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La vittoria di Nichi Vendola su Francesco Boccia alle primarie del PD per la scelta del candidato alle prossime regionali in Puglia è risultata schiacciante. Oltre il 73 per cento dei voti hanno confermato l'intenzione dell'elettorato del PD di sostenere la ricandidatura del governatore uscente in Puglia. La vittoria di Vendola, nelle sue proporzioni, contiene non solo un'affermazione numerica netta, ma anche - forse motivo di tale straordinario risultato - un'indicazione politica, di contenuto e di metodo, netta quanto e più dei numeri che l'hanno certificata.

 

La sconfitta pugliese, infatti, rappresenta molto di più che la disfatta di un eterno secondo come Boccia e del delirio di onnipotenza dell'autocelebratasi "volpe del Tavoliere". E' invece la sconfitta di un disegno politico in un partito in perenne attesa di un'identità politica, che trasforma la tattica in strategia e si fonda sulle operazioni di Palazzo invece che sul bisogno di rappresentanza dell'elettorato.

Il tentativo di disarcionare Vendola è stata una mossa a tavolino decisa da Massimo D'Alema e Pierfurby Casini. Mossa locale, certo, ma destinata ad una operazione politica su scala nazionale, che vede nelle prossime elezioni regionali le prove generali di un'alleanza destinata - per chi ci crede - a rompere lo schieramento di centrodestra e, in particolare, a ridurre sensibilmente il sostegno delle gerarchie cattoliche al governo. In sostanza, D'Alema ritiene che i rapporti di forza nel Paese e nelle istituzioni non consentano margini di manovra per l'opposizione e, comunque, non permettano nel breve e medio termine un ribaltamento tale da far intravvedere una possibile alternativa al Cavaliere.

In questo senso, sempre nella logica del divide et impera, D'Alema considera la divisione dell'elettorato moderato come l'unica possibilità di rimettere in movimento dei numeri che appaiono inclementi per l'opposizione di centrosinistra. Ma è un ragionamento macchinoso più che machiavellico, astratto e niente affatto promettente. Una versione politica del principio dei vasi comunicanti, grazie al quale la sinistra mette i voti e il centro prende i posti. Dal canto suo, Pierfurby Casini riacquista un ruolo politico centrale e - cosa che certo l'Udc non disprezza - una rendita di posizione e di poltrone che altrimenti non potrebbe nemmeno sognare. E del resto: qualcuno ha notizia di una regione dove un candidato Udc pur potendo risultare determinante si faccia da parte per uno del PD in nome di questo "progetto"?

E che il potere per il potere siano l'alfa e l'omega dell'Udc, lo prova il suo ingaggio nelle regionali, con le sue alleanze a geometrie variabili. L'Udc sceglie destra o centrosinistra non in base ad una scelta di campo, fatta di valori, progetti e proposte: sceglie invece chi offre garanzie e poltrone. Con curiale indifferenza, salta da un'opposto all'altro, avendo nelle politiche di compressione dei diritti civili l'unica identità politica chiara e nelle gerarchie vaticane l'unico punto di riferimento certo.

Lo sfondo ideologico su cui l'alleanza delle due vecchie volpi poggia é quello della messa in crisi del bipolarismo e del recupero della capacità di manovra politica dei partiti. Di per sé, non sarebbe niente d'illecito, anzi; peccato però che la crisi politica e sociale italiana ha ben altre priorità che i giochi di società del Palazzo ed il bisogno di rappresentanza politica dell'opposizione antiberlusconiana (nel senso dell'antiberlusconismo, non solo della figura di Berlusconi) avrebbe ben altre ambizioni e speranze che l'abbraccio con il partito di Totò Cuffaro.

Se la divisione del fronte moderato è parte certamente importante negli orientamenti elettorali, essa non è però in grado di supplire all'emorragia di voti che, da sinistra, abbandonano un PD che si delinea sempre più come una nebulosa impotente dello scenario politico italiano, sempre meno all'altezza di svolgere un ruolo di proposta politica, condizione unica per lavorare a quel cambiamento di rapporti di forza di cui sopra. L'interlocuzione con il mondo cattolico è cosa importante, ma assai diversa dalla genuflessione verso le gerarchie ecclesiali. Almeno quanto il cosiddetto "professionismo della politica" dovrebbe essere cosa assai diversa dall'idea della politica fatta con gli origami, piena di tattiche fini a se stesse e priva di passioni ideali e progetti politici. Se ne facciano una ragione D'Alema e il gruppo dirigente del PD: gli elettori del centrosinistra non si sentono più in dovere di obbedire ai fini e perdenti disegni dei vertici del partito. C'è una scollatura ormai evidente tra la domanda di rappresentanza politica dell'elettorato del centrosinistra e l'offerta del PD. Che si fa? Cambiamo gli elettori o cambia il PD?