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A meno di un anno dalle elezioni americane, il candidato con le maggiori probabilità di entrare alla Casa Bianca nel gennaio 2025 continua a essere l’ex presidente repubblicano, Donald Trump. Nelle recenti uscite pubbliche, quest’ultimo è tornato a spingere sulla retorica anti-comunista e a ostentare inclinazioni ultra-autoritarie, con più di un riferimento diretto ai topoi hitleriani. Il pericolo dello scivolamento nel fascismo degli Stati Uniti non è una questione di questi mesi, come hanno dimostrato, tra l’altro, i precedenti della stessa presidenza Trump. Tuttavia, i preparativi per l’instaurazione di una dittatura più o meno “soft” da parte dell’ex presidente sembrano avvenire alla luce del sole e nel silenzio quasi assoluto della stampa ufficiale e, soprattutto, dei principali responsabili dell’apparizione e del ritorno prepotente del “fenomeno Trump”, ovvero l’amministrazione Biden e il Partito Democratico americano.

Nel fine settimana in New Hampshire, Trump è stato protagonista di uno dei discorsi più aggressivi degli ultimi tempi, nel quale ha minacciato esplicitamente l’arresto o l’eliminazione fisica dei suoi rivali politici. Verso la fine del suo intervento ha pronunciato l’affondo più preoccupante con la promessa di “sradicare i comunisti, i marxisti, i fascisti e i teppisti radicali di sinistra che vivono come parassiti dentro i confini del nostro paese” e che rubano le elezioni. Secondo Trump, coloro che rientrano nella sua descrizione farebbero di tutto, “legalmente o illegalmente, per distruggere l’America e… il Sogno Americano”.

 

A parte il riferimento semi-casuale ai “fascisti”, l’obiettivo della rabbia trumpiana è appunto la sinistra, ma la caratterizzazione che offre dei suoi oppositori negli ambienti politici, dei media e dell’accademia – “comunisti” e “marxisti” – è lontana anni luce dalla realtà. Denunciando i democratici e gli ambienti borghesi “liberal” americani come “comunisti”, Trump intende intercettare l’opposizione progressista al sistema di potere USA per dirottarla verso l’estrema destra, dipingendo una classe politica organica al capitalismo come una minaccia sovversiva di stampo “marxista”.

L’assurdità della tesi di Trump non merita particolari approfondimenti, ma cionondimeno risulta in qualche modo efficace nella confusione che domina il panorama politico e sociale degli Stati Uniti. L’equazione “liberal” (o più recentemente “woke”)-marxista è ormai popolare nella destra libertaria americana e serve appunto a bloccare un qualsiasi movimento di massa contro il sistema e ispirato a principi realmente di sinistra, così da garantire la tenuta del capitalismo a stelle e strisce.

Per chiarire ancora di più le sue intenzioni, nello stesso discorso di qualche giorno fa, Trump ha spiegato che “la vera minaccia [agli Stati Uniti] non è rappresentata dalla destra radicale”, bensì dalla “sinistra radicale” ed essa “aumenta ogni singolo giorno”. Questa presunta minaccia viene “dall’interno” ed è molto più grave e inquietante rispetto a quella proveniente dall’esterno del paese.

Notoriamente un entusiasta del “Mein Kampf”, l’ex presidente repubblicano nel discorso citato, così come in altre occasioni negli anni scorsi, ha riproposto quasi letteralmente alcuni dei temi preferiti da Adolf Hitler: dalla definizione dei propri rivali politici come “parassiti” alla denuncia dei “nemici interni”, sostituendo gli ebrei con migranti e comunisti.

Più di un commento sulla stampa “mainstream” americana ha evidenziato l’accostamento alla retorica hitleriana, ma l’aperta invocazione di repressioni e dell’instaurazione di una dittatura fascista continua a essere trattata con disinteresse o a non essere trattata del tutto. Il sito d’informazioni indipendente Common Dreams ha pubblicato nei giorni scorsi un’analisi sull’indifferenza dei media ufficiali per la deriva autoritaria della campagna elettorale di Trump. Ad esempio, l’articolo sottolinea che network nazionali come CBS e ABC nei loro programmi di informazione del fine settimana non hanno nemmeno menzionato le dichiarazioni più infuocate di Trump in New Hampshire.

Tutti i media ufficiali negli Stati Uniti si astengono dal denunciare o anche solo dal riportare al pubblico le dichiarazioni più estreme di Trump e dei suoi sostenitori. In questo modo, la retorica fascistoide dell’ex presidente viene di fatto normalizzata e legittimata, assieme alle minacce che prospettano la liquidazione anche formale delle garanzie costituzionali. Allo stesso modo, lo sdoganamento tramite il silenzio delle “provocazioni” di Trump contro i suoi rivali rischia di alimentare la violenza politica tra i settori più disorientati della popolazione.

