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di Fabrizio Casari

Cesare Prandelli ha messo il primo mattoncino su casa azzurri. Non sarà granito, ma per ora è sufficiente ad impedire un’altro cedimento strutturale. Una casa che dev’essere ricostruita dalle fondamenta, giacchè il disastro Lippi ha minato proprio dalle fondamenta credibilità, forza e persino la sorte che agli azzurri erano sempre risultate dote naturali; prova ne sia che gli azzurri non vincevano dal Novembre del 2009. Ci vorranno ora almeno cinque o sei partite prima che la nuova Italia trovi lo spartito giusto per suonare un’altra musica, ma l’importante, per ora, era non stonare e, comunque, specie a centrocampo, si sono visti sprazzi di gioco che fanno ben sperare. Prandelli deve avere il tempo e la serenità necessaria a lavorare, ma cominciare a fare punti quando i punti servono è comunque un buon inizio.

Intendiamoci, non è stata una passeggiata. Il carattere degli azzurri non é mancato, ma abbiamo rischiato seriamente di prenderle, perché la partita si era messa male quando, alla mezz'ora del primo tempo, l’Estonia aveva trovato un gol grazie ad un tiro (non irresistibile) di Vassiljev da 35 metri che Sirigu non ha trattenuto; sulla respinta, tapin vincente di Zenjov  e odore di guai che si diffonde nelle case degli italiani molto più che la Scavolini.

Vuoi l’incertezza di Sirigu (decisamente meglio puntare su Viviano, superiore anche a Marchetti), vuoi il fatto che gli Estoni hanno piedi marmorei ma polmoni d’acciaio, schemi banali, ma un’aggressività fisica ed una corsa che noi non conosciamo, i dilettanti di Tallin a momenti ce le suonano. Complice una difesa da registrare, infilata più di una volta in velocità e vittima di scarsa intesa tra i suoi componenti, l’Estonia ha avuto anche altre occasioni per incrementare il bottino.

Fortunatamente, il calcio si gioca anche con la tecnica e, se i piedi buoni sono italiani, non può che essere parziale il risultato che ci vedeva sotto di un gol alla fine del primo tempo. Nella ripresa, infatti, a ribaltare il risultato intervengono due invenzioni di chi la tecnica ce l’ha nelle dita dei piedi: Antonio Cassano. Fino a quel momento richiamato spesso da Prandelli causa scarso impegno nella copertura della sua zona, Fantantonio realizza il pareggio su calcio d’angolo battuto da Pirlo. Mentre la difesa estone si preoccupa di Chiellini e Pazzini, sbuca solo soletto il folletto barese che (udite, udite) insacca di testa.

L’Italia spingeva già dal rientro dagli spogliatoi, ma con scarsa qualità. Nel primo tempo le idee erano poche e confuse in mezzo al campo, poca la corsa utile sulle fasce e Pazzini decisamente contenuto dai centrali estoni. Ma, appunto, Fantantonio c’è: su un altro angolo, tirato basso e sul primo palo, il campione barese sfodera un colpo di tacco che elude le marcature e consegna il pallone a Bonucci che, davanti alla porta, non si fa sfuggire l’occasione.

Recuperare qualità, produrre gioco, cercare l’assetto giusto. Sono i pezzi che compongono il puzzle della nuova squadra di Prandelli. Aspettando di comprendere meglio la presunta utilità di Pepe o Molinaro (Balotelli è altro pianeta e Antonelli appare decisamente più indicato di Molinaro) In attesa di Balo e del miglior Pazzini, è comunque una squadra che ha capito quello che c’era da capire: Cassano è l’imprevedibilità, la genialità del tocco, la giocata che fa la differenza.

Va quindi incrementato e sostenuto il suo muoversi tra le linee con una squadra che sappia sostenere le invenzioni e accompagnarne le finalizzazioni. I muscoli servono nei contrasti: quando il pallone corre a terra serve invece chi lo sa calciare per poter fare la differenza. Vince chi schiera campioni che quando serve corrono, non campioni della corsa senza piedi nobili. Ad ogni modo, l’Italia di Lippi pare già un brutto ricordo. Il fatto poi che una vittoria che dovrebbe essere scontata ci appare come una buona notizia, è solo il segno dei tempi che ci tocca di vivere sul pianeta Eupalla.