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Tra voci di una possibile imminente tregua e l’intensificazione dell’offensiva militare israeliana nel nord della striscia di Gaza, sono emersi in questi giorni nuovi raccapriccianti dettagli sulle operazioni del regime di Netanyahu per “ripulire” questo territorio dalla popolazione palestinese con la complicità degli Stati Uniti e degli altri governi occidentali. Il tutto mentre Trump insiste nel fare pressioni sul sistema giudiziario israeliano per lasciar cadere le accuse di corruzione e altri reati simili nei confronti del premier/criminale di guerra, collegando assurdamente il processo ai danni di quest’ultimo agli aiuti militari garantiti da Washington a Tel Aviv.

La misura della strage

Un team di accademici di una università di Londra ha pubblicato nei giorni scorsi uno degli studi più esaustivi sul bilancio reale dei morti causati finora dalla barbarie sionista a Gaza. Altre indagini nei mesi scorsi avevano peraltro già concluso che il numero offerto dalle autorità della striscia era fortemente sottostimato. Ad oggi, il dato ufficiale supera le 55 mila vittime, gran parte delle quali civili e, di questi, un numero spropositato è costituito da donne e bambini.

Secondo lo studio, ci sarebbe una sottovalutazione delle vittime di almeno il 40% e, oltre a coloro che sono morti direttamente a causa degli attacchi delle forze di occupazione israeliane, vanno tenuti in considerazione i decessi dovuti al tracollo del sistema assistenziale e della rete social-famigliare, avvenuto soprattutto dopo i primi mesi dell’offensiva israeliana seguita ai fatti del 7 ottobre 2023. Grazie a fattori come la presenza dell’agenzia per i rifugiati palestinesi dell’ONU (UNRWA) e di altre ONG, un sistema sanitario relativamente efficiente e una rete comunitaria e famigliare capillare, l’impatto di fame, malattie e privazioni era stato in qualche modo attenuato nelle prime fasi del genocidio.

In seguito, tuttavia, il livello di distruzione provocato dalle operazioni militari indiscriminate e lo sradicamento di fatto di praticamente tutta la popolazione di Gaza hanno spazzato via ogni forma di difesa, facendo aumentare drammaticamente il numero delle vittime. A peggiorare le cose è stato il blocco totale degli aiuti in ingresso nella striscia imposto dalle forze sioniste dal 4 marzo scorso fino – teoricamente – al 19 maggio. Dopo quest’ultima data, Israele e Stati Uniti hanno messo in piedi un’organizzazione fintamente umanitaria incaricata di distribuire aiuti comunque di gran lunga insufficienti, per sfruttarla allo scopo di assassinare senza troppe complicazioni un numero ancora più elevato di civili palestinesi.

In definitiva, fino allo scorso gennaio, i calcoli dello studio citato davano un totale di quasi 84 mila morti che, se si considerano i mesi trascorsi da allora, ammontano quasi certamente ad oggi a un numero superiore a 100 mila. Il dato rende l’aggressione israeliana di Gaza uno dei conflitti più sanguinosi del 21esimo secolo. Gli autori dell’indagine spiegano che la strage in corso è la peggiore per quanto riguarda il rapporto tra vittime civili e combattenti, così come per la percentuale di morti sulla popolazione totale.

Il 56% dei morti per mano di Israele sono bambini sotto i 18 anni o donne e questa proporzione è pari a oltre il doppio di quella registrata nei peggiori conflitti degli ultimi 25 anni. Nella guerra civile del Kosovo e in Siria la percentuale era ad esempio del 20%, del 21% in Colombia, del 17% in Iraq, del 23% in Sudan e del 9% in Etiopia. Il totale dei morti finora a Gaza è inoltre pari a circa il 4% della popolazione complessiva della striscia, una quota cioè senza precedenti per il secolo che stiamo vivendo. I numeri del ministero della Salute di Gaza sono ridicolizzati dal regime di Netanyahu, nonostante siano essi stessi sottostimati, mentre Tel Aviv ammette di avere ucciso 20 mila “terroristi” affiliati a Hamas. Com’è ovvio, Israele non fornisce alcuna informazione per dimostrare l’identità dei morti.

Lo stesso studio dell’università londinese ha indagato le cifre proposte da Israele, ma i militanti di Hamas liquidati, anche accettando la definizione altamente discutibile di “terroristi”, sembrano essere tutt’al più qualche centinaio. Basandosi su tecniche consolidate per analizzare i teatri di guerra, i ricercatori spiegano che, se il numero di 20 mila morti fosse reale, a esso dovrebbe corrispondere almeno il doppio di feriti, ovvero 40 mila. Il che significa che Hamas dispone o disponeva come minimo di 60 mila uomini, anzi molti di più se si considera che il movimento di liberazione non è stato cancellato dalla striscia. Cifre simili sono universalmente considerate irreali.

I crimini come politica

Qualche giorno fa, il quotidiano “liberal” israeliano Haaretz ha pubblicato una serie di sconvolgenti testimonianze di militari delle forze di occupazione israeliane che ammettono di avere avuto ordine di sparare a vista e senza motivo sui civili palestinesi che ogni giorno si recano nei centri di distribuzione aiuti gestiti dalla cosiddetta “Fondazione Umanitaria per Gaza”. Da quando è stato istituito questo meccanismo i morti ammazzati deliberatamente dai militari sionisti sono stati più di 500 e migliaia sono invece i feriti.