Che l’autoritarismo sia un programma ben preciso perseguito da almeno una parte del Partito Repubblicano è testimoniato da un documento redatto dal think tank ultra-conservatore Heritage Foundation col nome di “Progetto 2025”. Quasi come una piattaforma per la campagna elettorale di Trump, questa agenda elenca una serie di iniziative che potrebbero accelerare l’involuzione anti-democratica in atto ormai da tempo negli Stati Uniti.

“Progetto 2025” è stato oggetto di un’approfondita analisi da parte di un gruppo di studio  americano (GPAHE) che lo ha definito un “manuale dell’autoritarismo americano di estrema destra”. Il progetto intende promuovere il ruolo della religione cristiana nella società americana, ridurre il ruolo dello stato nell’economia, smantellare l’educazione pubblica e implementare politiche rigidissime in materia di immigrazione. Il tutto con un’impronta marcatamente nazionalista, da ricondurre allo slogan “MAGA” (“Make America Great Again”) dei seguaci di Trump.

Sul piano politico è previsto inoltre un accentramento dei poteri nelle mani dell’esecutivo, mentre parte integrante del progetto è la criminalizzazione di fatto delle opinioni progressiste, dipinte essenzialmente come “anti-americane” e, quindi, coloro che le sostengono bollati come veri e propri nemici e traditori della patria.

Su quest’ultimo punto ha pubblicato un’inquietante rivelazione questa settimana la testata on-line Axios, secondo la quale l’entourage di Trump starebbe preparando una mega epurazione dagli organi di governo dei funzionari ritenuti ostili al possibile futuro presidente repubblicano. Al loro posto verrebbero installati decine di migliaia di fedelissimi di Trump, in modo da garantire l’implementazione capillare delle politiche dettate dalla Casa Bianca.

Le mire autoritarie trumpiane sono apparse chiare fin dalle prime fasi della sua presidenza, per poi esplodere dopo le elezioni del novembre 2020 con il mito del “voto rubato” e l’assalto all’edificio del Congresso nel gennaio successivo per fermare la certificazione della vittoria di Joe Biden. L’indagine del Congresso su questi fatti non ha portato a nessuna conseguenza per Trump e la sua cerchia, i quali sono però ancora coinvolti in un procedimento giudiziario dall’esito incerto.

Politicamente, Biden e il Partito Democratico sono stati a dir poco cauti nel denunciare la deriva anti-democratica promossa da Trump e dall’ala destra del suo partito. Le ragioni sono da ricercare nella necessità da parte della Casa Bianca di tenere unita la classe politica americana, così come i suoi referenti nella società, in un momento storico di profonda crisi per l’imperialismo americano. In altri termini, Biden ha preferito chiudere un occhio davanti alla minaccia dell’autoritarismo trumpiano per non destabilizzare uno dei due principali pilastri del sistema di potere USA, cioè il Partito Republicano, in modo da impedire la nascita di un movimento politico alternativo e realmente anti-sistema.

Le stesse tendenze anti-democratiche dell’amministrazione Biden, sia sul fronte domestico sia su quello internazionale, hanno in ogni caso favorito il ritorno sulla scena politica da protagonista di Trump. Come nel 2020, quest’ultimo sembra capace di capitalizzare le frustrazioni nei confronti del Partito Democratico e delle politiche anti-sociali che promuove per proporre un’immagine di “outsider” che si fa interprete degli americani senza voce.

Repubblicani e democratici sono in fin dei conti due facce della stessa medaglia e, come dimostrano questi ultimi tre anni alla Casa Bianca di Biden, i democratici non rappresentano l’opzione migliore né il male minore. Ciò che cambia sono i metodi da attuare per salvaguardare un sistema bloccato e, comunque, ben avviato sulla strada dell’autoritarismo. Basti pensare alla storica mozione di censura approvata pochi giorni fa dalla Camera dei Rappresentanti di Washington contro la deputata democratica di origine palestinese, Rashida Tlaib.

La sua colpa è stata la denuncia del genocidio israeliano in corso a Gaza con la piena responsabilità del governo degli Stati Uniti. La criminalizzazione di fatto di un’opinione espressa da un politico eletto, che ha peraltro affermato una verità oggettiva, è stata votata anche da 22 deputati democratici e apre potenzialmente un altro capitolo cupissimo per la declinante “democrazia” americana.