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Il 30 aprile del 1975, gli accordi di Parigi mettevano fine alla criminale avventura statunitense in Vietnam. Il Paese di Ho-Chi-Minh e Nyguen Von Giap era libero, Washinton si arrese, aveva perso. Tra il 1955 ed il 1975 l'esercito degli Stati Uniti che aveva invaso il sud asiatico perse circa 59 mila soldati. 47.435 caddero ufficialmente  in battaglia. Continuarono a vivere in decine di libri e di films che li rappresentarono come la più grande generazione della storia del loro paese. Nel 1981, a Washington, fu eretto un bellissimo muro in lucido granito nero con il nome di ciascun caduto inciso in oro. Sui  reduci di quella guerra si scatenò invece un'aspra battaglia che divise gli Stati Uniti. Gli eroi non tornano mai a casa vivi e difficilmente trovano un centro di gravità in una società che li vedeva come falliti.

Poi arrivarono le Torri Gemelle con tremila morti e il paese indietreggiò per l'orrore. Il tragico evento ha avuto le sue ombre e fu manipolato da doppiogiochisti, ma in termini di vite umane  ebbe un costo altissimo e in un certo senso diede origine a nuove forme di eccezionalismo americano.

 

Il COVID-19 invece, arrivato all'improvviso in tutto il mondo, negli Stati Uniti ha alzato il sipario su una nazione in crisi e non solo sotto l'aspetto medico. Perché a suo modo è una guerra ma non ci saranno monumenti a ricordare le vittime. Oltretutto mancano soldati armati fino ai denti e al loro posti ci sono solo persone comuni come Felix, ispettore della metropolitana di New York. O i fratelli Franklyn, Paul ed Herman, di 61 e 71 anni, scampati per miracolo alla devastazione dell'uragano Katrina. Gli operatori sanitari che hanno sacrificato la loro vita per gli altri, le infermiere che con i medici hanno dovuto decidere quali pazienti salvare e i barellieri stravolti dalla fatica che non sapevano più dove portare i morti.

A Washington c'è un'altra opera che ricorda le vittime del Vietnam, dedicata alle donne e raffigura appunto tre donne una delle quali culla un soldato morente. Fu  inaugurata nel 1993, tardivo omaggio alle donne uccise soprattutto negli ospedali militari. Un lavoro di Glenna Goodacre, famosa scultrice di grande talento. Goodacre è una delle poche vittime del COVID-19 che probabilmente verranno ricordate grazie alla fama delle sue opere. Il 13 aprile scorso il suo fisico ha ceduto dopo una breve lotta contro il micidiale virus che sta cancellando le vite di milioni di americani.

Difficilmente ci saranno sculture per ricordare la pandemia. Chi  è in grado di dire quando il virus allenterà la morsa? Si continuano a contare i morti e si rinvia l'appuntamento col dolore perché la necessità più impellente è seppellire i morti a volte nelle fosse comuni. Ci vorrà un grande lavoro per identificare i tanti corpi senza nomi soprattutto a New York. Gli scultori hanno replicato molte scene di guerra ma il corona virus replica se stesso molto più velocemente di quanto si possa fare con qualunque materiale.

Il 28 aprile la Casa Bianca ha confermato che il COVID-19 ha colpito un milione di americani, molti di più dei soldati che persero la vita in Vietnam. Un'altro probabile pericolo è l'aumento dei suicidi che in America è un fenomeno comune in momenti di crisi. Madri, padri, figli, fratelli e amici temono soprattutto che il lockdown spinga persone già provate a non chiedere aiuto e prendere una decisione drammatica.

La salute pubblica dovrebbe garantire risposte anche a coloro che affrontano l'isolamento sociale, la solitudine, l'intrappolamento o lo stress dovuto alla fatica eccessiva ma questo non avviene sempre. Il 28 aprile scorso Lorna Breen, medico  dell'Allen Hospital di New York, dopo aver sopportato il peso fisico e emotivo di troppe tragedie, si è tolta la vita. Breen era a capo del dipartimento di emergenza  e si è suicidata dopo aver trascorso giorni e giorni in corsia fino a quando non è più riuscita a reggere alla stanchezza. Era un medico capace ma anche una donna testimone di eventi senza precedenti che le erano piovuti addosso e non ce l'ha fatta. Si è uccisa in casa dei genitori in Virginia forse per non coinvolgere i colleghi. Secondo il padre Breen non aveva mai manifestato segni di depressione.

