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di Roberta Folatti

Una bella congrega di matti

E' sottile il confine tra la rappresentazione realistica e la caduta nel macchiettistico quando si entra in un campo delicato come il disagio mentale. E lo è ancora di più se si decide di virare verso la commedia, se si vuole affrontare un argomento così scabroso mantenendo il sorriso. Giulio Manfredonia ha fatto un piccolo miracolo col suo ultimo film Si può fare. E' riuscito far ridere, a sdrammatizzare pur attenendosi a un copione per molti versi drammatico. Alla fine prevale lo sguardo positivo e la parabola del gruppo di "matti" che vogliono entrare nel mercato, facendo un lavoro vero anziché essere trattati come soggetti improduttivi, diventa quasi una favola. Con un lieto fine che si impone su tutte le difficoltà e i pregiudizi che circondano i simpatici protagonisti.

La storia è ambientata ni primi anni '80 quando la legge Basaglia cominciò a svuotare i manicomi lasciando molti malati abbandonati a se stessi. Quelli di cui parla il film fanno parte di una cooperativa a cui il Comune destina lavoretti senza importanza come incollare francobolli alle buste. Sono considerati improduttivi e inadatti a lavori più complessi e ciò che gli viene chiesto di fare è un palliativo per tenerli buoni. La svolta coincide con l'arrivo di Nello, incaricato di dirigere la cooperativa e intenzionato a rivoluzionare i costumi e la mentalità del gruppo di “soci”. Sin dal principio li responsabilizza, li coinvolge nelle decisioni e soprattutto li convince che anche loro sono in grado di fare qualcosa di utile ( e di redditizio!).

L’idea di far lavorare e di far guadagnare dei malati di mente viene presa con ostilità dal mondo medico, dalle istituzioni, dagli stessi parenti delle persone coinvolte. Ma Nello, grazie al suo ottimismo e alla strenua convinzione di essere nel giusto, che non gli deriva da nozioni psichiatriche, semmai da uno spiccato senso civico, supera tutti gli ostacoli che si frappongono ai suoi obiettivi, compresa la diffidenza iniziale dei “soci” della cooperativa, abituati a percepirsi in modo completamente passivo. In breve tempo i malati mettono in piedi una società di posa parquet, apprezzata anche negli ambienti vip, di ciascuno viene valorizzato un particolare talento, normalmente considerato un handicap o perlomeno una curiosa mania. Nello, interpretato dal bravo Claudio Bisio, va avanti come un treno, trovando soluzioni creative ai problemi più insormontabili, l’unica cosa di cui si dimentica di tener conto è l’estrema fragilità delle persone con disagio mentale.

A contatto coi “normali” e con le regole spietate della società dell’apparenza, uno di loro non regge, si comporta troppo ingenuamente, incapace di barricarsi dietro la corazza dell’ipocrisia: questo fatto drammatico dà una scossa violenta a tutta la meravigliosa costruzione. Il castello di carte rischia di crollare e a questo punto qualcuno si dimostrerà migliore di come era apparso fino a quel momento. A tratti “Si può fare” può sembrare un’utopia più che una storia plausibile, vederlo comunque scalda il cuore e fa riflettere. Senza un attimo di pesantezza. Gli attori che interpretano i “matti” prima di girare hanno fatto un ammirevole lavoro di immedesimazione, guidati dal regista che parla di questo film come di un . Bisio è capace di passare dalla leggerezza di Zelig all’impegno di un film così e la cosa gli fa onore. Il cinema italiano, da un po’ di tempo a questa parte, ci riserva delle belle sorprese…

Si può fare (Italia, 2008)
Regia: Giulio Manfredonia
Sceneggiatura: Giulio Manfredonia, Fabio Bonifacci
Cast: Claudio Bisio, Anita Caprioli, Giovanni Calcagno, Michele De Virgilio, Andrea Gattinoni, Giuseppe Battiston
Distribuzione: Warner Bros