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Una serie di iniziative prese negli ultimi giorni da Elon Musk hanno dimostrato come la promessa di fare di Twitter una piattaforma per lo scambio di idee e opinioni in totale libertà e senza nessuna forma di censura sia destinata a essere disattesa. Il numero uno di Tesla, che ha recentemente acquistato il popolare social per 44 miliardi di dollari, ha sospeso svariati account di giornalisti di testate “ufficiali” che avevano espresso giudizi sfavorevoli alla sua gestione di Twitter. La decisione ha provocato reazioni furiose da parte di questi stessi media e delle autorità europee, ma la loro indignazione è quanto meno tardiva, oltre che finta, non essendo mai stata registrata quando i precedenti vertici di Twitter censuravano a piacimento giornalisti e commentatori indipendenti.

 

La nuova polemica su Musk era esplosa dopo l’annuncio del blocco di alcuni giornalisti, appartenenti, tra gli altri, al New York Times, alla CNN e al Washington Post. Il provvedimento era stato preso ufficialmente come conseguenza della presunta citazione da parte di questi utenti nei loro “tweet” dei dati di geolocalizzazione dell’aereo privato di Musk. Informazioni che metterebbero a rischio la sua sicurezza e quella della sua famiglia. Questi dati vengono compilati utilizzando informazioni pubbliche, ma secondo Musk la loro pubblicazione su Twitter violerebbe le regole del social.

La sospensione dei giornalisti su Twitter ha seguito di un giorno la chiusura di oltre venti profili dedicati a questa pratica, nota come “doxxing”, tra cui il più noto è @ElonJet, creato dal 20enne Jack Sweeney, impegnato appunto a tenere traccia in tempo reale degli spostamenti di Elon Musk. L’iniziativa di Twitter ha finito per bandire tutti quegli account che tracciano i voli privati, ovvero di miliardari ed esponenti governativi.

I giornalisti penalizzati dalla decisione di Musk hanno escluso di avere pubblicato informazioni di questo genere nei loro post su Twitter e si sono dichiarati vittime di un atto di censura puro e semplice per via di precedenti interventi critici nei confronti del fondatore di Tesla. I loro account sospesi giovedì sono stati comunque ripristinati nella mattinata di sabato, dopo che un sondaggio lanciato sull’argomento dallo stesso Musk tra gli utenti di Twitter ha visto prevalere questa opzione con una maggioranza di quasi il 60%.

A scaldare ancora di più gli animi negli ambienti governativi e mediatici ufficiali è stata poi un’altra iniziativa di Musk, che nel fine settimana ha vietato la pubblicazione di link ai profili che gli utenti gestiscono su altri social, come Instagram, Facebook o Mastodon, quest’ultimo definito da molti come una piattaforma rivale di Twitter. Le polemiche hanno raggiunto un tale livello da spingere Musk a indire un nuovo sondaggio nel quale gli utenti sono chiamati a scegliere se debba dimettersi o meno da “CEO” di Twitter, promettendo di agire in base all’esito. I risultati nella giornata di lunedì non sono apparsi favorevoli a Musk.

È innegabile che l’arrivo di Musk ai vertici di Twitter abbia prodotto un certo allentamento delle regolamentazioni relative alle attività degli utenti, soprattutto di quelli che postano materiale e opinioni contrarie alla versione ufficiale degli eventi globali propagandati da media e governi. Ci sono tuttavia anche pochi dubbi sul fatto che il “nuovo” Twitter stia applicando a sua volta una censura più o meno “soft” soprattutto nei confronti di alcuni account di orientamento progressista. È il caso ad esempio di profili che recentemente avevano denunciato le attività di gruppi di estrema destra negli Stati Uniti, grosso modo riconducibili agli ambienti trumpiani. Molti altri profili sospesi dalla precedente amministrazione, per avere espresso posizioni favorevoli alla Russia nel conflitto in Ucraina o messo in discussione la gestione dell’emergenza COVID e la campagna di vaccinazioni negli USA e in Europa, restano tuttora bloccati.

