L'eutanasia ha fatto il suo ingresso in una campagna elettorale che, fino ad ora,
si era caratterizzata solo per lo squallore dilagante.
E' impopolare parlare di eutanasia? Certo, ma è essenziale parlarne. Perchè
è un dibattito che ne supera tanti altri, considerati in questo momento
di maggiore urgenza solo perchè la politica ne ha fatto una bandiera da
far sventolare nell'imminenza del voto e che, invece, investe molto più
di altri il dibattito etico intorno alla vita e alla sua dignità.
L'eutanasia, dunque, una vecchia battaglia radicale che si ripresenta oggi sotto
l'egida della "Rosa nel pugno", che ha presentato una proposta che suona
come un elettrochoc delle coscienze: estendere la possibilità della "bella
morte" anche ai minori, a quei bambini o adolescenti che, per colpa di malattie
incurabili o per destino avverso, si trovano in coma vegetativo da anni. Con i
genitori che spesso implorano la fine dell'inutile agonia, ma che la legge di
uno Stato laico inchioda comunque al rispetto del dettato divino, unico padrone
nel dare e nel togliere la vita. Fino ad oggi l'eutanasia è stata associata a persone comunque adulte:
malati terminali con una vita vissuta alla spalle, anche se breve, ma condannate
a morte certa dall'impotenza della medicina e dall'altrettanto evidente scarsità
e di miracoli. Persone cui una mano anonima, misericordiosa, ha spesso, in solitudine,
aiutato a morire serenamente sollevandoli dall'atroce percorso degli ultimi
attimi, quando la paura aumenta lo strazio e il dolore e non ci sono più
speranze.
Siringhe amiche, camici bianchi compassionevoli e consapevoli di commettere,
di fatto, un omicidio; ma forse più sensibili all'aiuto di un malato
in condizioni disperate che al pensiero di essere scoperti e condannati.
Uno scenario, questo, che anche se biasimato pubblicamente si è infiltrato
lento nelle coscienze di tutti; raro sentir dire a chi ha vissuto accanto a
un malato terminale che non avrebbe fatto qualcosa per lui, se solo ne avesse
avuto il coraggio.
Ma che dire quando, invece, si parla della scelta di staccare la spina ad un
ragazzino che è stato vittima di un incidente in motorino e la cui morte
celebrale scongiura ogni possibilità di recupero? O di un bambino, nato
con una grave malformazione, che solo una macchina può tenere in vita?
In Olanda, in Belgio, in alcuni stati americani, l'eutanasia è stata
già ampiamente codificata, a fronte di un testamento biologico che certifichi,
oltre ogni ragionevole dubbio, la scelta di una persona adulta di morire con
dignità, anche con un aiuto, laddove le condizioni risultassero disperate.
Adulti, appunto. Dire a una madre e ad un padre attoniti dal dolore che possono
rinunciare al sostegno dei trattamenti artificiali perchè il loro bambino
comunque morirà, apre però un altro fronte del problema che forse
nessuna legge potrà mai risolvere, pur recependone la possibilità:
in questo caso non si sceglie per se stessi, si sceglie per un altro. Tuo figlio.
E' per questo che la proposta della "Rosa nel pugno" è apparsa
a molti come una provocazione politica di stampo elettorale.
Ma se forse sarebbe giusto parlarne, discutere, disegnare i confini del possibile
intervento medico intorno alla scelta finale di una persona, evitando di trascendere
su terreni che nessun Parlamento al mondo si sentirebbe in grado di dirimere.
In fondo, è crudele dire a un genitore che può staccare la spina
al figlio in coma: non lo farà mai, salvo casi eccezionali che però
si sono verificati, il più delle volte perchè l'accanimento terapeutico
ha superato il limite del tentativo di guarigione. E' impopolare parlare di
tutto questo, certo. Ma, senza provocazioni, sarebbe almeno auspicabile parlarne.
Prima che dagli altari qualcuno decida per noi.