Fin da prima del lancio dell’operazione, l’ONU e le organizzazioni umanitarie che operano tradizionalmente nella striscia avevano avvertito che si trattava di una manovra americana e israeliana che, dietro il paravento degli aiuti, avrebbe peggiorato la situazione. Il modo in cui il piano era stato studiato avrebbe costretto i palestinesi a spostarsi nel sud della striscia, da dove poi sarebbe stato più facile espellerli definitivamente dalla loro terra, mentre un gran numero di essi sarebbe stato ucciso dai militari con la scusa di mantenere l’ordine presso i centri di distribuzione o di impedire i saccheggi.

Queste previsioni si sono pienamente avverate e a confermarlo sono i soldati israeliani che hanno parlato con i giornalisti di Haaretz. Uno di essi definisce le aree dedicate alla distribuzione di cibo e altri beni di prima necessità come “campi di sterminio”. Nella sola postazione dove era stato assegnato, si verificavano fino a cinque assassini al giorno. I palestinesi disperati accorsi per ricevere qualche aiuto vengono trattati come “forze ostili”, contro cui si impiegano tutte le armi da fuoco a disposizione, dalle mitragliatrici pesanti alle granate, fino ai mortai.

In sostanza, come si legge nell’articolo, il fuoco dei militari israeliani serve a far muovere i palestinesi nella direzione desiderata, così da liquidarli in maniera deliberata con la giustificazione del controllo della distribuzione degli aiuti e del contrasto al caos e ai saccheggi. Un altro soldato ha ammesso di non avere mai assistito a episodi nei quali la sua squadra era esposta al fuoco di militanti palestinesi. In altre parole, le stragi quotidiane avvengono nonostante “non ci siano nemici né armi”. Se, poi, qualcuno chiede ai superiori il motivo per cui si spara, non c’è mai una risposta adeguata e la sola domanda “infastidisce i comandanti”.

Medici Senza Frontiere e altre organizzazioni hanno definito il sistema messo in piedi da Washington e Tel Aviv una “parte integrante delle operazioni di pulizia etnica” israeliane. Ciononostante, l’amministrazione Trump ha appena stanziato altri 30 milioni di dollari a favore del progetto, con un portavoce del dipartimento Stato che ha pubblicamente elogiato gli addetti a queste operazioni a Gaza per il lavoro “incredibile” che starebbero facendo.

Se c’era una possibilità che il regime sionista sprofondasse ancora di più nell’abisso di turpitudine morale in cui già affoga, l’occasione per farlo l’hanno colta immediatamente i due principali responsabili delle mostruosità in atto, ovvero Netanyahu e il suo ministro della guerra, Israel Katz. In una dichiarazione che risulterebbe ridicola se non avvenisse in un contesto tragico, i due criminali di guerra hanno bollato l’articolo di Haaretz come una “accusa del sangue”, riferendosi all’accusa antisemita di origine medievale secondo la quale gli ebrei usavano il sangue di bambini cristiani per sacrifici rituali. Un’accusa ampiamente smentita e storicamente usata per giustificare le persecuzioni contro gli ebrei. La ferocia che caratterizza la reazione di Netanyahu e Katz ha provato a spiegarla la giornalista indipendente australiana Caitlin Johnstone, per la quale “la macchina della propaganda di Israele non immaginava che alcuni soldati incaricati di attuare l’olocausto di Gaza potessero avere una coscienza”.

Tregua e illusioni

Negli ultimi giorni si sono moltiplicate le voci di un possibile accordo per un cessate il fuoco a Gaza. Se le dichiarazioni che arrivano da Washington rendono come sempre complicata una lettura della realtà, quello che si intuisce tra le righe sembra essere un tentativo da parte di Trump e Netanyahu di capitalizzare l’esito della guerra con l’Iran, o più precisamente la versione che entrambi ne hanno dato, per forzare una soluzione che favorisca solo lo stato ebraico. La proposta sul tavolo prevedrebbe infatti ancora una volta condizioni inaccettabili da parte di Hamas, come il disarmo del movimento di resistenza palestinese, l’esilio all’estero dei suoi leader e, soprattutto, la mancata assicurazione di una tregua permanente e l’evacuazione delle forze di occupazione sioniste da Gaza.

C’è insomma una certa impazienza a Washington e Tel Aviv per chiudere almeno temporaneamente una crisi che sta pesando sulla residua legittimità del regime di Netanyahu e sulla stessa tenuta economica e sociale dello stato ebraico. Quello che si vuole è però il raggiungimento degli obiettivi del premier e dei suoi alleati ultra-radicali, vale a dire la resa di Hamas e la facoltà di gettare le basi dell’occupazione permanente della striscia, attraverso la “diplomazia”, visto che non è stato possibile finora ottenerli con le armi. USA e Israele continuano d’altra parte a presentare proposte che includono un periodo di calma provvisorio, per facilitare la liberazione dei prigionieri israeliani ancora nelle mani di Hamas e poi consentire la ripresa dell’aggressione e del genocidio.

Questa realtà dimostra che Israele e Stati Uniti non sono interessati a una trattativa seria, malgrado la profonda crisi in cui versa il regime di Netanyahu. Serietà che è peraltro un concetto totalmente sconosciuto alla Casa Bianca, come dimostra la nuova uscita di Trump a proposito dei guai legali di Netanyahu. In un altro post sul suo social Truth, il presidente americano è tornato domenica a chiedere alla magistratura israeliana – un organo a tutti gli effetti indipendente – di lasciar cadere le accuse che pesano su Netanyahu e l’archiviazione del processo in cui è coinvolto. Al culmine dell’incoerenza, Trump ha addirittura minacciato di congelare gli aiuti militari americani a Israele se il primo ministro non verrà immediatamente prosciolto da tutte le accuse a suo carico.