Un’altra iniziativa recente di Musk aveva causato un certo disagio nei circoli ufficiali. Un paio di settimane fa, erano stati resi pubblici tramite l’account del giornalista indipendente Matt Taibbi i messaggi che dimostrano l’intervento di politici ed esponenti del Partito Democratico americano per garantire che Twitter limitasse al massimo la diffusione delle notizie sul contenuto compromettente del computer portatile del figlio di Joe Biden, Hunter. La rivelazione era stata inizialmente pubblicata dal New York Post alla vigilia delle elezioni del 2016 e dopo che un tecnico informatico era venuto in possesso dei dati sul dispositivo in riparazione di Hunter Biden.

La stampa ufficiale filo-democratica aveva fatto di tutto per tenere la notizia sotto traccia e i vertici di Twitter avevano acconsentito senza troppi problemi a censurare la notizia, bollandola come “fake” nonostante fosse stata in seguito confermata anche dalla galassia “mainstream”. Questo e altri interventi della precedente gestione di Twitter non hanno mai suscitato nessuna reazione tra coloro che oggi si agitano per la minaccia alla liberta di espressione che Musk rappresenterebbe con le sue iniziative più recenti.

Un articolo apparso lo scorso fine settimana sul New York Times è emblematico dell’ipocrisia che caratterizza gli ambienti politici e mediatici ufficiali. Il Times finge indignazione per la sospensione degli account decisa da Musk e avverte che questa decisione ha innescato un dibattito sulle “complesse questioni della libertà di espressione e della censura in rete”. Un altro elemento emerso con l’acquisizione di Twitter da parte dell’uomo più ricco del pianeta, sempre secondo il Times, è il ripresentarsi del problema dei magnati che controllano gli organi di stampa.

L’indignazione è evidentemente ultra-selettiva, visto che questo genere di minaccia ai principi della libertà di stampa e di espressione è raramente oggetto di una qualche allerta nei casi, tra gli altri, di Rupert Murdoch o di Jeff Bezos. Il New York Times, il Guardian o altri giornali “mainstream” non hanno inoltre mosso un dito quando Twitter sospendeva dall’oggi al domani giornalisti e profili indipendenti, fondamentalmente per avere contestato la diffusione di notizie a senso unico, ovvero secondo la versione proposta dai governi. Il dibattito sulla libertà di espressione nelle società occidentali non è inoltre scaturito dall’acquisto di Twitter da parte di Musk, ma è in corso ormai da tempo grazie appunto a giornalisti e blogger al di fuori dei circuiti ufficiali.

Sulla stessa linea del Times è apparsa prevedibilmente la risposta alle decisioni di Musk dell’Unione Europea e, in generale, alla sua gestione di Twitter. La tesi proposta da Bruxelles corrisponde perfettamente alla definizione di “orwelliano”, visto che equipara la libertà di espressione alla necessità di implementare rigide regole per “moderare” le opinioni espresse, ovvero per censurare quelle contrarie alla versione ufficiale.

La Commissione Europea ha avvertito che Twitter sta violando le altrettanto orwelliane leggi UE sulla “Libertà dei Media” e sui “Servizi Digitali” e ha perciò prospettato l’imposizione di “sanzioni” contro Musk e il suo social se non verranno presi provvedimenti. Gli ultimi sviluppi avrebbero infatti determinato un superamento della “linea rossa” relativa alla “libertà di espressione”. Questa “linea rossa” riguarda però solo presunti attacchi contro i giornalisti ufficiali, veri e propri depositari della verità unica dispensata dai governi, ma mai quando a essere presi di mira sono quelli indipendenti.

L’irruzione di Elon Musk nel mondo dei social media non costituisce dunque un rimedio alla minaccia crescente contro la libertà di stampa e di espressione, sia per i suoi legami con l’apparato di potere americano sia per le stesse tendenze autoritarie che egli stesso ha più volte manifestato nei comportamenti e nelle uscite pubbliche. Lo sdegno espresso nei confronti del fondatore di Tesla da soggetti anti-democratici, come la Commissione Europea e il governo americano, o ultra-compromessi con il potere, come i media “mainstream”, è però a dir poco fuorviante. Il loro obiettivo non è infatti la difesa del diritto di chiunque a esprimere liberamente i propri pensieri e opinioni, ma l’implementazione di meccanismi di censura sempre più rigidi per soffocare, da un lato, qualsiasi voce indipendente e legittimare, dall’altro, esclusivamente quelle disposte a propagandare la “verità” sanzionata dai soli organi ufficiali.