Hanno potuto seguire ventiquattr'ore su ventiquattro i militari americani in
Iraq, registrandone esaltazioni e timori, e soprattutto la sensazione - sempre
più forte col passare del tempo - di star combattendo una guerra dai
presupposti ambigui. Garrett Scott e Ian Olds si sono installati con le loro telecamere nella base
dell'82° Divisione aviotrasportata, di stanza a Falluja durante l'inverno
2003, prima che la città irachena venisse praticamente rasa al suolo
dalle truppe americane. Il documentario che hanno realizzato, in apparenza descrittivo,
quasi innocuo, mostra i giovani militari americani alle prese con la quotidianità
di una missione di guerra e mentre cercano di stabilire contatti amichevoli
con la popolazione. Ma soprattutto li fa parlare, fa emergere i loro umori,
le impressioni, le frustrazioni di un compito sempre meno chiaro, frutto dell'impossibile
conciliazione fra il ruolo di occupanti e quello di portatori di pace e benessere.
Da principio i soldati hanno una propensione dialogica nei confronti degli abitanti
di Falluja - a loro volta in bilico tra speranza e rifiuto - cercano di ascoltare
le loro richieste, di immedesimarsi nello stato d'animo di un popolo che vede
le strade delle proprie città invase da uomini armati. Ma appare subito
chiaro che questi ragazzini mandati allo sbaraglio non hanno gli strumenti per
affrontare una situazione così complessa e delicata. E quando si rivolgono
ai superiori, sono gli stessi capi a non essere in grado di dare risposte, di
fornire modelli di comportamento adeguati.
L'incomprensione tra forze occupanti e abitanti della città continua
a crescere, di pari passo con le azioni terroristiche che colpiscono in modo
pesante l'esercito americano.
Il documentario di Scott e Olds, più che per le scene di guerriglia
e per le immagini dei rastrellamenti nelle case irachene, fatti quasi a caso,
è impressionante quando registra le dichiarazioni e i racconti dei giovani
militari. Sono una minoranza quelli arruolatisi per convinzione, per la maggior
parte si è trattato di una pura casualità o del vago bisogno di
trovare alternative di vita. Molti sono pentiti e non vedono l'ora di lasciare,
non per niente i responsabili del reclutamento organizzano di continuo corsi
per convincere gli indecisi a rimanere nell'esercito.
Joseph Wood è uno dei militari che compare in Occupation: Dreamland,
si è arruolato a diciotto anni e dopo quattro anni trascorsi nell' Us
Army, di cui sette mesi a Fallaja, ha abbandonato la divisa e ora fa parte dell'"Iraqi
veterans against the war". Nel film, tra gli intervistati, Wood non è
l'unico a chiedersi le vere ragioni di quella guerra e a rintracciare, alla
base di tutto, gli interessi economici degli uomini di Bush.
In mezzo alla grande inesperienza delle reclute e al pressapochismo dei superiori,
c'è quindi una consapevolezza che cresce, a dimostrazione di come l'avventura
irachena sia ormai sfuggita di mano a tutti.
Occupation: Dreamland si ferma prima che l'occupazione di Falluja sfoci in una
guerra totale, ma i presagi di ciò che avverrà si percepiscono
bene nel documentario dei due coraggiosi registi americani.
La sensazione di essere in trappola, prigionieri di sospetti e incomprensioni
reciproche si respira in ogni scena e non c'è buona volontà singola
che possa impedire che si vada verso la catastrofe.
Occupation: Dreamland è stato ospitato e premiato in diversi Festival,
ultimo riconoscimento il "Truer than fiction" alla cerimonia degli
Indipendent spirits award 2006. Purtroppo Garrett Scott, considerato uno dei
giovani cineasti più promettenti, non ha potuto essere presente: è
scomparso prematuramente il 2 marzo scorso.
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OCCUPATION: DREAMLAND (2005, Usa) In sala da venerdì 19 maggio |