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di Mariavittoria Orsolato

Dalla seconda metà degli anni zero, i social network e in generale la rete hanno acquisito un peso specifico crescente negli interessi geopolitici internazionali e sono stati spesso decisivi nelle campagne elettorali. Per fare qualche esempio: se nel 2008 i network di Facebook hanno contribuito a fare di Barack Obama il primo presidente di colore nella storia degli Stati Uniti, solo un anno dopo i cinguettii di Twitter portavano a galla i presunti brogli elettorali in Iran, dando contestualmente avvio alla (abortita) rivoluzione verde.

In molti leggono questa “evoluzione tecnologica” come il chiaro indizio che web e politica sono diventati ormai inscindibili nella pratica democratica; eppure, guardando al nostro depresso stivale, scopriamo che, ancora una volta, l'Italia tiene a imporsi come eccezione piuttosto che come regola. La competizione elettorale cha avrà luogo da qui a quaranta giorni è nel suo vivo ed è innegabile che la sua comunicazione più efficace e inclusiva sia ancora costruita e orientata alla televisione, il medium che per quasi il 90% degli italiani rimane un accesso irrinunciabile al mondo dell’informazione.

E' la televisione a dettare l'agenda, a scandire i tempi, a illuminare col suo occhio di bue questo o quel candidato, spostando consensi e alterando equilibri. Certo non lo può fare a suo completo piacimento e per questo, dal 1975, è tenuta a rispettare il principio della par condicio, secondo cui è necessario garantire parità d'accesso a tutti i partiti e/o movimenti politici in periodo di campagna elettorale. Modificata prima nel 1993 e poi nel 2000, la legge sulla par condicio nasce per assicurare la possibilità di fare politica a chi non dispone di ingenti mezzi personali, disciplina la comunicazione politica durante l'intero anno e in tutte le campagne elettorali e referendarie, inibendo la partecipazione di personalità politiche in trasmissioni non afferenti a testate giornalistiche.

Nella prima fase (fino alla presentazione delle candidature) gli spazi sono divisi tra le forze politiche presenti in Parlamento, da quel momento in poi si fa riferimento a coalizioni e liste. Le tribune politiche devono andare in onda tra le 7 e le 9 e tra le 17 e le 19, mentre le conferenze stampa (in diretta in prime time tra le 21 e le 22.30 delle ultime due settimane precedenti al voto) sono riservate ai capi delle coalizioni e ai rappresentanti di lista e vengono moderate da un giornalista Rai (è previsto fino a un massimo di 5 giornalisti ospiti). I sondaggi inoltre non possono essere divulgati nei 15 giorni prima del voto.

L'Authority per le Comunicazioni e la Commissione di Vigilanza Rai vegliano sulla sua applicazione - la prima per le tv e le radio private, la seconda per il servizio pubblico - ed hanno allo stesso tempo la facoltà di emendare il regolamento od ogni tornata elettorale. Così hanno fatto lo scorso dicembre, estendendo i diritti e i doveri della par condicio anche ai soggetti non candidati, come il premier dimissionario Mario Monti.

Un regalo non da poco al professore che, pur non essendo ancora ufficialmente candidato premier, potrà fare comunque campagna elettorale per la sua coalizione centrista. Dicevamo però che le autorità di controllo sono preposte soprattutto ad ammonire e, nella prima settimana di regime, hanno già provveduto a sanzionare praticamente ogni testata televisiva nazionale rea di essersi sbilanciata a favore di uno o più schieramenti.

L'AGCOM ha infatti rilevato in Studio Aperto e Tg4 un'eccessiva presenza del Pdl, nel TgLa7 una sovraesposizione di Mario Monti e Beppe Grillo di fronte a una sottopresenza di Pd e Pdl, in Tgcom24, invece, una sovraesposizione di Monti a scapito del Pd. Non va meglio per la tv di Stato che, salvo il Tg2, è stata anch'essa ammonita affinché equilibrasse le presenze e il minutaggio dedicato alle diverse liste.

Una novità di questa tornata elettorale è stata poi l'estensione esplicita delle cosiddette “quote rosa” al regime di par condicio: secondo la modifica sottoscritta dalla Commissione di Vigilanza Rai lo scorso 3 gennaio, la tv di Stato è obbligata a fornire agli elettori “un'equilibrata rappresentanza di genere tra le presenze”. Se la Commissione presieduta da Sergio Zavoli ha comunque messo l'obbligo nero su bianco, non è così per l'Authority delle Comunicazioni.

Nelle due delibere che riguardano il comportamento radio-televisivo in periodo elettorale, sia per le elezioni nazionali che per quelle regionali, l'ente non nomina esplicitamente la nuova legge sulle quote rosa ma richiama l'equilibrio di genere in tempi di par condicio. Certo è che nelle giornate che vanno dal 7 al 13 gennaio - le uniche sulle quali è al momento possibile raccogliere dati - giornalisti e intervistatori della televisione pubblica hanno dato la parola a 278 politici uomini e soltanto a 12 donne: uno sparuto 4,3%. Non proprio una par conditio..