumentare nelle
prossime ore, dell'esplosione che la sera del 8 febbraio scorso ha completamente
devastato una base militare russa a Kurchaloi, in Cecenia, un villaggio a poche
decine di chilometri dalla capitale Grozny. Lo riferisce l'agenzia di stampa
russa Interfax.
Lo scoppio ha dato vita ad un incendio che ha completamente distrutto l'edificio.
Tutte le vittime sono militari del battaglione speciale Vostok dell'esercito
russo di stanza in Cecenia.
Un battaglione speciale agli ordini di una figura controversa nel panorama politico
e militare caucasico: Sulim Iamadaiev, ceceno, ex militante ai vertici della
guerriglia indipendentista, poi alleatosi con i russi nel 2002, con clamoroso
"cambio di campo". Un battaglione specializzato nella repressione
della guerriglia, composto da 5000 uomini. Un battaglione mal visto dai ceceni,
in quanto composto in gran parte da soldati ceceni che hanno scelto di essere
al servizio della Russia. Un battaglione tristemente noto per i metodi piuttosto
sbrigativi con cui agisce nei confronti dei ribelli indipendentisti e dei sospettati. All'inizio l'esplosione, avvenuta alle le 20.30 ora di Mosca, le 18.30 italiane,
è stata attribuita ad una fuga di gas, escludendo immediatamente la pista
dell'attentato terroristico. Lo stesso Ministero dell'Interno del governo filo-russo
Ceceno si è affrettato a dare questa versione dei fatti.
La mattina dopo, invece, la procura militare di Mosca, per mezzo del suo portavoce
Mikhail Renskov, non ha escluso la pista terroristica.
Anche il colonnello Akhmet Djerkhanov dell'esercito russo ha annunciato l'apertura
di un'inchiesta e che la pista dell'attentato non è affatto da escludere.
Sono in molti, e non solo da parte moscovita, a pensare ad una ripresa degli
attacchi da parte dei guerriglieri secessionisti, soprattutto dopo le operazioni
speciali di repressione compiute dai russi sul territorio settentrionale della
Cecenia la scorsa settimana, operazioni che hanno portato all'arresto di una
trentina di sospetti militanti ed alla morte di tre guerriglieri agli ordini
di Shamil Basaiev. Da più parti c'è chi tenta di insinuare l'idea
che l'esplosione nella caserma sia stata la risposta indipendentista al giro
di vite russo.
Da parte dei ribelli di Basaiev, invece, il silenzio assoluto. Né rivendicazioni
né smentite, secondo una logica che non è nuova alle formazioni
armate dell'area: tacere per non dare alcuna informazione al "nemico russo".
Una strategia mediatica che vuole limitare le rivendicazioni solo per quanto
riguarda le azioni più eclatanti e svolte in territorio russo, o almeno
fuori del territorio della Repubblica cecena. Un esempio di ciò? L'episodio
del 14 giugno 1995, quando una sessantina di guerriglieri agli ordini dello
stesso Basaiev attaccarono la città di Budionnovsk (Russia meridionale),
tentando di distruggere una fabbrica chimica e poi occupando l'ospedale cittadino.
Lo stesso è avvenuto per il celebre assalto al teatro Dubrovka di Mosca
e così via, fino alla scuola di Beslan.
Viceversa, nelle piccole azioni e soprattutto per le azioni militari svolte
entro i confini ceceni, la strategia è quella di non rivendicare e non
smentire, mantenendo perennemente alta la tensione senza prestare il fianco
alle accuse russe.
Fatto sta che l'esplosione della caserma di Kurchaloi, si tratti o no d'incidente,
rischia di essere oggetto dell'ennesima inchiesta dall'esito tanto politico
quanto scontato da parte russa, che verosimilmente potrebbe condurre, se sfruttata,
ad una nuova escalation militare nella regione.
Giova ricordare che il 26 gennaio scorso, il Consiglio d'Europa ha espresso
una risoluzione con la quale si invita la Russia a mantenere una maggiore attenzione
circa le violazioni dei diritti umani in Cecenia. La risposta russa è
stata il portare nella repubblica caucasica un'operazione speciale militare
nei giorni immediatamente successivi. E l'8 febbraio è esplosa una caserma
dell'esercito moscovita.
Risposta cecena o incidente che sarà sfruttato per dare altre colpe ai
ceceni per ora non si sa, ma quel che è certo è che ci troviamo
di fronte ad uno scenario che indica decisamente una nuova fase calda nella
regione del Caucaso.
Proprio nel momento del turno di presidenza russa del G8. O proprio per questo.