Il 26 aprile anche Joe Mondello, 23 anni, un aitante giovanotto del Bronx che lavorava sulle ambulanze a New York, si è tolto la vita. Gli operatori sanitari sono una categoria a rischio secondo il New York Post. I disturbi da stress post traumatico sono più comuni tra i militari ma gli eventi minacciosi stravolgono la mente di qualunque persona e qualunque fascia d'età. Quando si attraversa una tragedia chiunque vorrebbe poter ricostruire la propria vita ma se la tragedia invece di finire diventa sempre più grande e non si sa cosa accadrà il giorno dopo, riprendere in mano le redini della propria esistenza può essere complicato. Tutti hanno vissuto momenti difficili negli ultimi mesi per via del crollo economico, della mancanza di sostegno sociale e all'ansia collettiva in una misura che non ha precedenti. I numeri ufficiali relativi ai suicidi, almeno per quanto riguarda i resoconti dei media, non sono attendibili. Negli Stati Uniti i decessi aumentano di circa duemila al giorno. Le 59 mila perdite nelle forze armate all'epoca del Vietnam attraversano cinque mandati presidenziali:

Kennedy, Johnson, Nixon, Ford e Carter. In soli quattro mesi, ma non solo per colpa sua, Donald Trump ha raggiunto la stessa pietra miliare. Non vale la pena di fare commenti sul consiglio presidenziale, ovvero iniettare disinfettanti nel corpo umano per uccidere il virus. Ogni giorno porta nuove storie inverosimili che sarebbe sciocco prendere sul serio. Chi mai può dire ad esempio che il virus sarà sconfitto entro la fine del mese prossimo? Se la gente non rispetta le distanze sociali i contagi aumenteranno. Ma in California non appena apparsa la prima giornata di sole le spiagge sono state invase. In Oklahoma, Nevada e Texas i commercianti premono per la ripresa di tutte le attività. Parrucchieri e sale cinematografiche riapriranno comunque pur sapendo che potrebbero causare una strage. In qualche zona rurale invece la strage sarà determinata dalla cronica carenza di strutture sanitarie. Da settembre in Ohio sono stati chiusi tre ospedali comprese strutture dove erano venuti al mondo centinaia di bambini e curate centinaia di ferite da armi da fuoco. Sono quasi duecento anni, del resto, che per tenere aperti gli ospedali nelle zone rurali in America bisogna lottare.

Il giorno in cui il corona virus sarà sconfitto ci sarà la festa più grande mai vista al mondo. Per ora dobbiamo rassegnarci a contare i caduti. La paura che assilla i malati è morire da soli. Il Minnesota era uno dei pochi stati americani che aveva gestito bene l'emergenza COVID-19. Fino a marzo tutto prometteva bene e le perdite  erano state 34 in tutto. Non si sa cosa sia accaduto ma il quattro di aprile Joshua Pearson, un ragazzo di 37 anni dal fisico atletico e con una salute perfetta, si era tenuto alla larga dai guai semplicemente usando guanti e mascherina pensando fossero sufficienti. Poi a Joshua era venuta un po' di tosse secca ma non si era fatto prendere dal panico. Ma durante il giorno la fame d'aria era aumentata disperatamente. Il ragazzo ha cercato di sopportare convinto che entro poche ore tutto sarebbe passato. Sarebbe andato al lago e respirato bene e in fondo a 37 anni non si muore per un po' di tosse. Ma se così non fosse? Visto che non respirava Joshua era andato di malavoglia al pronto soccorso. Per una notte darebbe rimasto ricoverato. Ma verso le quattro del mattino il medico di guardia ha avvertito la famiglia che il ragazzo era morto. Un decorso rapido come non si era mai visto. Tutte le persone sepolte in Minnesota fino a febbraio avevano tra i 78 e i 100 anni. Da marzo in poi la sigla COVID-19 compare in un atroce crescendo negli avvisi di decessi associata a nomi di persone con meno di 60 anni. Una delle poche isole felici d'America è stata vinta dal virus bestiale che non accenna a rallentare la sua inesorabile marcia.