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Come affermato dal presidente Xi Jin Ping, Cina e Ue “dovrebbero farsi carico delle proprie responsabilità internazionali, mantenere insieme la tendenza della globalizzazione economica e l’ambiente del commercio internazionale, e resistere insieme alle prepotenze unilaterali“. Si tratta di un appello importante. E’ certamente paradossale che sia oggi uno Stato socialista ad invocare oggi i benefici della globalizzazione. Ma si tratta del risultato della grande ascesa economica, sociale e culturale che la Cina sta avendo proprio grazie alla superiore qualità del suo sistema.

Un sistema che ha consentito a centinaia di milioni di persone di uscire dalla povertà ed a raggiungere traguardi strabilianti sul piano della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica. Oggi più che mai l’Unione europea è di fronte a un bivio. L’alternativa è continuare a svolgere il tradizionale ruolo di truppa subalterna di complemento degli Stati Uniti perfino nelle nuove condizioni determinate dall’ascesa di Trump, ovvero aprirsi al mondo nuovo di cui proprio la Cina è l’alfiere più impressionante e convincente.

Sono più o meno note le motivazioni che hanno spinto Trump a giocare d’azzardo sui dazi. In sostanza l’obiettivo è quello di ricostituire le condizioni di un rilancio dell’industria manifatturiera, ma si tratta in realtà di un obiettivo molto difficile da raggiungere, come dimostrato dai contorcimenti e dagli stop and go della politica dei dazi. L’impressione è quella di un evidente dilettantismo e di una totale improvvisazione.

In realtà però Trump ha molte frecce al suo arco. La principale è costituita dall’enorme potenziale militare che oggi si traduce in fattore di pressione e ricatto politico, anche e soprattutto nei confronti dell’Unione europea. La trappola ucraina, costruita da Stati Uniti e NATO proprio per scavare un fossato incolmabile tra Europa, Russia e Cina, è servita principalmente a questo. Fomentando il governo ucraino che per dieci lunghi anni ha bombardato e massacrato il popolo del Donbass, l’amministrazione statunitense ha lucidamente perseguito il suo disegno volto a scongiurare il fondamentale incubo strategico delle classi dominanti statunitensi e britanniche, e cioè la saldatura, foriera di pace e di sviluppo, tra tutti gli Stati dell’Eurasia. Oggi, di fronte alla prevedibile vittoria sul campo della Russia, Trump, più intelligente non solo del suo predecessore ma anche dei “dirigenti” dell’Unione europea, ha deciso di provare a svolgere il ruolo di peacemaker, finora peraltro con successo alquanto scarso.

I “dirigenti” europei, peraltro, sembrano aver preso sul serio la storica esclamazione della signora Nuland, all’epoca alta funzionaria del Dipartimento di Stato (“Fuck the EU”) e stanno diligentemente procedendo a suicidarsi lanciandosi a forte velocità verso l’abisso della guerra. È proprio in questa catastrofica prospettiva che si esplica efficacemente l’offensiva statunitense contro ogni possibile autonomia dell’Europa. I pavidi e corrotti governanti europei, dopo aver artatamente fabbricato l’inesistente minaccia dell’espansionismo russo, continuano a serrare attorno al nostro collo il nodo scorsoio della dipendenza da Washington. Si tratta di una classe per nulla dirigente, dove rivestono ruoli di spropositata importanza gli invasati baltici e polacchi e i fiduciari del complesso militare industriale che sta mietendo enormi profitti e che è tuttora a guida statunitense. Il nuovo piglio di Trump, più che mai deciso ad abbandonare le costose velleità “universaliste” dei suoi predecessori, ha letteralmente gettato nel marasma vari settori del ceto politico e intellettuale europeo, alcuni dei quali hanno pateticamente rispolverato le bandiere europee per rivendicare una sorta di primogenitura dei valori occidentali cancellando secoli di colonialismo, razzismo e genocidi dei quali anche gli Stati europei sono stati protagonisti .

Ma tale intemerata ha aperto la strada alla scelta guerrafondaia di Bruxelles. Sedotti e abbandonati Von der Leyen, Gentiloni, Weber, Tajani, Meloni e compagnia continuano a baciare le terga dell’imperatore nel momento in cui questo tormenta le aziende europee coi dazi e minaccia Panama e la stessa Groenlandia. Si avanzano improbabili negoziatori che ripropongono “diplomazie” di stampo levantino destinate a sicuro fallimento. Sono le stesse scellerate classi digerenti (non dirigenti) che rilanciano ora la guerra in Ucraina usando i giovani ucraini come carne da macello e mai andranno alla rottura con Trump, neanche sulla questione dei dazi, perché il ruolo militare degli Stati Uniti è insostituibile. Pertanto acconsentono di buon  grado all’invito a farsi carico della guerra, promettono la fine della incerta riconversione ecologica e continueranno a comprare armi, energia e quant’altro da Washington.

L’isolamento internazionale degli Stati Uniti appare invece un passaggio fondamentale per salvare il libero commercio come base per la pace e lo sviluppo condiviso e dare avvio a una fase di pace e cooperazione. Ma ciò richiede la cacciata di von der Leyen & C. Spetta  ai popoli e cittadini dell’Europa riprendere la bandiera della propria autonomia su tutti i piani. Tale autonomia, per dispiegarsi pienamente e garantire il benessere e la pace nel nostro continente, richiede una riconciliazione totale e definitiva con la Russia e rapporti cooperativi sempre più avanzati con la Cina.

Aprire alla Cina significa anche l’impegno comune per una soluzione politica del macello ucraino e per la fine del genocidio del popolo palestinese, due fronti importanti sui quali la Cina è fortemente attiva, mentre l’Unione europea continua ad alimentare guerre e genocidi (ricordiamo che Germania e Italia sono rispettivamente la seconda e la terza fornitrice di armamenti a Israele su scala mondiale). I popoli europei devono dire basta a queste politiche assassine e suicide. Anche per questi motivi l’appello di Xi Jin Ping va preso sul serio ed accolto da tutti gli Europei, la stragrande maggioranza, che non si rassegnano all’infelice destino di morire da servi sciocchi.