Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri
di Elena Ferrara

Dalla “calma” alla “tensione” per arrivare all’ “allarme generale”. Perché un movimento sociale e popolare sta scuotendo la Guinea. Con i lavoratori e le lavoratrici, appoggiati dalle loro organizzazioni sindacali e dai giovani, che affrontano il potere dittatoriale di Lansana Conté, chiedendo le sue dimissioni e il soddisfacimento delle loro rivendicazioni sociali. E’ il triste cammino della Guinea di queste ore. Il paese (dieci milioni di abitanti) è nel caos ed in alcuni capoluoghi di regione il prefetto ed i governatori sono stati rimossi dalle loro cariche ed allontanati dalla popolazione locale. Sale paurosamente il livello d’intimidazione. E sul versante generale del conflitto (il Paese è coinvolto nelle azioni di guerriglia delle bande armate provenienti da Liberia e Sierra Leone) i morti ammontano già a diverse centinaia, mentre i “berretti rossi” impongono le loro leggi. E le tragiche cronache locali segnalano che a partire dal 10 gennaio scorso quel duro sciopero generale organizzato per ristabilire l'ordine democratico non si è mai interrotto. Con la popolazione sempre nella attesa di vedere al potere un Primo Ministro in grado di traghettare il paese fuori di una crisi economica e sociale che da più di vent'anni sconvolge la realtà favorendo solo gli interessi delle grandi holding internazionali. Ora si è al giro di boa, con il capo del paese, Lansana Contè - vecchio e malato - e con una situazione interna che segna l’allarme generale perché il livello di guardia è stato ampiamente superato. Attualmente il tasso di disoccupazione si assesta intorno al 75%, lo stipendio medio mensile del paese è di circa 20 euro, mentre i servizi di base sono tutti a pagamento.

Intanto i maggiori media del mondo continuano a stendere un velo di silenzio sui fatti di Conakry. Ecco perché numerose associazioni umaniste hanno costituito il “Coordinamento Emergenza Guinea” per diffondere notizie sulla realtà locale ed esortare, di conseguenza, il mondo civile ad intervenire in difesa della popolazione guineana. E sempre nel quadro di questa campagna internazionale di sensibilizzazione va registrato il valore di un appello – sottoscritto da organizzazioni umanitarie - rivolto al presidente del Parlamento europeo e al Segretario generale dell’Onu.

Nel documento si chiede al governo della Guinea e al presidente Lansana Contè di mettere fine alle violenze e di accogliere le richieste di un cambiamento democratico del paese avanzate negli ultimi mesi dalla popolazione guineana, ridotta alla fame e alla miseria a causa dei salari insufficienti, della mancanza di acqua potabile ed energia elettrica ed in seguito agli aumenti esorbitanti del prezzo del riso e del carburante, nonostante le grandi ricchezze e risorse naturali di cui il paese dispone.

L’appello è rivolto anche all'esercito, alla polizia, alle strutture governative della Guinea ed alla popolazione perchè non si faccia più uso della violenza e si avvii una trattativa di risoluzione democratica dei problemi del paese basata sulla collaborazione tra le diverse forze sociali, politiche e religiose. Al Parlamento Europeo ed alle Nazioni Unite si chiede, quindi, di informare la comunità internazionale e di esercitare pressioni affinché si realizzi una reale democrazia ed un cambiamento non violento in Guinea, nel pieno rispetto dei diritti umani.

Ma il documento va poi ben oltre i generici appelli perché annuncia che nel caso in cui la Guinea ufficiale non modifichi i suoi atteggiamenti sarà avanzata una precisa richiesta all’Unione Europea. E cioè che quel “Fondo per lo sviluppo” di cui la Guinea è beneficiaria nell'ambito degli aiuti europei ai paesi in via di sviluppo sia sospeso fino a che non si verifichino determinate condizioni. E precisamente che sia rispettato il protocollo d'intesa firmato tra il governo e la società civile del paese, per la nomina di un primo ministro con ampi poteri, scelto con il consenso dei membri del coordinamento della società civile e dei sindacati; che sia fatta chiarezza sulle effettive responsabilità delle violenze che negli ultimi mesi sono costate la vita a centinaia di civili e siano liberati i cittadini ingiustamente arrestati; che sia ristabilito l'ordine democratico nel paese.

E comunque – precisano gli ambienti democratici della Guinea – la sospensione del “Fondo per lo sviluppo” non avrà ripercussioni negative sulla popolazione perché, di fatto, non ha concorso fino ad ora a migliorare le condizioni di vita del paese, ma soltanto a rafforzare un governo che, “nonostante gli aiuti ricevuti, mantiene il suo popolo in una condizione di fame e di estrema povertà”. Intanto si vanno sviluppando alcune manifestazioni di protesta anche in Europa. Con una delegazione della comunità guineana di Francia, che in rappresentanza del Coordinamento delle Associazioni Guineane di Francia (CAGF), ha presidiato il Parlamento Europeo per denunciare la drammatica situazione in cui versa il paese. Una seconda delegazione della CAGF si è recata al palazzo del Festival di Cannes per informare il summit Francia-Africa ed i mezzi di comunicazione. E' stata proposta al Parlamento Europeo una risoluzione che preveda: la condanna per la presenza in Guinea di mercenari stranieri assoldati dal governo locale e per gli abusi da questi perpetrati nei confronti della popolazione civile. Si chiede, infine, un’inchiesta, guidata dalle Nazioni Unite, sulla repressione e l'uccisione di civili durante le manifestazioni.

La Guinea democratica, comunque, ribadisce che non vi deve essere nessuna ingerenza nella sua vita politica interna e che i francesi si devono astenere da qualsiasi azione di forza. Ma si sa che Parigi, che ha sostenuto finora il regime, ha inviato la nave militare Sirocco al Golfo di Guinea e che le truppe francesi presenti in Costa d'Avorio potrebbero intervenire in Guinea per evacuare i cittadini francesi e imporre un ordine conforme ai suoi interessi e a quelli delle imprese francesi che traggono profitto dallo sfruttamento delle risorse del paese. La Francia conferma così il suo ruolo di gendarme neocoloniale e garante di quegli interessi delle multinazionali che ha sempre voluto svolgere in Africa.