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di Tania Careddu

Oltre che la più grave ingiustizia sociale e uno degli indicatori chiave della salute e del benessere dei bambini, la mortalità infantile rappresenta, anche, il livello dei progressi (umani) compiuti per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030. Che, nello specifico, consistono nell’impegno di porre fine alle morti prevedibili di almeno venticinque bambini ogni mille sotto i cinque anni, e a quelle neonatali, riducendole ad almeno dodici decessi ogni mille neonati.



La cui mortalità diminuisce molto lentamente, dal 41 per cento nel 2000 al 46 per cento nel 2016, anno in cui sono morti oltre due milioni e mezzo di bambini nel primo mese di vita. Settemila al giorno. Un milione circa nel primo giorno di vita. Nonostante la mortalità entro il primo anno di età, dal 1990 a oggi, sia stata più che dimezzata, lo scorso anno più di quattro milioni di minori sono morti prima di spegnere la prima candelina.

Perdono la vita per cause prevedibili o curabili: nascite premature, complicazioni durante il travaglio e il parto, infezioni, meningiti, polmoniti, tetano, anomalie congenite e diarree. E la metà di tutti i decessi neonatali nel mondo avvengono in appena cinque Paesi: India, Pakistan, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia. Stati dove la denutrizione la fa da padrona e risulta la causa della metà delle morti dei bambini sotto i cinque anni: fascia d’età nella quale il numero dei decessi non è mai stato così basso nella storia come nel 2016, anno di monitoraggio del Rapporto Levels and trends in child mortality 2017, redatto dall’Unicef e dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità.

Secondo la stessa OMS molte vite potrebbero essere salvate se si riducessero le disuguaglianze globali: se tutti gli Stati raggiungessero i tassi di mortalità infantile propri dei paesi ad alto reddito, l’87 per cento della mortalità potrebbe essere prevenuta, calcolando che il tasso di mortalità infantile nell’Africa Subsahariana rispetto a quello di uno qualsiasi dei paesi industrializzati è di circa dieci volte più alto (uno ogni trentasei nascite versus uno ogni trecentotrentatre).

Per livellare le iniquità è necessario puntare a “una copertura sanitaria universale e assicurarci che un numero maggiore di neonati sopravviva e cresca, lavorando per le famiglie socialmente emarginate”, spiega, alla presentazione del Rapporto, l’assistente del direttore generale dell’OMS per la Salute della famiglia, delle donne e dei bambini, Flavia Bustreo. Che continua: “Per prevenire le malattie, le famiglie hanno bisogno di sostegno economico, di ascolto e di accesso a un’assistenza sanitaria di qualità. Migliorare la qualità e la tempestività dei servizi e delle cure durante e dopo il parto deve essere una priorità”.

E “la misura migliore per giudicare il successo della copertura sanitaria universale – aggiunge il direttore per la Salute, nutrizione e popolazione della Banca Mondiale, Tim Evans – è che ogni madre abbia non solo un facile accesso alle cure mediche ma che queste cure siano di qualità e abbiano un costo ragionevole, assicurando una vita sana e positiva al bambino e alla famiglia”. Affinché la sfida per migliorare la salute materna e infantile vada al di là del raggiungimento degli obiettivi delle varie agende mondiali.