Le forze armate yemenite sotto il comando del governo guidato dal movimento sciita Ansarullah (“Houthis”), per la prima volta dall’inizio della guerra, hanno intercettato e posto sotto sequestro una nave-cargo di uno dei regimi responsabili dell’aggressione contro il paese della penisola arabica. L’imbarcazione appartiene agli Emirati Arabi Uniti ed è stata fermata al largo delle coste della provincia occidentale di Hodeidah, controllata appunto dai “ribelli” Houthis. Se questi ultimi durante il conflitto avevano già più volte distrutto con attacchi missilistici navi saudite ed emiratine nelle acque dello Yemen, il sequestro avvenuto lunedì rappresenta un nuovo e ulteriore passo avanti nella lotta contro la “coalizione” sunnita, proprio mentre la guerra sembra essere vicina a un possibile punto di svolta.

 

Secondo fonti di Riyadh, la nave ora nelle mani di Ansarullah trasportava “dispositivi medici” provenienti da un ospedale di campo dismesso e viaggiava dall’isola yemenita di Socotra, nel Mar Rosso, al porto saudita di Jizan, situato appena oltre il confine settentrionale dello Yemen. Questa versione è stata però smentita dai vertici militari yemeniti e di Ansarullah, i quali hanno mostrato immagini del cargo con a bordo mezzi di trasporto militari, armi e munizioni. Un portavoce degli Houthis ha spiegato che l’imbarcazione è stata trasportata nel porto di Salif, a nord della città di Hodeidah, dove si trova sotto custodia anche l’equipaggio, comporto da persone di “diverse nazionalità”.

Per la coalizione sunnita è stata l’Arabia Saudita a parlare pubblicamente del sequestro. Il portavoce delle forze armate impegnate nel conflitto, il generale saudita Turki al-Maliki, ha chiesto l’immediato rilascio dell’equipaggio e della nave stessa, dal momento che a suo dire l’iniziativa dei militari yemeniti sarebbe “un atto criminale di pirateria”. La denuncia saudita è a dir poco singolare, visto che Riyadh e i suoi alleati conducono da oltre sei anni una guerra di aggressione che ha provocato centinaia di migliaia di morti e la crisi umanitaria più grave tra quelle in atto nel pianeta.

Gli Houthis hanno da parte loro rivendicato il diritto all’auto-difesa contro gli aggressori, sostenendo che l’imbarcazione stava compiendo “atti ostili” nelle acque dello Yemen. Le proteste saudite per il sequestro di un carico medico, se pure questa ipotesi dovesse corrispondere al vero, hanno anch’esse poco fondamento, visto che in questi anni il regime wahhabita ha imposto un crudele embargo sugli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile yemenita, inasprendo una crisi sanitaria che ha causato probabilmente più vittime delle stesse operazioni belliche.

Come già anticipato, l’iniziativa di Ansarullah tramite le forze armate yemenite rappresenta un’escalation significativa della resistenza anti-saudita e, per quanto riguarda il conflitto sul fronte marittimo, si aggiunge agli svariati affondamenti di navi di Riyadh e Abu Dhabi registrati tra il 2017 e il 2019. Le forze “ribelli” sciite in Yemen hanno anche colpito più volte obiettivi sensibili in territorio saudita in questi anni, tra cui aeroporti e installazioni petrolifere, nel quadro di una strategia bellica sempre più efficace e in grado di ribaltare gli equilibri di un conflitto che, nelle prime fasi, sembrava doversi risolvere velocemente a favore dei regimi sunniti aggressori.

A determinare l’evoluzione della guerra è stato senza dubbio e almeno in parte anche il crescente appoggio dell’Iran alla causa sciita in Yemen. Ironicamente per l’Arabia Saudita, il conflitto scatenato per prevenire l’allargamento dell’influenza di Teheran sullo Yemen, per mezzo del ristabilimento del governo fantoccio del presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi, rovesciato dagli Houthis nel 2015, ha finito precisamente per favorire gli interessi strategici della Repubblica Islamica in questo paese.

Quella messa in atto lunedì da Ansarullah è comunque una risposta calibrata per contrastare la recente intensificazione da parte saudita dei bombardamenti sul territorio yemenita controllato dai “ribelli” sciiti. Come ha spiegato un articolo pubblicato martedì dalla testata iraniana in lingua inglese Tehran Times, il fatto che l’imbarcazione sequestrata batteva bandiera degli Emirati Arabi porta alla luce anche le dinamiche in corso nelle ultime settimane nel campo sunnita.

In sostanza, si starebbe assistendo a un certo rilancio dell’impegno di Abu Dhabi nel conflitto grazie a una serie di iniziative promosse dai sauditi. I due regimi, pur combattendo in teoria per lo stesso obiettivo, avevano a mano a mano perseguito strade parzialmente differenti in Yemen e la spaccatura più profonda si era manifestata nello scontro tra le forze del deposto presidente Hadi, appoggiate da Riyadh, e i separatisti nel sud del paese, protetti invece dagli Emirati. Queste frizioni e l’andamento sfavorevole del conflitto avevano portato, almeno a livello ufficiale, al relativo abbandono delle ostilità da parte emiratina.

Il già citato articolo del Tehran Times racconta di come, tra l’altro, il regime saudita abbia recentemente ordinato la rimozione del governatore dell’importante provincia di Shabwa, sotto il controllo delle forze fedeli alla coalizione sunnita, perché vicino ai Fratelli Musulmani e quindi sgradito agli Emirati. Al suo posto è stato nominato un esponente di spicco di un clan tribale legato agli stessi Emirati e poco dopo nel governatorato è approdata una milizia appoggiata da Abu Dhabi con il compito di lanciare un’offensiva contro le forze di Ansarullah.

I tentativi di rinvigorire lo sforzo bellico da parte saudita riflettono la situazione disperata per il regime. La guerra è per Riyadh un disastro su tutti i fronti, a cominciare da quello dell’immagine internazionale, e potrebbe anche peggiorare a breve se l’assedio degli Houthis alla città strategica di Marib dovesse risolversi, come appare probabile, in un successo per i “ribelli” sciiti.

Per quanto riguarda gli Emirati, invece, sarà interessante osservare la risposta al sequestro della loro imbarcazione e agli ultimi sviluppi della crisi nella penisola arabica. Il relativo disimpegno dallo Yemen di Abu Dhabi era stato deciso in concomitanza con il ricalibramento delle priorità strategiche del regime, con al centro una serie di manovre diplomatiche per appianare le tensioni con i propri rivali regionali (Siria, Iran). Allo stesso tempo, la visione regionale degli Emirati include però anche il consolidamento dei rapporti con Israele dopo la firma dei cosiddetti “Accordi di Abramo”, avvenuta sul finire del mandato dell’ex presidente americano Trump.

È inevitabile perciò che passi indietro e contraddizioni continuino a caratterizzare la politica estera emiratina. Sul fronte yemenita, infatti, potrebbero esserci sviluppi nuovamente preoccupanti per quanto riguarda il ruolo di Abu Dhabi. Qualche osservatore ha evidenziato a questo proposito come l’episodio della nave sequestrata dagli Houthis sia avvenuto poco dopo la recente storica visita negli Emirati del primo ministro israeliano, Naftali Bennett. Per lo stato ebraico, d’altra parte, l’offensiva a tutto campo contro l’Iran e i suoi alleati resta un’ossessione e una priorità assoluta, a costo di alimentare ancora di più l’instabilità nella regione mediorientale.

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