di Maria Clerici

Ratzinger dimostra ogni giorno di voler riportare la Chiesa indietro almeno di quarant'anni ma, di contro, appare straordinariamente sensibile (lui e le alte gerarchie vaticane) a quelle diavolerie legislative moderne con le quali si può far soldi. E nel suo caso si tratta davvero di tanti soldi. Benedetto XVI, degno Papa d'altri tempi, ha deciso di apporre il copyright alle sue Encicliche, ai suoi discorsi durante le udienze, all'angelus e ad ogni soffio comunicativo che possa uscire dalle Mura Vaticane. Diritti d'autore sulle parole del Papa che d'ora in poi saranno una merce a pagamento.
Wojtila non l'avrebbe mai fatto. Sarebbe stato quasi un insulto per lui pensare che qualcuno potesse fare mercimonio delle sue parole, avendo speso l'intera esistenza per far in modo che la sua voce raggiungesse gli angoli più nascosti e più lontani del mondo e cercando di farla arrivare anche laddove non era poi così gradita. Sembra uno scherzo per i laici e un'umiliazione per i cattolici. Comunque un controsenso davvero enorme per chi, come una religione, vive di proseliti e mira - o almeno dovrebbe farlo - a raccogliere intorno a sé il maggior numero di "anime", ovviamente senza far pagare chi si pone volontariamente in ascolto. Tant'è che fino alla morte di Wojtila la chiesa aveva fatto un sapiente uso dei media, proprio nell'ottica di una massiccia divulgazione del messaggio apostolare. Ed era stato un modo talmente innovativo quello di "portare a tutti la parola di Dio" da costringere il mondo intero ad interrogarsi sulla bella novità costituita dall'ultimo successore di Pietro deciso a porre al centro del proprio ministero la comunicazione . Adesso è un giorno diverso, si torna all'antico. E per i cattolici è ancora un altro brusco risveglio.

In Vaticano, come sempre in questi casi, danno una spiegazione all'iniziativa del copyright che non solo è poco convincente, ma aumenta in qualche modo lo sconcerto. Dicono, in primo luogo, che lungi dal voler commerciare il magistero della chiesa, desiderano tutelarlo da una divulgazione "pirata". Ora, fatto salvo che anche i "pirati", nell'ottica cattolica, sono figli di Dio, dietro questa frase sembrerebbe esserci il desiderio di tutelare le pubblicazioni "ufficiali", ovvero le case editrici cattoliche che vivono di questo genere di editoria di nicchia. E invece no, è peggio. Perché anche le varie San Paolo, Unione Librai Cattolici, Edizioni Paoline , Città Nuova eccetera, hanno ammesso candidamente non solo di non saperne nulla, ma di dover pagare anch' esse sulle prossime pubblicazioni religiose il copyright sulle parole del Papa. E persino i giornali quotidiani, secondo la nuova norma, dovranno versare un obolo per poter pubblicare, "previa autorizzazione" i discorsi del Pontefice. Figurarsi come l'avrà presa il Tg1, che così vede a grande rischio il proprio budget. Comunque, si tratta di un'operazione di marketing con un clamoroso effetto boomerang.

E, allora, qual è lo scopo finale di questa discutibilissima iniziativa se non quello di aumentare ulteriormente gli introiti delle già grasse casse vaticane? E' solo questo: "Il pagamento di una percentuale sui testi del Santo Padre _ hanno spiegato in Vaticano, con dubbio senso del ridicolo _ potrà contribuire ad alimentare la carità del Papa".

La faccenda ha, tuttavia, un suo lato positivo: le parole del Papa, di questo Papa, avranno sempre minor diffusione, visto che costeranno care. E molti cattolici vivranno senza dubbio giornate più serene senta sentirsi rimbombare in testa, più o meno quotidianamente, anatemi e ingerenze nella politica legislativa dello Stato laico, che di spirituale non hanno davvero nulla. Ma in questo caso il vaticano troverà senz'altro il modo di superare l'ostacolo, mandando avanti il cardinal Ruini a dire le cose più forti sul sociale. Le sue parole, com'è noto, non costano nulla e valgono in egual misura.

In questo scenario ci sarà però qualcuno che ricorderà con nostalgia quel vecchio Papa che tremava sotto la neve senza mollare e che si serviva dei farmaci per sostenere i viaggi che lo portavano ad avvicinare i popoli del mondo. Quel Papa che urlava ai mafiosi "pentitevi!" e che all'ultimo, pur piegato in due sul pastorale, scalpitava per riuscire a riconciliarsi con il "patriarca di tutte le Russie" Alessio II . E che cominciava ogni discorso con un'invocazione, "aprite le porte a Cristo", parole a cui il suo successore ha allegato un prosaico e meno teologico "solo se pagate il biglietto".

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