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di Giuseppe Zaccagni

L’armata russa - il cui drappello d’onore sfila di solito con la sua bandiera rossa che porta bene in evidenza la falce e il martello - questa volta rinuncia alla tradizione e si maschera. Tutto avviene nella cornice del cimitero monumentale della capitale - quello del “Donskoj monastir” - dove i cadetti del Cremlino vengono messi a disposizione di un gruppo di monarchici, zaristi, reazionari di ogni risma e nazionalisti che si accalcano tra le tombe per dare un nuovo saluto ad una delle figure di maggiore spicco dell’epoca zarista, il generale bianco Vladimir Oskarovic Kappel (1883-1920) il cui feretro è stato portato a Mosca dopo essere stato ritrovato in un cimitero della lontana Charbin, nella Maciuria cinese (che fu negli anni della guerra civile il centro direzionale dei gruppi fascisti di ispirazione nazional-imperiale). La sua tomba, ora, è accanto a quelle del generale bianco Anton Ivanovic Denikin (1872- 1947) e del filosofo Ivan Ilin. Per i “bianchi” della Russia oggi è, quindi, un giorno da ricordare perchè segna il valore di un passato che non passa. E così a mostrare in pubblico le loro lacrime arrivano anche alcuni politici di rilievo, preoccupati di mettersi in mostra in vista della prossima competizione elettorale e raccogliere, di conseguenza, voti a destra.

Seguono l’esempio di Putin e del primo ministro Fradkov che nella notte di Capodanno sono andati a pregare in chiesa (candelina in mano). Ed eccoli qui, tra le tombe del “Donskoj”, il nazionalista Vladimir Zirinovskij, il vice premier Aleksandr Torsin (fu un alto funzionario del Comitato Centrale del Pcus) e il deputato Sergej Baburin che, nell’orgia della distruzione dell’Urss, molti si affrettarono a definire “un nuovo Lenin”...

Manifestazione “bianca”, quindi. Con i labari zaristi che sventolano tra le tombe e con esponenti della vecchia e nuova monarchia che hanno tirato fuori le divise delle armate bianche di Denikin e di Kolciak. Tutto con la benedizione della Chiesa ortodossa russa che si ricorda così di aver servito lo Zar sempre ed ovunque. E a celebrare l’ufficio funebre arriva l’arcivescovo del Patriarcato di Mosca, Mark Egorievskij. Che oltre a spargere l’incenso e a pronunciare le preghiere di rito, si rivolge ai presenti per dire che “molti nel nostro paese attendevano questo giorno”. Data, quindi, particolare che fa “giustizia” di quelle accuse rivolte a Kappel di essere stato “un nemico del popolo”, “un nemico della Russia”. Ora la storia - dice l’arcivescovo - rimette tutto al suo posto: “Perchè noi - rappresentanti della Chiesa, dell’esercito e del potere governativo - siamo qui a rendere onore a questo generale”.

Piena riabilitazione quindi, nella Russia di Putin, di un personaggio che alla testa dei suoi “ragazzi” lottò contro i “rossi” e che fu uno dei massimi responsabili delle attività controrivoluzionarie durante la guerra civile, negli Urali e in Siberia. Fu appunto Kappel che nel 1918 si trovò alla testa delle armate del Komuc (l’organizzazione controrivoluzionaria delle guardie bianche) e che nel 1919 guidò quelle di Kolciak, nel fronte occidentale. Morì nei pressi di Irkutsk nel momento in cui i “bianchi” indietreggiavano sbaragliati dall’Armata Rossa.

La destra riapre ora queste pagine con un processo che tende a riabilitare i “ragazzi di Kappel”. Si torna così a parlare dell’ammiragio Kolciak che durante la Rivoluzione d’Ottobre organizzò un'armata «bianca» in Siberia ed entrò a far parte del governo antibolscevico di Omsk. E fu lui che nel 1918, con un colpo di mano, si fece nominare capo supremo della Russia ed ottenne il riconoscimento delle maggiori potenze occidentali. Dopo qualche successo iniziale, tuttavia, le sue forze si disintegrarono e il suo governo, nel 1919, dovette riparare da Omsk ad Irkutsk, dove trasmise il potere al generale Denikin. Consegnato poi dalla Legione cecoslovacca ad un'amministrazione socialista, cadde infine nelle mani dei bolscevichi. E fu fucilato.

Le pagine che si rileggono ora, sull’onda lunga della riabilitazione di Kappel, riguardano anche quel Denikin, generale dell’esercito imperiale, che fu capo di Stato maggiore nel 1917 (all'indomani della rivoluzione di febbraio) e che fu poi imprigionato dal governo provvisorio per il fallito putsch di Kornilov. Evaso, Denikin, comandò l'armata bianca che occupò nel 1918-19 il Caucaso e l'intera Ucraina e che si macchiò di crimini. Ma quando le forze bolsceviche di Budionni (quelle della leggendaria armata a cavallo) presero il sopravvento, fuggì in Crimea, quindi in Francia e nel 1945 emigrò negli Stati Uniti.

I ricordi di quei tempi tornano ora ad agitare gli animi del drappello monarchico che tenta, nella Russia di oggi, di riportare in vita gli ideali dello zarismo. Ma c’è anche chi ricorda altre vicende. Quelle ad esempio, narrate da uno dei più significativi e affascinanti scrittori dell’epoca sovietica. E precisamente quel Dmitrij Andreevic Furmanov (1891-1926) che attraverso il personaggio di Ciapaev descrisse le tante realtà della Rivoluzione d'Ottobre evidenziando il valore dell’Armata Rossa.

Oggi, invece - e la cerimonia in onore di Kappel nel cimitero Donskoj ne è la spia - si cerca di portare sempre più alla luce la corrente "revisionista" con la scusante di una necessaria riappacificazione. Il che è ben diverso da una linea culturale capace di favorire il confronto, l’apporto di fonti nuove, la rilettura nuova di fonti vecchie. A tutto questo la monarchia russa del giorno d’oggi, santificando un reazionario come Kappel, oppone solo tesi di una rivincita che macina l’ovvio. E cioè l’antibolscevismo e l’odio per quella Rivoluzione d’Ottobre che si continua a definire come “ebraica”. E così dalla manifestazione funebre del monastero “Donskoi” escono ancora una volta gli spettri del più becero nazionalismo antisemita. Importante per i monarchici e i nazionalisti è riabilitare i “ragazzi di Kappel” ...