Con il clamoroso fallimento delle macchinazioni di Emmanuel Macron, il quadro politico francese è in totale fermento nell’attesa dei prossimi passi dell’Eliseo per trovare una soluzione alla caduta, nella serata di mercoledì, del governo di minoranza di Michel Barnier. Il voto di sfiducia approvato per la prima volta dal 1962 dall’Assemblea Nazionale ha fatto esplodere le contraddizioni delle scelte anti-democratiche del presidente dopo le elezioni della scorsa estate, restringendo drasticamente gli spazi di manovra di quest’ultimo in un clima di crescenti pressioni per implementare misure di austerity in tempi molto brevi.

L’esito della mozione era quasi scontato dopo gli eventi dei giorni precedenti che avevano precipitato lo scontro tra il governo di minoranza e l’ex Fronte Nazionale, ora “Rassemblement National” (RN), di Marine Le Pen. Barnier aveva messo assieme un bilancio relativo al sistema della sicurezza sociale francese fatto di 40 miliardi di euro di tagli alla spesa e di altri 20 miliardi di nuove tasse per ridurre un deficit ormai superiore al 6% del PIL transalpino. La leader del partito di estrema destra aveva chiesto una serie di modifiche al testo, convincendo il premier a cancellare alcune tra le misure più impopolari, come l’aumento del carico fiscale sulle forniture di energia elettrica e il taglio ai rimborsi per alcune categorie di farmaci.

La Le Pen chiedeva però anche altre concessioni, ma Barnier si è dimostrato irremovibile. A quel punto, in accordo con Macron, il governo ha deciso di ricorrere all’antidemocratico articolo 49-3 della Costituzione francese per ottenere l’approvazione del bilancio, ovvero senza un voto dell’Assemblea Nazionale. In questo caso, però, i deputati hanno facoltà di presentare una mozione di sfiducia che, se approvata, obbliga il governo alle dimissioni con effetto immediato. Quando il RN ha annunciato che non avrebbe ceduto e ha quindi escluso il voto favorevole al bilancio 2025, il destino del gabinetto Barnier è apparso segnato. Alla fine, la Le Pen ha fatto sapere che il suo partito avrebbe sottoposto una propria mozione di sfiducia, ma che comunque avrebbe votato anche quella del gruppo parlamentare del Nuovo Fronte Popolare (NFP) di centro-sinistra, come è appunto avvenuto mercoledì.

331 su 577 membri dell’Assemblea Nazionale hanno approvato la mozione di sfiducia contro Barnier al termine di un accesissimo dibattito in aula. Il primo ministro appena deposto era stato nominato appena tre mesi fa da Macron con una decisione profondamente antidemocratica. In precedenza, il presidente aveva sciolto il parlamento nel tentativo di consolidare la sua posizione dopo mesi di scontri politici e tensioni sociali. I risultati avevano però disegnato un’Assemblea di fatto ingovernabile, senza nessun blocco o partito con la maggioranza assoluta né ipotesi di coalizioni di governo percorribili.

Nonostante molti candidati del NFP si fossero fatti da parte al secondo turno delle elezioni per favorire quelli del partito di Macron ed evitare il successo del RN, il presidente si era rifiutato di assegnare l’incarico di primo ministro a un esponente dell’alleanza di centro sinistra, uscita dal voto con la maggioranza relativa dei seggi. Macron aveva optato invece per il veterano ultra-conservatore Barnier, ex responsabile UE per le trattative sulla Brexit, appartenente al partito gollista “Les Républicains”. Il suo era nato come governo di minoranza destinato a restare in vita grazie al tacito appoggio dell’estrema destra di Marine Le Pen.

La caduta di Barnier fa comunque ben poco per sciogliere il nodo governabilità in Francia e mandare in porto un bilancio che l’Europa e i “mercati” ritengono debba essere il più rigoroso possibile per mettere un freno a un bilancio pubblico in pesante passivo. Macron non può inoltre indire altre elezioni anticipate perché la Costituzione francese impedisce lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale meno di dodici mesi prima dell’ultima consultazione. Resta l’opzione delle possibili dimissioni di Macron, che i leader del NFP chiedono a gran voce e la stessa Le Pen e il suo entourage hanno ipotizzato dopo la sfiducia di mercoledì.

I ripetuti fallimenti di Macron stanno probabilmente alimentando discussioni negli ambienti finanziari e di potere francese e non solo sull’opportunità di spingere il presidente a lasciare anticipatamente l’Eliseo. L’intervento pubblico di Macron previsto nella serata di giovedì darà qualche indicazione sulle sue intenzioni. È possibile che ci sia un nuovo tentativo di lanciare un altro governo che provi a fare approvare il bilancio del prossimo anno. Qualche commentatore ipotizza la possibilità di un governo tecnico, altri invece vedono spiragli per un accordo tra il partito di Macron e il Partito Socialista (PS), parte del NFP ma su posizioni decisamente più moderate rispetto a “La France Insoumise” (LFI) di Jean-Luc Mélenchon.

Le probabilità che le trattative saranno difficoltose e prolungate sono comunque altissime, così da intensificare le pressioni dei mercati finanziari che già hanno fatto salire gli interessi sul debito francese oltre i livelli greci. Se NFP e RN hanno affondato il governo Barnier insistendo sulla natura anti-sociale e classista del nuovo bilancio, le manovre dell’Eliseo e degli ambienti di potere transalpini puntano a stabilizzare il sistema non attraverso misure progressiste e redistributive, ma raddoppiando gli sforzi per implementare un rigidissimo regime di austerity. Tagli alla spesa sociale e aumento delle spese militari sono gli obiettivi principali di Macron, senza alcun riguardo per l’opposizione crescente tra i francesi o gli impedimenti politici e costituzionali che limitano il potere di un governo e un presidente che rappresentano ormai una netta minoranza nel paese.

Al di là dei complicatissimi equilibri parlamentari, i tempi tecnici per approvare un bilancio entro la fine dell’anno sono molto stretti. L’alternativa, se il governo Barnier dovesse restare al proprio posto ad interim per settimane o mesi, è l’estensione del bilancio del 2024 al prossimo anno, ma l’esecutivo uscente ha già avvertito che in questo modo il rapporto tra deficit e PIL è destinato a salire ulteriormente. Vista la deriva autoritaria che ha segnato questi anni di presidenza Macron, così come il processo di degrado che interessa in genere le “democrazie” occidentali, non è del tutto da escludere che l’inquilino dell’Eliseo possa anche ricorrere all’articolo 16 della Costituzione, altro dispositivo anti-democratico che assegna poteri straordinari al presidente, sia pure in presenza di gravissime minacce che evidentemente non sussistono nella realtà attuale.

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