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Dopo il grottesco “decreto Rave” e una legge di bilancio che leva ai poveri e ai pensionati per dare agli evasori, il governo Meloni si produce in un’altra dimostrazione di cialtroneria da record. Chissà come, dalle parti di Palazzo Chigi proprio non si erano immaginati che cancellare dalla sera alla mattina lo sconto sulle accise avrebbe provocato rabbia nell’opinione pubblica e caricato la pistola in mano all’opposizione (escluso il Pd, che intanto litiga con se stesso su temi centrali come il voto nei gazebo).

A impressionare è soprattutto la sprovvedutezza della Premier su un argomento di evidente impatto comunicativo come il prezzo della benzina. Dapprima, per discolparsi, Meloni ha provato a negare l’evidenza, sostenendo che la sterilizzazione dei rincari dei carburanti non fosse nel programma di Fratelli d’Italia (invece c’era eccome, ed era scritto pure in modo chiaro).

Poi ha imboccato la strada del ragionamento sociale, spiegando che il taglio delle accise è un provvedimento a pioggia, di cui beneficiano i ricchi come i poveri, e per questo il governo ha scelto di spostare le risorse su capitoli di spesa che favoriscono solo i redditi bassi, a cominciare dagli aiuti contro il caro bollette. Questo argomento, di per sé, non è del tutto sbagliato.

In termini assoluti, la maggior parte dei soldi stanziati dal governo Draghi per abbassare le accise è stata spesa a favore dei redditi alti, e la ragione è ovvia: chi ha più soldi compra più benzina. In termini relativi, però, il discorso è molto diverso: se infatti si considera il risparmio garantito alla pompa in rapporto al reddito, allora i vantaggi maggiori sono per la fascia più debole della popolazione. 

Sia come sia, quello che più conta in politica è l’impatto emotivo delle misure, e vedere i prezzi salire da un giorno all’altro fa arrabbiare davvero tutti. Di fronte allo tsunami di critiche prevedibile ma non previsto, il governo ha reagito in modo goffo, barcamenandosi per giorni fra retromarce, testi riscritti, due riunioni del Consiglio dei ministri e un tavolo con i sindacati. Alla fine Palazzo Chigi ha partorito un decreto di cinque articoli che scontenta tutti (i gestori dei distributori non hanno revocato lo sciopero programmato per il 25 e il 26 gennaio) e quasi certamente non servirà a nulla.

Il cuore del provvedimento è la semplificazione di un meccanismo che esiste da 15 anni (fu introdotto dal governo Prodi nel 2008) e finora non ha esattamente brillato per efficacia. Si tratta della famosissima “accisa mobile”, un concetto così chiaro e lineare che sembra scritto da Martin Heidegger. In sostanza, quando il prezzo del petrolio sale, il Governo può (non deve) tagliare le accise sui carburanti e sui combustibili da riscaldamento per usi civili, perché lo sconto è compensato dall’aumento del gettito Iva prodotto proprio dal rincaro del greggio. Nel dettaglio, la riduzione delle accise può arrivare “se il prezzo aumenta, sulla media del precedente bimestre, rispetto al valore di riferimento espresso in euro e indicato nell'ultimo Documento di economia e finanza”. La novità rispetto al testo in vigore da 15 anni è che la norma non specifica più alcuna percentuale di aumento oltre la quale intervenire (nella legge del 2008 era fissata al 2%). Tanto per semplificare ulteriormente la faccenda, si tiene anche conto “dell'eventuale diminuzione” dei prezzi “nella media del quadrimestre precedente”. La decisione spetta al ministero dell’Economia di concerto con l'Ambiente.

Il decreto contiene poi la cosiddetta operazione trasparenza. Viene introdotto un “prezzo medio dei carburanti su base regionale” che sarà pubblicato regolarmente sul sito del ministero delle Imprese. I benzinai avranno trenta giorni di tempo per esporre questo prezzo accanto a quello da loro praticato. Se non lo faranno, rischieranno multe fino a seimila euro e, in caso di tre violazioni accertate, addirittura la chiusura dell'impianto da 7 a 90 giorni.

Ammesso che i controlli si facciano e siano efficaci, una misura del genere può disincentivare speculazioni particolarmente aggressive in singoli impianti, non certo aiutare a ridurre i prezzi su tutta la rete. Se infatti i gestori fanno cartello fra loro, i prezzi medi sono alti ed esporli accanto a quelli praticati alla pompa non fa alcuna differenza. Al contrario, rischia di confondere ancora di più gli automobilisti. Già provati dall’esegesi dell’accisa mobile.